Antonella Amendola, Oggi, 9 giugno 2010, pag. 66, 9 giugno 2010
Salterà il tappo, ma non sapremo tutto. Pecette indica lo slargo in fondo a via di Donna Olimpia, quello spazio all’incrocio dei palazzoni delle case popolari che pomposamente chiamano piazza
Salterà il tappo, ma non sapremo tutto. Pecette indica lo slargo in fondo a via di Donna Olimpia, quello spazio all’incrocio dei palazzoni delle case popolari che pomposamente chiamano piazza. «Lì», dice, «quando pioveva s’allagava sempre; si formava una "marana" (un laghetto) e un barcarolo smistava il traffico dei pedoni. Più avanti c’erano i prati dove Pier Paolo giocava con noi a calcio. Era fortissimo. Un giorno per farci ridere, a noi pischelli, sollevò una mucca dalle zampe anteriori. A ni’ me credi? Uno così, che quand’era a New York, se girava il Bronx de notte, da solo, nun lo fa fori na’ caccoletta come Pelosi». Tutina a righe, quel volto scavato che è come un imprinting dell’anima, er Pecette, al secolo Silvio Parrello, pittore naif e poeta, è, tra i pasoliniani, l’erede designato, il ragazzo di vita che ha raccolto la fiaccola dell’arte e ora come un oracolo sentenzia: «Io so. E c’ho pure le prove. E sono andato a consultarmi con l’avvocato Calvi e il giudice Minisci mi ha ascoltato. Io so che il tappo sta per saltare. Succederà a settembre, quando uscirà il film di Dufour, un grande amico di Pier Paolo. Ma sarà una verità mozzata. Incastreranno solo i pischelli che quella notte tra il primo e il 2 novembre erano all’Idroscalo. E guarda un po’ me sento che Johnny il biondino, che la sa lunga, potrebbe pure sparire». Anche er Pecette sa. Sono troppi i particolari che ha raccolto in questi anni lunghi di pena, dacché il maestro se ne è andato, stritolato da un’intenzionale violenza omicida «e quando era ridotto a na’ poltiglia di sangue e nun sapeva più a che santo votasse, con l’ultimo fiato chiamava la mamma e l’hanno inteso quelli delle baracche. Mamma, mamma...». Signor Parrello, lei cosa sa di nuovo sul delitto Pasolini? «Faccio na’ premessa. Un mese prima della morte vedo Pier Paolo a spasso con un tale, Antonio Pinna, un mezzo criminale del nostro quartiere». Mezzo o intero? «Intero. Era anche stato al gabbio con il padre dei due fratelli Borsellino, Braciola e Bracioletta (gli altri due pischelli coinvolti), un pugile che poi si è suicidato». Embè? Gli è sembrato strano? «Sì. Tanto che, incontrando Pinna da solo, gli ho detto: «Ma che ce fai co’ Pier Paolo? E lui: "Nun ce lo sai che se vedemo?". S’incontravano. Secondo me Pinna era un informatore. Raccontava a Pasolini fatti della criminalità. Lui stava scrivendo il libro Petrolio. Nel quartiere cresceva il potere della banda della Magliana». E che c’entra Pinna col delitto dell’Idroscalo? «C’entra perché tanti anni dopo un carrozziere mi viene a dire che il giorno seguente il delitto si presenta in officina Pinna con una macchina Alfa Gt, uguale a quella di Pier Paolo, tutta ammaccata, con il parafango pieno di sangue e di capelli. Lui che è onesto, ha capito l’impiccio e nun s’è compromesso. La macchina è stata riparata da un altro carrozziere più de manica larga, diciamo. Il perito Faustino Durante al processo aveva subito escluso che Pier Paolo fosse stato investito dalla sua stessa automobile: troppo pulita, senza segni». All’Idroscalo c’erano due macchine? «Nina, ce n’erano tre. Quella di Pier Paolo, quella di chi l’ha accoppato e quella di chi, da lontano, sorvegliava». Un complotto? «Ma che davero davero puoi pensa’ che Pier Paolo se faceva mette de mezzo da Pelosi? Io lo conosco Pelosi...». Ah sì? E dove l’ha conosciuto? «Me so’ appostato all’Idroscalo con un giornalista amico quel giorno che Pino la rana ci andava per pulire l’arenile con la cooperativa giardini nella quale è inserito...». E com’è visto da vicino? «Uno che se caca addosso. M’è toccato pure dividerlo da un altro, un ragazzo che je gridava: "Assassino!". Ma nun l’ha ammazzato lui. C’ha pure un animo bbono. Un giorno m’è venuto a trova’ con un trancio de pizza». E che voleva? Sgravarsi l’anima? Raccontare finalmente la verità? «Ma che hai capito... Quello voleva sape’ quanto so’ arrivato addentro in questa storia». Quanto? «Parecchio. Dunque fa conto che quel Pinna criminale sparisce a marzo del ’76. Tre mesi dopo l’omicidio. Trovano la sua macchina al parcheggio dell’aeroporto. E nun se ne sa più niente. Un giorno viene nel mio studio di pittura un figlio che Pinna aveva avuto fuori dal matrimonio per avere sue notizie. Poi com’è, come nun’è spunta fori che Pinna l’ha beccato la stradale con una patente scaduta. Insomma, sarebbe ancora vivo. Lui può dire i fatti come sono andati». Come? «Devi mette l’orologio quattro giorni prima. Allora Pelosi sta in un bar, il Gran Caffè Italia, a Piazza dei Cinquecento e lo sentono che telefona: "Ah Fra’ io ce sto. Ma solo a menare...sinnò nun ce vengo. Mi raccomando, eh? Porta er dollaro...». Esce dal bar e poi ritorna e telefona ancora: "Ah Fra’ i soldi li voglio prima de sabbato... portameli davanti ar cinema". Prendeva accordi. Pier Paolo l’hanno ammazzato di sabato». Sono stati i fratelli Borsellino, Johnny il biondino e Pelosi? «Pelosi l’ha attirato all’Idroscalo. Forse gli ha promesso che avrebbe ritrovato le pizze del film Salò o le 120 giornate di Sodoma che gli avevano rubbato. Forse si sono fermati ad Acilia prima di arrivare a Ostia. Di sicuro il primo assalto alla macchina l’ha fatto Johnny il biondino, uno che ha ammazzato tre persone ed è rimasto zoppo dopo una sparatoria, che deve essere andato ad aprire lo sportello. Pier Paolo ha reagito ai suoi calci, gli deve aver preso la gamba: ecco come s’è sfilato il plantare che hanno poi ritrovato sotto il sedile». E poi? «Poi Ni’ sono intervenuti i grandi, chiamiamoli così, quelli della seconda macchina. Quelli che li avevano seguiti a fari spenti e che l’hanno pestato a sangue: gli sono passati pure sopra il corpo per essere sicuri di aver compiuto fino in fondo il loro compito». Pasolini s’è fidato di andare in quel buio dell’Idroscalo? «E come no? Je piaceva quel buio, ogni tanto s’affittava una camera là. Nun devi crede’ a tutte le bucie che hanno raccontato. Pelosi mica l’hanno preso al volante della macchina di Pier Paolo sul lungomare di Ostia. Quella è tutta na messainscena. Lui l’hanno preso sul posto: due carabinieri, di cui uno è ancora vivo; due che nun erano carabinieri normali, che non facevano pattugliamento sulle strade, ma venivano impiegati in certi uffici che aprivano e chiudevano. M’entendi?». E la macchina di Pier Paolo? «Dunque dopo il fattaccio se ne va, lemme, lemme, la macchina dei grandi. Poi se ne vanno i tre ragazzi con la moto e la macchina di Pier Paolo che fu lasciata alle 3 di notte al Tiburtino III, dove abitavano i Borsellino. Sul posto ci rimane come un fesso, a vomita’ gli spaghetti ajo e ojo che s’era magnato al Biondo Tevere, quel poveraccio de Pelosi». Si saprà mai la verità? «Sì. Ora stanno esaminando il plantare. E poi io credo che la tavoletta con sopra scritto Buttinelli, strappata da una staccionata, non fu usata dagli aggressori. Quelli c’avevano una spranga de fero. La tavoletta, mezza marcia, l’afferrò quel povero Cristo del maestro mio, per difendersi e ci stanno ancora appiccicati sangue e capelli...». Come in trance va a un cassetto e tira fuori foto del plantare, del maglioncino verde bucato, che, sostiene, è di uno dei fratelli Borsellino, e la camicia di Missoni, i jeans dello scrittore. Reliquie di un culto che gli divora l’anima. Mi mostra il primo piano degli stivaletti made in Italy. «Quando Pier Paolo», dice, «giocava a calcio con noi ragazzi aveva scarpe alla buona. Un giorno una si sfondò. Lo portai da mio padre ciabattino comunista che gli raccontò di quando stava al confino, a Ventatene con Pertini e lui ascoltava, ascoltava con gli occhi lucidi...».