Massimo Mucchetti, Corriere della Sera 01/06/2010, 1 giugno 2010
LA RICHIESTA: PIU’ POTERI COME IN EUROPA. IL BANCHIERE CHE SBAGLIA VA RIMOSSO
In dodici mesi molta acqua è passata sotto i ponti che collegano la Banca d’Italia al governo. Il flusso della crisi sembra aver trascinato via i vecchi contrasti sulle emergenze del sistema bancario. Nel 2009, era all’ordine del giorno la ricapitalizzazione delle banche, alla quale lo Stato poteva e voleva concorrere attraverso i Tremonti bond. La banca centrale non cassava quell’opportunità, ma la inseriva in un paniere di iniziative di mercato con ciò facendo da sponda ai maggiori gruppi bancari che consideravano troppo onerose quelle obbligazioni e troppo invasive le garanzie politiche e gestionali richieste. Si notò, nell’assemblea del 2009, la benevolenza con cui i tecnici di palazzo Koch accolsero la controproposta sulla monetizzazione delle quote della Banca d’Italia pensata, e avanzata a nome dei quotisti come forma di ricapitalizzazione delle banche più deboli, da Enrico Salza, allora presidente del consiglio di gestione di Intesa Sanpaolo. Adesso, l’urgenza di ricapitalizzare si avverte meno. Il problema esiste ancora, ma il governatore Mario Draghi ricorda che il core tier 1 dei primi 5 gruppi bancari ha raggiunto il 7,6% dal 5,8% di fine 2008. Adesso, semmai, ritorna il rischio di liquidità. Un fantasma terribile. Il suo manifestarsi innescò la Grande Crisi. Ma questa volta il pericolo viene dai debitori sovrani nelle cui obbligazioni sono investiti in buona parte gli attivi delle banche.
I riconoscimenti sul contenimento della spesa pubblica e delle pensioni assicurano al governo il concorso della banca centrale alla tutela del supremo bene della stabilità, posto dallo stesso ministro dell’Economia al centro della sua intervista al Corriere. Ed è in questo nuovo contesto che Draghi può spendere parole forti contro la tentazione della politica di rientrare nelle banche e può rivendicare un ruolo più forte della Vigilanza sui vigilati.
Inserendo un passaggio a braccio nel testo scritto, il governatore dice di non credere che sia interesse di nessuno tornare agli anni Settanta, quando la politica nominava gli amministratori delle banche e suggeriva pure i clienti di riguardo. «Saranno le fondazioni, nella loro autonomia, - chiarisce - le prime a tutelare l’indipendenza del management». E le fondazioni, per legge, hanno quale unico obiettivo il valore economico dell’investimento in banche che Draghi esorta a far credito alle imprese meritevoli quando pure i dati non giochino oggi a loro favore. Sono parole che sanciscono la pace raggiunta in Intesa Sanpaolo dopo i contrasti provocati da Torino. Parole simili a quelle di Giuseppe Guzzetti, il leader delle fondazioni. E impegnative nella pratica. Ma quella di Draghi è una linea che, se pure allontana la politica dall’esercizio del credito, non delega per intero lo scrutinio dei banchieri ai soci privati.
Garanzia del bene supremo della stabilità dentro le banche è il vaglio accurato dei requisiti ( d i professionalità e di onorabilità, ndr.) dei banchieri e degli altri intermediari da parte della Vigilanza. E lo è anche il nuovo potere, rivendicato dal governatore, di «rimuovere i responsabili di gestioni scorrette o altamente rischiose prima che la situazione sia gravemente deteriorata e si debbano perciò attivare provvedimenti di rigore». Mentre qualche banchiere in sala scuoteva la testa, Draghi ricorda che una simile estensione dei poteri della Vigilanza allineerebbe l’Italia agli altri Paesi. Il Comitato europeo dei supervisori bancari, del resto, la raccomanda e la stessa Commissione Ue ne sta valutando l’attuazione. Una doppia sfida, quella del governatore: oggi al governo, affinché si muova prima di esservi costretto; domani a sé stesso: a usare i nuovi poteri con rigore formale, oltre le cortine della moral suasion.
Massimo Mucchetti