Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  giugno 09 Mercoledì calendario

Non c’è pace per Roberto Saviano. Quando non lo attaccano Berlusconi o Fede ci si mettono i sociologi di sinistra: l’ultimo è Alessandro Dal Lago, che ha pubblicato col Manifesto un librino intitolato Eroi di carta

Non c’è pace per Roberto Saviano. Quando non lo attaccano Berlusconi o Fede ci si mettono i sociologi di sinistra: l’ultimo è Alessandro Dal Lago, che ha pubblicato col Manifesto un librino intitolato Eroi di carta. Io sono parziale: ricordo troppo bene Roberto Saviano arrivare, umile e sconosciuto, alle Invasioni Barbariche per parlare di Gomorra, del quale Mondadori aveva stampato appena cinquemila copie. Sono testimone del fatto che le accuse che gli muovono – di essere un prodotto di marketing è la prima – sono scemenze. Roberto è sempre stato come lo vedete ora: ossessionato da quello che vedeva e appassionato del raccontarlo in forma narrativa. Ha sempre avuto, anche quando era un ventiseienne sconosciuto con la giacca di velluto bucata, quello sguardo. Ricordo una volta, non c’erano ancora state le minacce della camorra, che a Napoli andammo a mangiare pesce a Castel dell’Ovo: Roberto si portò il computer per mostrarmi le foto di un suo amico, foto terribili di morti di camorra. Non mangiò niente, immerso nei suoi racconti. Sono parziale, ma onesta: ho trovato il pamphlet di Dal Lago un prodotto surreale, impreciso e distratto, con grandi pretese ma poca sostanza. Un esempio? Scrive Dal Lago: «Non ci si rende conto che definire olocausto gli ammazzamenti di camorra significa violare ogni senso delle proporzioni, e quindi vaporizzare i fatti nelle iperboli?». Ma se la nota del libro stesso mostra che chi usa il termine «olocausto» non è Saviano bensì Dario Del Porto! Di queste imprecisioni ce ne sono un po’ troppe in un testo che pretende di fare le pulci a un altro. Tra le altre cose, Dal Lago accusa Saviano di non nominare nei suoi pezzi Berlusconi e i governanti di centrodestra per opportunismo: a parte che non è vero, perché li nomina – Cosentino per primo – ma non mi sembra ci sia riuscito tanto bene, a ingraziarseli: l’ha notato, Dal Lago? Che accusa, il conformismo che renderebbe Saviano inattaccabile: ma se non passa giorno che qualcuno esulti perché «finalmente gliele cantano, a quel ragazzino»? Basta vedere l’accoglienza che ha avuto il pamphlet sui blog o sui quotidiani di opinione, è tutto un «che liberazione»: in tanti non vedevano l’ora di scrivere che il re è nudo. Il fatto è che il re lo dice da un pezzo di essere nudo: Saviano ammette disperatamente che ha bisogno che si parli di lui, se no la camorra lo ammazza. Se Dal Lago passasse una giornata con Saviano e la sua scorta, costretto a una vita non di carta, ma di merda, con rispetto parlando, una vita in cui alle quattro del mattino ti portano a dormire in caserma perché c’è stato un allarme, riscriverebbe una roba così, piena di aggettivi come «tonitruante» per giunta ? Il «sociologo di sinistra» ha cercato di smascherare la prosa di Saviano come se potesse nascondere un inganno, un trucco. Ma Gomorra è lì, basta leggerlo senza pregiudizi per capirlo: è un’opera letteraria. Potente. Che ha saputo raccontare, come nessun’altra, che cos’ è oggi la camorra.