Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  giugno 01 Martedì calendario

L’ASSISTENZA AI MIGRANTI DUE SISTEMI A CONFRONTO

Mi riferisco al parallelo che si fa nei nostri media fra l’emigrazione italiana in Europa e altrove dopo la Seconda guerra mondiale e l’attuale immigrazione straniera in Italia. C’è un elemento di differenza importante. L’emigrazione italiana dagli anni Sessanta in poi non fu abbandonata a se stessa. In Germania si costituì una rete consolare di 12 uffici con assistenti sociali, cui si affiancavano missioni cattoliche, patronati sindacali e altri enti assistenziali. L’operazione fu condotta gradualmente e alla fine con successo, come posso testimoniare personalmente, data anche la spinta della nostra opinione pubblica. Nulla di simile è accaduto per le collettività straniere esistenti in Italia, non risulta che i governi dei Paesi degli immigrati assistano i propri connazionali anche quando si tratta di collettività numerose dalle quali provengono rimesse consistenti ai rispettivi Paesi d’origine. Noi come al solito ci autoflagelliamo per le carenze assistenziali verso il lavoratori stranieri e le loro famiglie, ma c’è da chiedere se i governi dei Paesi d’origine non debbano esser stimolati a seguire l’esempio che noi percorremmo qualche decennio fa.
Alessandro Grafini
Segretario generale dell’Iniziativa adriatico ionica
Caro Grafini, è certamente vero che i governi mediterranei, da cui proviene buona parte dell’immigrazione italiana, prestano ai loro connazionali, con qualche eccezione, un’assistenza insufficiente. Ma il confronto deve tenere conto di alcune importanti differenze. In primo luogo la rete italiana di assistenza a cui lei fa riferimento fu il risultato di un dibattito sull’emigrazione che accusava i governi nazionali di avere trattato il fenomeno, sino a quel momento, con una colpevole indifferenza. Fu un dibattito animato soprattutto dai partiti di sinistra, dalla sinistra cattolica, dai sindacati ed ebbe evidenti risvolti politici. Le comunità italiane in Europa, e in particolare quella della Repubblica federale, erano diventate utili serbatoi di voti e di consenso. Per molti versi la politica dell’emigrazione che l’Italia praticò fra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta fu la versione democratica di quella che era stata adottata dal fascismo quando Mussolini aveva creduto di potere utilizzare le comunità italiane nel mondo per promuovere le ambizioni nazionaliste del regime.
Il secondo fattore di cui occorre tenere conto è il numero dei consolati italiani. Dopo la caduta del fascismo, il ministero degli Esteri ereditò una rete straordinariamente capillare, creata per assistere l’emigrazione italiana delle generazioni precedenti e, in Germania, per i lavoratori (parecchie centinaia di migliaia) reclutati dall’Organizzazione Todt e impiegati nell’economia tedesca durante la guerra. Nessun Paese della costa meridionale del Mediterraneo ha strutture consolari altrettanto importanti.
Il terzo fattore, caro Grafini, è rappresentato dalle condizioni economiche dell’Italia nel periodo a cui lei ha fatto riferimento. Avevamo ricostruito il Paese grazie agli aiuti del Piano Marshall e alle nostre energie. Avevamo registrato tassi di crescita che fecero parlare di un «miracolo italiano». Eravamo partner di una comunità economica che avrebbe favorito, tra l’altro, lo sviluppo delle nostre esportazioni. E stavamo diventando una delle maggiori economie occidentali. Era inevitabile che a questi progressi corrispondesse anche un aumento delle aspettative civili e delle sensibilità sociali del Paese. Nei Paesi mediterranei dei nostri immigrati le cose, malauguratamente, sono andate in modo alquanto diverso. difficile immaginare, quindi, che questi Paesi siano in grado di imitarci.
Sergio Romano