Federico Rampini, la Repubblica 3/6/2010, 3 giugno 2010
I GIORNI BUI DI OBAMA
Le dimissioni del premier giapponese. La catastrofe ambientale nel Golfo del Messico. Su Barack Obama si abbatte the Perfect Storm. Nell´arco di una settimana nera si sono concentrate sul presidente americano tutte le crisi possibili. Ci si è messa perfino la meteorologia con una tempesta vera: ha stravolto il Memorial Day del presidente, in fuga dal nubifragio proprio quando doveva rendere omaggio ai caduti. «Finito sott´acqua, lui che sembrava camminare sopra le acque», commenta impietosa Maureen Dowd, columnist progressista. La destra gode, la sinistra soffre, tutti concordano: il presidente sembra impantanato, incapace di reagire, è in una delle fasi più critiche dall´inizio del suo mandato.
All´estero tutto gli va storto. La tragedia di Gaza era già di per sé disastrosa: l´America ha tutto da perdere nel divorzio tra i suoi amici più preziosi in Medio Oriente, un alleato di ferro come Israele e un partner della Nato come la Turchia. Obama è riuscito a peggiorare le cose. Timoroso di scoprire il fianco alle accuse dei repubblicani, sempre pronti a denunciare i suoi presunti cedimenti verso il mondo islamico, il presidente ha reagito con un riflesso pavloviano. Si è dissociato dal voto dell´Onu che condannava l´azione del governo Netanyahu. «Una risposta così timida non rende un servizio a Israele», osserva severo un editoriale del New York Times, che non è mai stato anti-israeliano. Quel voto aumenta l´ira della Turchia. Tradito dall´America, il governo di Ankara ha l´opportunità di vendicarsi. Presto al Consiglio di sicurezza dell´Onu bisognerà votare sulle sanzioni all´Iran. La Turchia è membro di turno del Consiglio, potrebbe far deragliare le sanzioni. Azzerando così tutto il lavoro di Obama per contenere l´atomica di Teheran. Su un altro fronte nucleare, la bellicosa Corea del Nord ha beffato un anno di faticosi tentativi di dialogo dell´Amministrazione Obama. In Giappone viene travolto dall´impopolarità il premier democratico Hatoyama, punito dai suoi per aver ceduto all´America sulla base militare di Okinawa.
Più delle crisi internazionali, la catastrofe domestica concentra l´attenzione dell´opinione pubblica americana. Ad ogni ora del giorno le tv trasmettono le riprese della videocamera dagli abissi. Si vede il petrolio che continua a sgorgare implacabile da quella falla sottomarina al largo della Louisiana. l´immagine di un fallimento drammatico: i ripetuti tentativi di tappare la fuga del greggio sono stati vani, la chiazza mortale continua a espandersi da 43 giorni. una sconfitta dei tecnici della Bp, certo: la legge americana impone alla compagnia petrolifera di rimediare al proprio disastro. Ma il presidente che vinse le elezioni con lo slogan "Yes we can" viene umiliato nella parte dello spettatore impotente. Lui che sembrava l´artefice di un riscatto dell´azione politica, il protagonista di una rivalutazione del ruolo dello Stato, di fronte alla più grave catastrofe ambientale nella storia americana dà uno spettacolo di debolezza e di frustrazione. Minaccia azioni penali, giura che farà pagare la Bp fino all´ultimo centesimo, ma le sue grida non rallentano l´avanzata del greggio che uccide le coste. Più ancora dell´inefficacia, molti gli rimproverano un deficit di empatìa. Anche quando appare sugli schermi per denunciare le colpe dei petrolieri, Obama non dà l´impressione di essere veramente turbato per il destino dei pescatori della Louisiana. risucchiato dalla sua immagine più fredda, professorale. Sarà un castigo crudele e anche ingiusto, se gli americani finiranno per rimpiangere le lacrime facili di Bill Clinton e di George Bush, quell´umanità a buon mercato, fatta su misura per le telecamere.
Può darsi che Obama riesca a riprendere il controllo della "narrativa" dominante sui media. Altre volte ha dato il meglio di sé quando sembrava aver toccato il fondo. Rilanciando la sua agenda ambientalista, potrebbe riuscire a "non sprecare" la crisi targata Bp. Per ora è costretto a inseguire l´emergenza, dichiarando che «fermare quella chiazza nera è la priorità assoluta del governo». Come per le crisi internazionali, anche questa è una scomoda posizione: la tua priorità è dettata da altri, ed è una catastrofe su cui hai così poco controllo.