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 2010  giugno 09 Mercoledì calendario

Qui di seguito pubblichiamo in anteprima gli estratti più gustosi di un’intervista speciale al c

Qui di seguito pubblichiamo in anteprima gli estratti più gustosi di un’intervista speciale al c.t. azzurro Marcello Lippi. A «torchiarlo», Silvia Tortora (figlia di Enzo) e Annalisa Bruchi, conduttrici di Big. La versione integrale andrà in onda su Raidue alla vigilia dei Mondiali, il 10 giugno alle 00.35. Silvia: Noi ancora ci emozioniamo a vedere le immagini del trionfo del 2006. «Anche io, e ogni volta che le guardo scappa sempre la lacrimuccia perchè sono emozioni che non hanno eguali». Annalisa: «Quando deve formare una squadra come quella dei Mondiali del 2006, cosa usa soprattutto? La tattica... S.: ...O il cuore, i giocatori? «Io dico sempre che non sono sicuro di aver portato ai Mondiali i più bravi calciatori dal punto di vista tecnico. Può darsi che qualcuno più bravo tecnicamente ci fosse ed è rimasto a casa, ma di sicuro ho portato dei fuoriclasse per quanto riguarda la voglia di mettersi a disposizione l’uno dell’altro». A.: Parliamo dei suoi genitori: il babbo era pasticciere, la mamma casalinga. «Mio padre ha fatto un po’ tutti i lavori». S.: Ma chi le ha trasmesso la passione per il calcio? «Mio padre no, perché mio padre non amava moltissimo il calcio, lui amava i cavalli. Noi ragazzi invece giocavamo sempre a pallone, tanto è vero che di compagni che giocavano anche meglio di me ce ne erano tantissimi. che poi oltre alle qualità ci vogliono altre doti per diventare dei calciatori». A.: Lei è approdato in serie A, 188 partite, un curriculum di tutto rispetto. Che voto si darebbe come giocatore? «Ero abbastanza bravo tecnicamente, un po’ lento, ma a quei tempi il calcio era molto diverso, adesso è molto più veloce. Però ero molto forte di testa e ho fatto anche qualche gol e non era facile, perché io giocavo in una squadra che lottava sempre per la sopravvivenza, per la salvezza, e fare 9 gol fra serie A e serie B non è poco». A.: E quindi che voto si da? «Un sette e mezzo». S.: Ma Lippi Mister l’avrebbe convocato il Lippi calciatore in Nazionale? «L’avrei convocato... Sono andato molto vicino alla Nazionale, ho giocato nell’Under 23 con Enzo Bearzot allenatore, e nel 1974, per i Mondiali di Germania, che poi andarono male per l’Italia, sono stato molto spesso visionato per poter far parte della squadra». A.: Lei diventa allenatore, ma aveva un’opzione bis nel caso non ce l’avesse fatta? «No, perché io sentivo il desiderio di lavorare sul campo, tanto è vero che a metà del mio percorso di calciatore, quando avevo 25 anni, feci già il corso di allenatore: è una cosa abbastanza inusuale, uno fa la carriera di calciatore, poi quando la finisce fa il corso». A.: Lei da allenatore guidava la squadra Primavera e poi finalmente passa ai professionisti, in C2 con il Pontedera. La prima partita è un disastro, prende subito un 3 a 0. « vero. Ero depresso per quella partita lì. La seconda finisce 2 a O, per gli altri sempre, e già rischio esonero perché era la prima esperienza. Poi abbiamo cominciato a vincere ed è andata bene. Era quello che volevo: stare con i professionisti, non con i giovani». S.: A livello di emozioni, se ne prova di più facendo il giocatore o l’allenatore? «Da allenatore, non c’è paragone. Perché sei a capo di un gruppo di 30 persone, e perciò tu vivi e sei sintonizzato con la testa di queste 30 persone e le emozioni, le tensioni sono nettamente superiori». A.: Lei riesce a tenere la squadra molto unita, ma quando c’è qualcuno invece che crea zizzania, che fa? «Se è un calciatore molto bravo cerco con tutte le mie forze e anche con la collaborazione di qualche personaggio importante della squadra di fargli capire che sta sbagliando. Se però non lo capisce, state tranquilli che lo prenderò per un orecchio e lo butterò fuori dal gruppo. Sì, perderò qualcosa, ma acquisterò molto: tutti daranno il 20 per cento in più». S.: Che rapporto umano aveva lei con Gianni Agnelli? «Era lui che ce l’aveva con me, era lui che mi aveva privilegiato di questa simpatia. Mi ricordo che il primo anno non veniva neanche a vederla la Juve, perché diceva che non era competitiva, andava a vedere il Milan e l’Inter. Allora un giorno gli dissero: "Ha visto che la Juve sta cominciando a vincere?". E lui disse: " più facile che la Ferrari vinca il mondiale che la Juventus il campionato". E invece noi vincemmo campionato e Coppa dei Campioni e lui si riavvicinò fortemente alla squadra. Mi faceva sempre un sacco di complimenti, poi veniva a trovare la squadra e in un’occasione disse: "Mi raccomando ragazzi, siete forti, avete anche Lippi, il miglior prodotto di Viareggio, dopo la Sandrelli"». S.: Suo padre, da vecchio socialista, aveva delle resistenze verso la famiglia Agnelli e quindi nel 1994, quando lei accettò l’incarico, la prima cosa che fece fu andare al cimitero, perché suo padre non c’era più. Cosa gli disse? «Dissi: "Papa abbi pazienza ma io alla Juve ci vado, anzi dammi una mano da lassù". Perché lui odiava il potere come tutti i socialisti di quel periodo, e di conseguenza odiava Agnelli». S.: Ma la famiglia quanto è stata importante per lei nei trionfi e nelle sconfitte? « stata importantissima, specie mia moglie. Perché si dice che i bambini, quando nascono, sono della mamma, non del papà, perché il papà ha la testa al lavoro. Ed è la verità perché, al di là della gioia che hai nel vedere un bambino, lo abbracci, lo baci, e poi te ne vai a lavorare... E perciò i figli li crescono le mamme, soprattutto nel mio lavoro. Quando poi ho cominciato ad andare lontano da casa, mi sono chiesto: "Ora cosa fai?". Ogni anno rischi di far cambiare la scuola ai figli, le amicizie, l’ambiente... Mi sembrava una forma di egoismo troppo forte, allora ho deciso che la mia famiglia vivesse e crescesse a Viareggio». A.: Che padre è stato? «Credo di essere stato un buon padre, sia pure nella mia assenza. Il merito della crescita dei figli va quasi esclusivamente a mia moglie, però io ho delle letterine dei miei figli che dicevano: "Al nostro papà che c’è sempre anche se non c’è quasi mai". Sono frasi molto belle, io stavo al telefono quattro volte al giorno, anche per un banale acquisto, che ne so, di un paio di ciabatte. Mia moglie diceva ai ragazzi: "Senti il papà e digli se puoi comprare le ciabatte". C’ero sempre». S.: Rimpianti ne ha? «Di non aver studiato abbastanza, non ho preso nessun diploma dopo la terza media, e poi mi sono dedicato quasi solo al calcio. Sono riuscito con molti sacrifici a farmi una discreta cultura generale, però non so le lingue: ho imparato il francese, che mi serve a poco, invece mi servirebbe l’inglese». A.: Lei crede in Dio? «Sicuramente credo in un Dio, perché tutto quello che ci circonda credo che l’abbia fatto qualcuno di soprannaturale». A.: Non vorrei essere blasfema, però noi crediamo molto, a parte in Dio, anche in lei. Speriamo che lei faccia il bis. Possiamo sognare? «Speriamo che Dio ci aiuti. Però mi sono accorto che Dio ti da una mano quando hai fatto il massimo per dartela da solo».