Cristina Casadei, Il Sole-24 Ore 3/6/2010;, 3 giugno 2010
IL CAPO DEL PERSONALE CAMBIA PELLE
Se ci sono da ridurre i costi, c’è poco da fare. Bisogna sedersi a un tavolo e farlo. Spesso ridimensionando l’organico. A dirlo sono i contenuti della contrattazione aziendale nel 2009 e nella prima parte di quest’anno e i testi degli accordi. Il tema per i direttori delle risorse umane non è tanto il "se" ma il "come" perché in queste operazioni si corre il rischio di tagliare fasce di professionalità essenziali per l’azienda. Per evitarlo e capire come fare Aidp in collaborazione con Cornerstone ha realizzato una ricerca sul profilo atteso per il direttore delle risorse umane nei prossimi anni che verrà presentata al 39?Congresso Aidp, intitolato "Il professionista Hr - generare valore nell’impresa estesa".
Attorno ad un tavolo immaginario si sono seduti 130 capi hr provenienti da aziende medio grandi. Lavorando su quattro aree e cioè lo stile, i valori, i processi mentali, le emozioni sono arrivati alla conclusione che da loro ci si aspetta empatia, apertura e capacità relazionale. In altre parole sembra al tramonto l’era dei tecnocrati della contrattazione degli organici e della gestione dei costi del personale. D’altro canto «le competenze tecniche sono una commodity oggi e come tali si trovano con una certa abbbondanza sul mercato »,spiega il presidente dell’Aidp, Roberto Savini Zangrandi. Il problema allora non sta lì. O forse sta proprio drammaticamente lì se pensiamo che «il ruolo del direttore delle risorse umane dagli anni ’70 è rimasto quello di un professionista di estrazione economico-giurisprudenziale, fortemente orientato al controllo del costo del lavoro e della dimensione degli organici, alla contrattualistica e a tutti gli aspetti giuslavoristici», sostiene Gianni Perri, managing partner Cornerstone Italia.
La ricerca spiega che è arrivato il momento di rimetterlo in discussione perché «le organizzazioni stanno mutando moltissimo e i confini, sia fisici,sia professionali diventano labili – dice Savini Zangrandi ”. Quelli fisici perché anche chi fa parte di una organizzazione non grande deve legarsi e fare sinergia con altre competenze e conoscenze specifiche per dare più valore al prodotto e al servizio. Quelli professionali perché le professionalità si trovano dappertutto e il direttore delle risorse umane deve quindi affrontare realtà più fluide in cui le opportunità nascono dallo scambio di conoscenze con cervelli che vengono da tutte le parti del mondo».
Il profilo atteso per i prossimi anni è quello di un manager con una mentalità da problem solver, con molta apertura, con una visione globale e meno concentrato sul presidio della sua funzione in azienda. In altre parole per passare dal profilo attuale al profilo atteso ci sarà molto da lavorare perché in termini «di stile c’è una prevalenza di professionisti che hanno un atteggiamento di presidio della funzione e che vivono il loro ruolo come quello di chi deve guidare il rispetto delle regole – osserva Perri ”. Se poi andiamo a vedere i valori il 60% dei professionisti oggi dà peso a potere e competenze. Questo però rende difficile ragionare in una logica di partnership che è quella che chiede l’azienda aperta».
L’evoluzione«dalle competenze hard, normative, a quelle softè in corso da tempo ”osserva Savini Zangrandi ”, ma è un percorso lungo. stato accelerato negli ultimi anni grazie alla rete e quindi a internet e soprattutto alla globalizzazione che hacostretto a interagire positivamente in una varietà molto ampia di culture e modi di affrontare il lavoro». La diversità è ricchezza ma richiede molta fatica al momento di dover fare la sintesi e prendere decisioni. «Sicuramente ha rimesso in discussione la gestione delle emozioni – aggiunge Savini Zangrandi ”. Pensiamo solo al fatto che nella mensa di un’azienda dove lavorano persone che hanno culture e religioni diverse ci devono essere più linee perché se al musulmano cucini il maiale la prende come una mancanza di rispetto. Ea quel punto la motivazione diventamolto più difficile perché manca lo stare bene, il wellness».
L’intelligenza emotiva è senza dubbio uno dei grandi temi di discussione e di dibattito per chi si occupa di risorse umane. E rientra tra gli aspetti che chiedono molto lavoro.«L’assetto emotivo della maggioranza dei capi, secondo quanto è emerso dalla ricerca, è autoreferenziale ”spiega Perri ”.Molto centrato su se stesso e poco aperto, poco empatico. Chi è troppo concentrato sulla gestione delle proprie emozioni è ipercontrollato e interagisce poco. Al contrario il capo delle risorse umane in futuro dovrà promuovere il concetto di rete relazionale e quindi pensare ad aprirsi, a influenzare gli interlocutori e a mediare».
Il perché sta nel fatto che lo sviluppo organizzativo diventerà una priorità nelle imprese nei prossimi anni perché «sarà sempre più necessario valorizzare il capitale umano e trovare e scoprire le risorse all’interno. «Certo questo richiederà anche un diverso approccio dal lato aziendale.
Ancora oggi in molti casi nei ruoli apicali è richiesto un professionista con un’impostazione vecchia – dice Perri ”. Le priorità sono che sia laureato in giurisprudenza o in economia e che abbia conoscenza dei contratti e capacità negoziali. Al direttore vecchio stile viene poi affiancato un professionista esperto nello sviluppo organizzativo. Se vogliamo guardare al futuro però nel ruolo apicale dovrà esserci un capo che abbia lo sviluppo organizzativo tra le priorità. I tagli e le riorganizzazioni spesso portano a scelte dolorose. In passato si è troppo spesso agito pensando molto ai numeri e poco alle persone. In futuro bisognerà pensare più alle persone. Ma questo richiede quella sensibilità allo sviluppo organizzativo che rappresenta la sfida degli hr manager del futuro».