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 2010  giugno 03 Giovedì calendario

PERROTTA, UNA VITA DA MEDIANO

(per vedere domande e risposte aprire il frammento) - Gli venne un’idea. Undici anni fa.
Al centro di uno stadio. Un lancio,
80 metri, la traiettoria che
cade lì, sul piede giusto. E il ragazzo
che scarta, sbuffa, segna e
trasforma l’arena in vicolo, l’area
in condominio. Senza quell’intuizione
apparentemente
priva di senso, Simone Perrotta
e Antonio Cassano non avrebbero
scritto la loro epopea. Bari-Inter,
dicembre 1999. Tutta la retorica
del Meridione che riemerge
dalla schiavitù oggettiva,
ristabilisce torti e ragioni, ribalta
il cielo con un gesto. A volte, il
calcio si presta alla metafora più
abusata. ”Cassano è come i romani.
Per lui o sei un fenomeno
o una tragedia, un amico o un
nemico. Se non gli vai a genio,
semplicemente, non esisti. Antonio
pensa che la moderazione
sia un insulto, ma è un bravo ragazzo”.
Per riunirli in un destino
comune, Marcello Lippi li ha lasciati
a casa entrambi. In Sudafrica,
nonostante Perrotta nel
2006, a Berlino avesse alzato
con merito la Coppa, andranno
altri. ”Si vede che non rientravo
nel progetto e che quelli che si
sono imbarcati, lo meritavano
più di me”. La diplomazia è una
trincea, la difesa un’arte. Il ragazzo
seduto in una sala impersonale
del vecchio centro con le
pareti bianche che Dino Viola,
l’ingegnere sillogista di Aulla,
volle impiantare a Sud di Roma
tra vecchi fienili, grano, spazi
dietro ai quali gru minacciose
disegnano un futuro prossimo
di cemento, è figlio unico di un
viaggio obbligato. ”Sono nato in
Inghilterra, ad Ashton. I miei decisero
di tornare in Calabria
quando avevo 5 anni. Non si erano
integrati e soffrivano l’esclusione
sociale. Trattati come
usurpatori, ’mangiaspaghetti’
che portavano via lavoro e attività
ai locali. Invece di morire di
solitudine, si inventarono una
migrazione di ritorno”. All’epoca,
Perrotta dell’Italia non sapeva
nulla. ”Parlavo solo inglese,
ora l’ho dimenticato. Iniziai a
correre dietro a un pallone da
subito e a 13 anni, decisi di tentare
il salto”.
Reggio Calabria.
Mio padre era entusiasta, mia
madre atterrita. ”Simò, ti mando,
ma devi promettermi che
continuerai a studiare”. Sembrava
facile, fu durissima.
Nostalgie?
La sera piangevo nella cornetta.
’Se mi volete bene, dovete venirmi
a prendere”.
E loro?
’Ma no, stai tranquillo”. Poi
piangevano insieme a me. Mia
madre per il dolore è andata anche
in cura. L’ho scoperto dopo.
Se avessero ceduto al sentimento,
non sarei qui.
Invece è diventato Campione
del mondo.
Avevo una sola possibilità. Al di
fuori di questo non avrei potuto
fare altro. Ho visto tantissimi ex
compagni perdersi dietro alle illusioni.
Sono rimasti a spasso,
senza un mestiere, un’ipotesi
percorribile, uno straccio di titolo
di studio.
Triste .
Arrivi ai 18, non ti prende nessuno
e scivoli nelle serie minori.
Ti trattano come un Dio, ma sei
solo un comune mortale. Quando
te ne accorgi, è troppo tardi .
Ma non sai fare nulla e in tasca,
non hai una lira.
Lei ce l’ha fatta.
Ho sfruttato le occasioni, perché
la voglia di arrivare, onestamente,
ce l’avevano tutti. In Calabria
le possibilità non sono
molte. O parti o rimani in un territorio
difficile.
Spesso dimenticato dalle istituzioni.
Bisogna vedere cosa rappresenta
davvero la parola Stato in Calabria
e se c’è un vantaggio a tenere
le cose così come sono. Fino
a quando si rimane in superficie,
le domande sono banali,
sorprese: ”Ma da voi c’è la mafia,
come è possibile che lo Stato
non riesca a sconfiggerla?”
E le risposte?
Se approfondisci la situazione,
capisci che molte cose accadono
perché qualcuno ha convenienza
che vadano in una certa
maniera. Nella mia terra il presente
è complicato. L’ovvietà
cambia di segno. Ti chiedono il
pizzo. Normalità vorrebbe che
tu sporga immediata denuncia.
Ma poi, qualcuno, ti tutela davve
ro ?
Lei in Calabria ha investito?
No, mi piacerebbe farlo, ma non
esistono i presupposti per agire
in quel senso.
E a votare va?
Certo. L’ho sempre fatto. La politica
mi interessa. Amo orientarmi,
capire dove va la mia preferenza,
a quali partiti, gruppi di
persone, realtà.
E Berlusconi?
La classe dirigente non mi piace,
a destra come a sinistra. Credo
che il consociativismo non
l’abbia inventato il premier e la
politica immacolata non esistesse
neanche 15 anni fa. Oggi si sa
di più, anche se tra poco, con il
Ddl sulle intercettazioni, si conoscerà
di meno.
Lei divora i giornali.
Ne leggo più di uno al giorno.
Credo che essere informati in
questo periodo sia fondamentale.
Qual è la notizia che l’ha più
colpita negli ultimi mesi?
Leggere di Balducci e della sua
Cr icca.
Come mai?
Sapere del malaffare e ascoltare
la telefonata di due persone che
ridono di una tragedia del genere,
mi ha nauseato. Il giorno dopo
il terremoto abbiamo parlato
tra noi compagni. Eravamo turbati
e ci siamo autotassati.
Di quanto?
Il dieci per cento del nostro stipendio.
Quasi 400.000 euro. Vedere
che gli appalti sono andati
in sorte a un gruppo senza scrupoli,
mette i brividi.
Ha visto Draquila?
No, però Sabina Guzzanti mi
piace. Mi fa riflettere.
Lei legge?
Certo. Le sembra impossibile?
Ultimo libro?
Ve lo dico se non lo scrivete.
P ro m e s s o.
Il ritratto di Dorian Gray. Fantastico.
Basil Hallward sembro io, le
rughe, i capelli bianchi. Ma non
si può parlare di qualcosa di più
leggero ?
Nella percezione collettiva il
calciatore non è un santo.
Il luogo comune ci vuole indistintamente
ignoranti, bamboccioni,
viziati.
Invece?
Viziati lo siamo e all’interno
dello spogliatoio, in effetti,
trionfa la frivolezza.
Prima di tutto le cazzate,
poi però quando si discute
seriamente, la partecipazione
anche da parte
degli stranieri è sentita.
Assoluta?
Non esageriamo. Sarebbe
una balla.
E le ragazze?
Esistono, a volte sono bellissime
e certamente riempiono
i pensieri di molti miei compagni.
Però è un ambito che mi
riguarda relativamente. Sono
sposato da dieci anni, convivo
con la stessa persona da quando
non ero ancora maggiorenne.
Sono lo stereotipo della fedeltà
coniugale.
Le dispiace?
Assolutamente no, stasera, se
permettete, vorrei tornare a casa.
A Roma, la sua seconda patria.
Qui ho attraversato sensazioni
contrastanti. Apice e baratro.
In ordine invertito.
Ed è meglio. La soddisfazione
vale doppio. Se arrivi e trionfi
subito è meno divertente. Ho
subito le contestazioni, con un
intero stadio che mi fischiava.
Voleva andarsene?
Ci ho riflettuto. Se avessi avvertito
disistima, l’avrei fatto subito.
Cosa accadde?
Spalletti mi cambiò di ruolo in
una situazione di emergenza.
Da allora, ogni problema sfumò
Lo scudetto evaporato?
Mi ha lasciato un rammarico
profondo. Il destino è stato bastardo.
Me lo sentivo e me lo ripetevo:
’Se rimaniamo dietro fino
all’ultimo, forse ce la facciamo”,
invece abbiamo superato
l’Inter e abbiamo sprecato tutto
contro la Sampdoria.
Lazio-Inter?
Non l’ho vista. Era scontato che
dopo quel derby e l’aria greveche
si respirava in città, finisse
così.
Deluso?
Siamo andati a Parma e la squadra
di Guidolin era indemoniata.
Sembrava fosse la loro partita
della vita, una gara strana. Mi auguravo
un comportamento simile
altrove. Non è successo.
Però siete stati in corsa fino a
mezz’ora dal termine.
 stato atroce. A Verona è venuto
tutto in superficie. Impressionante.
Perc hé?
Ad un tratto, è morta l’illusione.
La speranza che qualcosa potesse
succedere comunque. Così
non è stato e abbiamo vissuto un
crollo nervoso. Abbracci, pianti,
lacrime. Ma non ci vergogniamo.
E’ la fotografia di una forza
inter iore.
Un’ultima curiosità. Ma è vero
che quando arringava, dei
concetti di Delneri non si capiva
nulla?
(Ride) Andava interpretato, però
a Del Neri e ai suoi sermoni in
veneto sono affezionato.
Ora c’è Ranieri.
Sicurezza e onestà.
L’anno prossimo vi aspettano
al varco.
Potrebbe essere un boomerang.
A Roma, noia e tranquillità, non
sono mai un rischio.