Alberto Negri, Vittorio Da Rold,Il Sole 24 Ore, 1/6/2010, 1 giugno 2010
DUE ARTICOLI DEL SOLE SULL’ATTACCO DI ISRAELE DEL 31/5/2010
In frantumi l’asse con Ankara, di Alberto Negri -
Ci volevano persino dei "martiri" turchi in questo caos mediorientale? Il massacro della Mavi Marmara è un disastro umanitario e diplomatico che rischia di mandare definitivamente in frantumi le relazioni tra Ankara e Gerusalemme, l’asse geopolitico più importante della regione anche per gli Stati Uniti e la Nato. La stella di Davide e la Mezzaluna turca, ignorando le diversità culturali e religiose, per anni hanno sventolato assieme nel Mediterraneo: due alleati di ferro, con gli accordi di sicurezza e militari del ’94 e del ’96, nel fianco sud dell’Alleanza. Quindi non soltanto l’evento è di grande impatto emotivo e politico ma lo scenario è fosco perché, insieme alle esili speranze di pace, possono affondare tutti i piani di sicurezza, compresi quelli degli americani e degli europei che non possono rimanere soltanto spettatori costernati della vicenda.
Entrato da qualche tempo in rotta di collisione con Ankara, Israele, nel mondo musulmano, appare più isolato che mai. Il governo ebraico è riuscito nell’impresa maldestra di mettere la Turchia con le spalle al muro: l’uccisione dei civili su una nave battente bandiera turca, senza avvertire le autorità di Ankara del blitz, è stato un errore grossolano, uno schiaffo ai generali e agli ammiragli che in questi giorni dovevano avviare manovre congiunte con gli israeliani.
L’assalto è destinato a segnare un mutamento fatale - ma già in corso - della politica estera turca. Fu l’operazione Piombo Fuso, lanciata su Gaza dall’ex premier Olmert, ad aprire la crisi. Ankara svolgeva allora il ruolo di mediatore tra Israele e Siria sul Golan e poche ore prima dell’attacco, il 27 dicembre, Recep Tayyp Erdogan aveva concordato con Olmert un nuovo round di colloqui indiretti. Quando gli israeliani cominciarono a colpire, Erdogan si infuriò per non esserne stato informato. I negoziati si interruppero e da quel momento è cominciata una battaglia diplomatica senza precedenti. Erdogan e il presidente Peres litigarono in diretta tv al vertice di Davos del 2009, poi nell’ottobre scorso ci fu la decisione della Turchia di bloccare la partecipazione di Israele a un’esercitazione militare. Come se non bastasse qualche mese dopo arrivò l’umiliazione dell’ambasciatore turco a Tel Aviv, seguita dalle dichiarazioni di Erdogan che definivano «Israele la principale minaccia alla pace».
Da alleati che si scambiavano informazioni, Israele e la Turchia sono diventati sempre più diffidenti fino a sospettarsi reciprocamente di tradimento. Ankara rimprovera Gerusalemme di non avere rispettato i patti, Israele imputa alla Turchia di essere andata in soccorso dell’Iran con l’accordo sull’uranio arricchito mediato con il Brasile. Ma tutto questo sarebbe stato rimediabile, in un’ottica di realpolitik, se non fossero cambiati i dati strategici: oggi in medio oriente le potenze musulmane dominanti sono la Turchia e l’Iran che hanno instaurato con il mondo arabo rapporti ben diversi rispetto al passato. La Turchia ha aperto da tempo una nuova frontiera diplomatica che mette l’accento sul suo ruolo di superpotenza regionale e asiatica, coinvolta in missioni come l’Afghanistan e il Libano. Lo slogan del suo ministro degli Esteri Davetoglu è «zero problemi con i vicini» da qui il miglioramento delle relazioni con i paesi confinanti, dalla Siria all’Iraq, dove Ankara non ha seguito la linea americana, rifiutando nel 2003 il passaggio delle truppe sul suo territorio. I cambiamenti non sono dovuti soltanto all’ascesa del partito islamico e al ridimensionamento del ruolo dei generali ma anche alla convinzione dell’establishment che la Turchia deve utilizzare appieno i suoi asset strategici.
Israele è servito ad Ankara quando, ancora avvolta nella spirale della guerra fredda, aveva bisogno di un alleato in medio oriente. La Siria, che sosteneva i curdi di Ocalan, era un nemico, l’Iraq di Saddam un paese di cui sospettare, l’Iran un concorrente con un’ideologia islamica pericolosa. Fu per questo che la Turchia permetteva agli israeliani di spiare dal suo territorio gli stati confinanti: alcune delle guerre del medio oriente, contro i curdi per esempio, sono state alimentate da questa collaborazione. Ma quando i turchi hanno inaugurato una politica neo-ottomana di espansione e buon vicinato, Israele è diventato prima un amico ingombrante, poi un alleato scomodo e da ieri uno stato ostile.
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UNA ONG RADICALE, VICINA AD HAMAS di Vittorio Da Rold
Tre delle sei navi della flottiglia attaccata da Israele son state fornite dalla Ong turca legata al governo, Insani Yardim Vakfi Ihh, Fondazione per l’aiuto umanitario. Fra queste c’è l’ammiraglia della flotta, il traghetto Mavi Marmaris, con 585 persone a bordo, dove è avvenuta la strage.
Ma cos’è esattamente la Insani Yardim Vakfi? Dietro la Ihh si sospetta ci sia il mondo arabo musulmano con un tipico gioco di scatole cinesi. Da anni i manifestanti pro-Palestina della Ihh tappezzano Istanbul ma è stato due settimane fa che le tre navi turche della flottiglia sono partite davanti a una piccola folla che acclamava (le autorità turche dunque sapevano), dalla punta sotto il Topkapi a Istanbul.
L’ammiraglia è stata acquistata dalla Ihh - ha detto il fondatore e presidente Bulent Yildirim al quotidiano laico Hurriyet - per 800mila dollari. Sulla Ihh, fondata nel 1992 e registrata a Istanbul nel 1995, negli ultimi tempi si è addensato più di un sospetto di foraggiare i movimenti islamici più integralisti.
Secondo un rapporto del Centro israeliano di intelligence e terrorismo (Itic), l’Ihh sarebbe un’organizzazione radicale islamica anti-occidentale e il suo fondatore, Yildirim, avrebbe stretti legami con il leader di Hamas a Damasco Khaled Meshaal e con i Fratelli musulmani in Egitto. L’Ihh è molto attivo a Gaza dove ha aperto una filiale.
Sempre secondo il rapporto dell’Itic, oltre ad assolvere ai propri compiti istituzionali, l’Ihh sosterrebbe finanziariamente anche reti terroristiche islamiche tramite l’organizzazione Unione del Bene cui aderisce insieme con altre circa 50 fondazioni islamiche. Inquietante pure il fatto che, da un’analisi dei tabulati telefonici dell’Ihh risalente al 1996, risulterebbe una serie di telefonate a una casa a Milano che risultò essere un covo di presunti terroristi algerini legati ad al-Quaeda.
Montature? Forse, ma da ricerche condotte nel 2006 dall’analista Usa conservatore Evan Kohllman per l’Istituto danese di studi internazionali, risultò che l’Ihh aveva avuto collegamenti con al-Quaeda e con agenti della Jihad internazionale. Nel 1997 racconta Kohlman che un raid della polizia turca scoprì armi, esplosivo e istruzioni per costruire bombe nella sede Ihh di Istanbul. Leader arrestati e poi scarcerati.
Secondo i servizi francesi, verso la metà degli anni Novanta Bulent Yildirim era stato coinvolto nel reclutamento di veterani per organizzare attività di Jihad in Bosnia. Dopo i fatti di ieri, acquistano un altro significato le parole pronucnaite il 7 aprile scorso, durante una conferenza stampa a Istanbul, da Yildirim: la folttiglia sarà "una prova" per lo stato ebraico. "Se Israele dovesse opporsi alla flottiglia - aveva detto - sarebbe come una dichiarazione di guerra da quei paesi i cui attivisti si trovano a bordo delle navi". Preveggenza o provocazione programmata?