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 2010  giugno 03 Giovedì calendario

AGGIORNAMENTO SULL’ATTACCO ISRAELIANO ALLE NAVI DIRETTE A GAZA

(per l’assalto, vedi scheda 211754. per aggiornamento del 4/6/2010 scheda 212216)-

Il governo israeliano ha ordinato la liberazione di quasi tutti gli attivisti stranieri che si trovavano a bordo della Freedom Flotilla, il convoglio di sei navi di Ong (a bordo 682 persone di 42 Paesi) in viaggio verso la Striscia di Gaza per portare aiuti umanitari ai palestinesi intercettato in mare nella notte di domenica.
Nella serata di mercoledì 2 giugno centinaia di attivisti detenuti nel carcere di Beer Sheva (tra questi, decine di feriti) e i cadaveri delle nove vittime (alcune delle quali non sono state ancora identificate) sono stati trasportati all’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv. Per ore gli attivisti sono stati trattenuti nello scalo in attesa dell’approvazione definitiva della Corte Suprema di Gerusalemme. In serata quasi tutti, compresi cinque dei sei italiani, hanno raggiunto Istanbul. I connazionali rientraeranno dopo essere stati sentiti dai magistrati turchi che sulla strage di Gaza hanno aperto un’inchiesta. Il sesto italiano, Manolo Luppichini, senza passaporto, non è decollato perché aveva inizialmente rifiutato Istanbul come destinazione. Partirà nella mattinata di oggi (3 giugno) con un documento dell’ambasciata.
I quattro arabi israeliani arrestati durante il blitz, compreso lo sceicco Raed Sallah del Movimento islamico del Nord, rimarranno in carcere ancora per una settimana.
Il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, ha intanto chiesto l’immediata revoca del blocco di Gaza «perché punisce civili innocenti». La Commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite ha deciso di condurre un’inchiesta internazionale sul blitz (vedi sotto, ndr). Dura la replica di Benjamin Netanyahu. In un discorso alla nazione il premier israeliano ha detto: «Siamo sottoposti a un attacco internazionale di ipocrisia» e ha ribadito che Israele non revocherà il blocco su Gaza. Resta da capire che cosa succederà al cargo Rachel Corrie proveniente dall’Irlanda con a bordo più di una tonnellata d’aiuti e che dovrebbe raggiungere la zona nei prossimi giorni. A bordo della nave anche il premio Nobel per la pace Mairead Corrigan. La Marmara - ha aggiunto Netanyahu - «non era una Love Boat ma una nave di odio». Se il blocco fosse forzato «attraccherebbero a Gaza decine, centinaia di navi, ciascuna delle quali potrebbe introdurre decine o centinaia di tonnellate di armi e di missili che Hamas userebbe poi contro la popolazione civile israeliana».
Il Mossad, il servizio segreto dello Stato di Israele, sta preparando un dossier sull’Ihh, il movimento turco che ha organizzato la flotta. Con basi anche in Bosnia, l’Insani yardim vafki sarebbe sato inserito dalla Cia tra i gruppi filo-qaedisti: nel 1999 si scoprì che alcuni suoi membri stavano preparando un attentato all’aeroporto internazionale di Los Angeles. Sulle navi fermate quelli dell’Ihh erano un centinaio e non avevano documenti. Sono stati identificati con le impronte digitali e con le schede inviate da altri servizi segreti.
Secondo Eliezer Maron, numero uno della marina militare israelina, a bordo della Mavi Marmara c’erano molte persone che avevano in tasca notevoli quantità di denaro, sofisticati corpetti antiproiettile, strumenti ottici per vedere nell’oscurità. Gli attivisti sarebbero stati divisi in squadre con compiti tattici precisi, dimostrando un’organizzazione di alto livello.
Almeno tre dei turchi uccisi, racconta la vedova di Ali Hayadar Bengi, 39 anni, studi sunniti al Cairo, quattro figli, membro dell’Ihh e venditore di telefonini, «volevano il martirio». Lo dicono anche gli amici di Ali Ekber Yaratilmis, 55 anni e cinque figli, e di Ibrahim Bilgem, 61 ani, sei figli, militante islamico.
L’Egitto, dopo aver di fatto sostenuto e rafforzato l’embargo contro la Striscia, ha deciso di aprire il valico di Rafah «a tempo indeterminato», permettendo il passaggio di persone, di beni umanitari e, per la prima volta, di generatori elettrici. I capi di Hamas si sono compiaciuti della decisione presa da Mubarak. Moltissimi palestinesi si sono riversati verso i cancelli inneggiando a Erdogan e alla Turchia.
A Ramallah il presidente palestinese Abu Mazen ha denunciato «il terrorismo di Stato israeliano» e ha auspicato che si metta fine al blocco della Striscia. Ieri nella città è tornato il mediatore statunitense per verificare se la bufera scoppiata in alto mare non abbia avuto ripercussioni sui negoziati indiretti da lui imbastiti tra Israele e Anp.

INCHIESTA INTERNAZIONALE-
La richiesta turca di un’inchiesta internazionale sulla strage della nave Marmara, presentata mercoledì 2 al Consiglio dei diritti dell’Uomo dell’Onu, ha ricevuto 32 sì su 47 votanti. Il Consiglio si è riunito a Ginevra su iniziativa del rappresentante palestinese e, Sudan, Pakistan (a nome della Lega araba) e Organizzazione della conferenza islamica, che chiedevano «una commissione internazionale d’inchiesta» sul blitz israeliano contro la flottilla di Ong diretta a Gaza. Il confronto è durato dieci ore. Nove gli astenuti, tra i quali Belgio, Francia, Ungheria, Slovacchia e Gran Bretagna. Fra i 32 voti a favore quelli di Russia, Cina e Slovenia, unico paese europeo ad approvare la risoluzione. Italia, Usa e Olanda hanno detto di no motivandolo, come ha detto Maurizio Massari, portavoce della Farnesina, col fatto che «Israele è uno Stato democratico e perfettamente in grado di condurre un’inchiesta credivile e indipendente». La maggioranza dei paesi Ue in Consiglio hanno scelto di astenersi, dopo che per ore l’Unione aveva provato a mediare una posizione comune fra tutti i suoi membri.
La risoluzione non si limita a chiedere una «missione interanzionale d’inchiesta» che spetterà alla presidenza messicana organizzare al più presto. Il testo condanna «il grave e oltraggioso attacco di Israele contro il convoglio umanitario» diretto a Gaza e chiede «alla potenza occupante Israele» di «togliere immediatamente l’assedio al territorio occupato di Gaza» e di «assicurare piena assistenza umanitaria alla popolazione» della Striscia.
La Turchia, il paese più colpito dal blitz, non è rappresentata nel Consiglio dei diritti umani dell’Onu. Ieri il parlamento di Ankara ha approvato una mozione con la quale si chiede al governo di «riesaminare le relazioni poliiche, militari ed economiche con Israele» e «di adottare le necessarie ed efficaci misure in proposito».
Lo stato ebraico ha contestato aspramente la decisione del Consiglio dei diritti umani, un organismo, ha detto il portavoce del governo, «che ha perduto da tempo la propria autorità morale e si concentra in maniera ossessiva e sproporzionata su Israele mente ignora vergognosamente massicce violazioni dei diritti umani nel resto del mondo».

N.B.: Il Consiglio per i diritti uani, composto da 47 paesi a rotazione, è una specie di palcoscenico minore: quello che non passa alle più alta delle istanze Onu, cioè al Consiglio di sicurezza, è riproposto a Ginevra.


LE NAZIONALITA’ DEI FERMATI:
1 Canada;
11 Usa;
31 Gran Bretagna;
9 Irlanda;
7 Marocco;
3 Mauritania;
28 Algeria;
1 Sudafrica;
3 Norvegia;
11 Svezia;
2 Azerbaijan;
15 Kuwait;
3 Pakistan;
4 Bahrein;
1 Oman;
12 Indonesia;
3 Australia;
11 Malaysia;
1 Nuova Zelanda;
2 Olanda;
5 Belgio;
9 Francia;
38 Grecia;
6 Italia;
11 Germania;
4 Repubblica Ceca;
1 Bosnia;
1 Serbia;
1 Kosowo;
2 Bulgaria;
3 Macedonia;
30 Giordania;
3 Siria;
3 Libano;
350 Turchia.


ALCUNE NOTIZIE SULLA RACHEL CORRIE:
Rachel Corrie era una pacifista statunitense di 23 anni che morì schiacciata da un bulldozer israeliano nel 2003 mentre cercava di impedire fisicamente la demolizione di una casa palestinese. «A bordo», scrive l’attivista Ali Abunimah sul suo blog, «ci sono Denis Halliday (ex assistente del Segretario generale alle Nazioni Unite), il Nobel Maireád Maguire, Derek e Jenny Graham, marito e moglie, la regista Fiona Thompson, l’avvocato di diritti civili Mathias Chang, attivisti e giornalisti malesi. I malesi hanno pieno appoggio dal loro governo. Abbiamo due giorni per trasformare questo oltraggio in una vittoria». Derek Graham, membro dell’equibpaggio della nave, ha spiegato che a bordo ci sono 15 attibisti, che l’equipaggio manterrà inormate le autorità israeliane sulla posizione esatta di ttutti e che tutti «resteranno seduti e con le mani ben in vista, in modo che i militari no possano ripetere quanto hanno fatto lunedì e sostenere che siamo stati noi ad attaccarli». Il governo israeliano ha fatto sapere di essere pronto a scortare il cargo verso le sue coste e farsi carico della consegna degli aiuti.

I MORTI -
I nove cadaveri recuperati dopo il blitz alla nave passeggeri Marmara non avevano documenti. Di dimensioni cospicue, nerboruti, hanno un’età compresa tra i 20 e i 50 anni. Per identificarli si è tentato di procedere per eliminazione, cancellando dalle liste dei passeggeri che risultavano essersi imbarcati sulla Marmara i nomi degli attivisti arrestati e detenuti nel carcere di Beer Sheva o ricoverati negli ospedali. Il margine di incertezza è rimasto elevato finché dalla Turchia non sono arrivate informazioni sulla loro identità. In tre, prima d’imarcarsi, avevano lasciato la netta impressione nelle rispettive famiglie di essere partiti per un viaggio senza ritorno e di cercare la morte nel nome dell’Islam.
Ibrahim Bilgan aveva 61 anni, era padre di sei figli. «Un religioso islamico, un filantropo» ha detto di lui un suo parente. «Allah gli ha concesso la morte che cercava», ha aggiunto. Anche Ali Akbar Yaratilmis era di età avanzata: un pensionato, padre di cinque figli, residente ad Ankara. «Aveva votato la vita alle opere di carità, voleva diventare un martire», precisano i familiari. «Aiutava i poveri e gli oppressi» anche la terza vittima identificata, Ali Haidar Bengi, 39 anni, quattro figli. In passato aveva frequentato corsi di Islam nella celebre università al-Azhar del Cairo. «Da anni voleva partire per la Palestina, pregava incessantemente di diventare un martire».
Il riconoscimento di queste persone è stato fatto probabilmente ancora a bordo della Marmara, da passeggeri che li conoscevano personalmente. Una quarta vittima sembra essere stata pure identificata: Muharram Kukak, un volontario dell’Ong Ihh che era fra gli organizzatori della flottiglia.
Sono rimasti invece senza nome i cinque cadaveri rimanenti: nemmeno i rappresentanti diplomatici turchi sono riusciti a fornire lumi. Qualcuno ha ipotizzato che possa trattarsi di volontari islamici provenienti da altri Paesi: forse la Bosnia, forse la Bulgaria. Ipotesi inquietante per Israele, perché questa pista forse implicherebbe un coinvolgimento attivo nella flottiglia di gruppi eversivi legati alla jihad mondiale.
La sorte dei cadaveri ha rappresentato per i dirigenti israeliani un drammatico dilemma. Da un lato vi era la necessità stringente di proseguire le indagini e verificare se fra di loro non ci fossero per caso emissari di Al Qaeda: così come avvenne diversi anni fa quando due kamikaze che si erano fatti esplodere in un caffé sul lungomare di Tel Aviv erano risultati essere pakistani trapiantati in Gran Bretagna. La loro identificazione richiese settimane.
«Tutti gli uccisi», ha assicurato lo Shin Bet, «avevano attaccato in prima persona i membri del commando». Ma l’ultimatum turco era ieri stringente: Israele doveva consegnare in blocco attivisti, feriti e cadaveri. Ed è stata ieri la prima volta che l’Istituto di Abu Kabir ha accettato di consegnare corpi che non aveva potuto identificare.

ALCUNE NOTIZIE SUI PASSEGGERI
I sei pacifisti italiani sono stati rinchiusi nel carcere Eila di Beersheva, nel deserto del Negev. L’italogiordano Abdel-Rahim Qaqer Awin è l’unico che ha firmato il modulo con l’ammissione delle sue responsabilità, gli altri cinque hanno detto di non voler riconoscere colpe non loro. Manolo Luppichini, 46 anni, documentarista, ha chiesto di riavere al più presto cellulari, pc e videocamere rimasti sulla nave. Marcello Faracci, doppio passaporto italiano e tedesco, freelance a Bruxelles, racconta: «Nel blitz un soldato mi ha puntato l’arma. partito un proiettile di gomma rosso, m’ha centrato alla spalla». Manuel Zani e il tenore Joe Fallisi, un cesenate di 30 anni e un milanese di 50, dicono di non aver visto nulla della strage: «Abbiamo solo cercato di proteggere chi girava le immagini». Angela Lano, la giornalista torinese di 47 anni, è riuscita a chiamare il marito: le hanno permesso di parlare solo in inglese, non in italiano.
L’armata pacifista è stata divisa in tre carceri. Greci e turchi, inglesi e irlandesi, tutti concordi nel raccontare il mare d’inferno: «Sono entrati e hanno cominciato a sparare alla gente» (Iara Lee, brasiliana); «i soldati erano mascherati, sono stati brutali» (Naorman Paech, ex deputato tedesco); «la nave era piena di sangue: col mio bambino di un anno sono rimasta in cabina a giocare, fuori si sentivano gli spari» (Nilufer Cetin, turca); «nessuno di noi aveva armi» (Issam Zaatar, belga)... La rabbia è superiore alla paura, molti rifarebbero tutto. Lenta lenta, è già sulla rotta di Gaza un’altra nave, la «Rachel Corrie» (dal nome d’una pacifista americana uccisa anni fa da un bulldozer israeliano). Gli aspiranti martiri non preoccupano più di tanto il governo, che fa sapere: non ci saranno sconti. L’ambasciata italiana ha avvertito i pacifisti italiani che, appena saranno espulsi, non potranno ritornare in Israele per un bel po’. Angela ha sgranato gli occhi: «Tornare? Non se ne parla proprio».

NOTIZIE SULLA IHH
La sede dell’IHH, «Insani yardim vafki», in turco Fondazione d’assistenza umanitaria, si trova sulla collina di Fatih. La Mavi Marmara, ammiraglia della flotta, 581 passeggeri a bordo, e un mercantile sono stati acquistati con lo zakat, quel 2,5 per cento che ogni pio musulmano si autotassa in beneficenza. «Da dove ci arrivano i soldi? Da chiunque voglia contribuire. I nostri conti correnti bancari sono trasparenti, la fondazione è ufficialmente registrata», dice Omar Faruk, uno dei dirigenti. Che non vuol parlare di cifre e dell’indagine della polizia turca nel 1997 («non mi ricordo»), uffici perquisiti, armi sequestrate, accuse di contatti con la jihad internazionale. L’inchiesta – segnalata in una ricerca dell’istituto danese per gli Studi internazionali – è stata rievocata in questi giorni dagli israeliani ed è alla base della tirata di Danny Ayalon, viceministro degli Esteri, contro «l’armata dell’odio e della violenza. Gli organizzatori sono noti per i loro rapporti con Al Qaeda e Hamas».

CHE COSA SUCCESSO ALLA KNESSET
Il 2 giugno, durante una seduta della Knesset (il parlamento isrealiano) è scoppiato un litigio che ha portato all’espulsione di undici parlamentari. La scintilla è partita da Hanin Zuabi, parlamentare araba del partito di minoranza Balad, salita sul podio per raccontare la sua esperienza a bordo della Freedom Flottila. La Zuabi si è dichiarata contraria all’embargo di Gaza, definendolo «un assedio illegale, inumano e illegittimo a cui ogni politico che abbia un pensiero morale dovrebbe opporsi». La parlamentare ha continuato spiegando la propria partecipazione alla missione della Flotilla come un «imperativo politico, umano e morale, in opposizione all’imprigionamento di un milione e mezzo di persone». Le proteste della maggioranza della Knesset sono partite ancora prima che Zuabi iniziasse a parlare, e la situazione è peggiorata in fretta, portando i parlamentari vicini a una vera e propria rissa, un evento mai accaduto nel parlamento israeliano. Anastasia Michaeli (dello Yisrael Beytenu, il terzo partito israeliano) ha cercato di prenderle il microfono per fermarla, Miri Regev (dei Likud, il partito di cui è leader Benjamin Netanyahu) le ha urlato «traditrice», dicendole di andarsene a Gaza. In pochissimi a difenderla.