Luigi Offeddu, Corriere della Sera 01/06/2010, 1 giugno 2010
DA TOPOLANEK A TONY BLAIR. QUANDO UNA FRASE METTE NEI GUAI
Se avrà bisogno di consolarsi, Horst Köhler potrà sempre telefonare a Mirek Topolanek, in quel di Praga: uno che non è un semplice apprendista delle gaffe, come lui; ma l’imperatore, il campione in carica, lo Schumacher-Milito-Tiger Woods degli strafalcioni in Europa. L’unico che in un sol colpo, con una tripletta secca di bestialità, a marzo è riuscito a offendere insieme la chiesa cattolica, gli omosessuali e gli ebrei. E così ha perso la guida del suo partito, l’Ods, trovandosi costretto alle dimissioni dopo che un anno prima aveva già perso la guida del governo per via (non solo, ma anche) di certe sue fotografie «nature» scattate a Villa Certosa, in Sardegna. A marzo, dunque, Topolanek ha superato se stesso. Nel rilasciare un’intervista a un giornale gay, ha infatti pensato bene di chiarire che Gustav Slamecka, ministro dei trasporti, non avrebbe una certa facilità alle dimissioni perché gay, ma per via «della sua personalità». Mentre Jan Fischer, il primo ministro, «si arrende anche prima», eppure «non è gay, lui è ebreo». A quel punto, mancavano solo i cristiani. E Topolanek ha rimediato, aggiungendo che le chiese cristiane ogni tanto lavano il cervello alla gente. Con metà dell’Ods che protestava, Topolanek ha dovuto farsi da parte. In più, al momento dell’addio, qualcuno è andato anche a ricordargli quel che aveva combinato a Bruxelles, nel 2009: quando il suo Paese era presidente di turno dell’Ue. In quei giorni, bisognava convincere gli europei che il Trattato di Lisbona era cosa buona, una Costituzione degna di tal nome: Topolanek diede il suo contributo dicendo davanti all’Europarlamento che il Trattato era «un po’ peggio» di quello precedente approvato a Nizza, e che i cechi l’avrebbero naturalmente bocciato se mai fossero stati chiamati al voto.
sempre una storia da campionato delle gaffe quella che nel 2006 vide protagonista l’allora premier britannico Tony Blair. Il suo Paese combatteva allora in Iraq, accanto alle truppe americane e a quelle di molti altre nazioni, i cui leader si sforzavano un giorno sì e uno no di convincere la propria opinione pubblica che la guerra andava benino, che si facevano progressi, insomma che valeva la pena di restare laggiù. E lui, Blair? «Un disastro. La guerra in Iraq, in gran parte, è stata finora un disastro». Parole dette, per di più, in un’intervista alla televisione Al Jazeera, dunque rivolte anche a tutto il modo arabo: bufera di proteste, e poco mancò che l’inquilino di Downing Street si vedesse consegnare l’avviso di sfratto.
Se anche dall’altra parte dell’Atlantico, negli Usa, vi sono sempre state lingue senza freni (il candido Jimmy Carter spiegò una volta che la figlia tredicenne si preoccupava molto per «la proliferazione nucleare» e i maliziosi spettatori scoppiarono a ridere), gli unici veri rivali davanti agli Schumacher-Milito d’Europa sono i loro colleghi del Sole Levante, i giapponesi. Per esempio Yoshiro Mori, premier nel 2000-2001, che quasi provocò una crisi diplomatica con gli Usa per averli definiti una nazione «piena di gangster» e per aver poi collegato questa timida constatazione alla diffusione dell’Aids. Subito dopo, passò alla politica interna: e disse che Osaka era una «sputacchiera». Ancora meglio ha saputo però fare Taro Aso, primo ministro nel 2008-2009, che diligentemente ha avuto una buona parola per tutte le categorie dei suoi elettori: dai pensionati («perché dovrei mantenere gente che non fa che mangiare e bere, senza mai uno sforzo per migliorare?»), ai genitori («gente che ha fallito con i suoi bambini»). Aso, spesso criticato per una certa indulgenza a pranzi e brindisi, ha saputo però essere anche auto-critico: una volta ha definito «puzzolenti» le politiche del suo governo. E almeno questo, certo, uno come Köhler non l’ha mai fatto.
Luigi Offeddu