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 2010  giugno 01 Martedì calendario

LE AZIENDE SCELGONO USA E ROMANIA

«Per noi gli Stati Uniti restano il primo mercato. Valgono un quarto del nostro fatturato. dal 1985 che ci siamo. Abbiamo una quarantina di persone a Charlotte, nel North Caroline. Una collocazione perfetta: vicina ai porti di Savannah e di Charleston. Sulle strade che portano al Midwest agricolo. E, ora, con l’euro debole, si torna a lavorare con calma».
La consociata americana di Fabio Storchi, presidente della Comer Industries di Reggiolo, è una delle 1.621 controllate italiane che negli Stati Uniti hanno in tutto 148mila addetti: secondo l’Istat,sitratta del Paese straniero con il numero maggiore di dipendenti che lavorano in società a capitale direttamente o indirettamente riconducibile all’Italia; se invece si considera il numero di imprese, quello a più alta penetrazione italiana resta il capitalismo povero della Romania, con 3.925 aziende e 147mila occupati. «A Charlotte - spiega Storchi- abbiamo il supporto alla vendita e al postvendita alle nostre trasmissioni per le macchine agricole, le macchine movimento terra, le gru e le pale eoliche della green economy. Quest’anno la Comer chiuderà a 275 milioni di euro, in crescita rispetto ai 241 milioni di quello precedente. L’export pesa per l’80 per cento. E un euro più debole ci sta aiutando a consolidare le posizioni, soprattutto negli Stati Uniti».
Per l’Istat,che elabora dati relativi al 2007, le imprese che hanno controllate all’estero sono oltre 20mila, sono di medie dimensioni e impiegano oltre 1,4 milioni di addetti per un fatturato complessivo di circa 389 miliardi di euro.
Le più numerose sono le imprese dei servizi non finanziari (11.279 aziende) e non quelle dei settori industriali (7.843). Tuttavia queste ultime pesano di più a livello economico (circa 182 miliardi di fatturato) e contano circa 838 mila addetti. La dimensione media delle controllate italiane all’estero è pari a 70,9 addetti, inferiore a quella delle imprese a controllo estero che operano in Italia (86,6 addetti).
Le attività manifatturiere realizzano all’estero un fatturato pari al 13,2% di quello conseguito in Italia, mentre in termini di addetti la percentuale sale al 16,3%. Percentuali più basse si rilevano per il commercio. Oltrea Stati Uniti e a Romania, gli altri paesi in cui le aziende italiane hanno aperto filiali sono la Germania (1.404 consociate, con quasi 117 mila addetti) e Francia (1.658 imprese, oltre 100 mila addetti). Significativa la presenza italiana in Brasile (oltre 500 imprese con più di 94 mila addetti) e Cina (792 con 85 mila occupati). Una discreta localizzazione si segnala anche in Russia, Argentina, India e Messico. Anche se, naturalmente, in quei Paesi si sta per ragioni diverse: basti pensare che, secondo le elaborazioni dell’Istat, in media un addetto costa 49mila euro all’anno negli Stati Uniti, 15mila euro in Brasile, 5mila euro in Russia e 3mila euro in Cina.
«I dati Istat si fermano al 2007 - commenta Marco Mutinelli, economista dell’Università di Brescia - ma l’impressione è che nel 2008 e nel 2009 il trend sia quello del consolidamento ». Mutinelli rileva la discreta solidità di una tendenza che ha visto acquisizioni significative dal 2005 a oggi: Unicredit che ha comperato Hvb in Germania e in Austria, Enel che ha rilevato Endesa in Spagna, Finmeccanica che ha acquisito Drs negli Stati Uniti, Eni che ha acquistato Distrigaz in Belgio. «Va poi considerata l’operazione Chrysler Fiat- osserva Mutinelli, che gestisce anche la banca dati Reprint del Politecnico di Milano sull’internazionalizzazione- che nominalmente vale zero, ma che comunque rappresenta il principale buyout mai compiuto da un gruppo italiano negli Stati Uniti».