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 2010  giugno 01 Martedì calendario

DUE ARTICOLI DELLA REPUBBLICA SULL’ASSALTO ISRAELIANO DEL 31/5



Israele assalta le navi della pace dirette a Gaza con gli aiuti di Alberto Stabile -
Spranghe di ferro e coltelli da lavoro, fionde e biglie. Le immagini dell´arsenale dei pacifisti scorre sugli schermi israeliani assieme ai fotogrammi, ripresi dall´alto, della nave "Mavi Marmara" sulla quale, alle quattro del mattino di lunedì, in un specchio di mare piatto come l´olio, s´è consumata la strage.
Figurine nere come formiche s´ammassano intorno ad altre figurine nere, si agitano, si disperdono, si ricompattano. Poi, splash, qualcosa, o qualcuno finisce in mare. Troppo poco per capire come mai alla fine dello scontro tra i commando della marina israeliana e gli attivisti decisi a spezzare il blocco di Gaza, siano rimasti a terra almeno nove morti, quasi tutti cittadini turchi, e una trentina di feriti, tra i quali sette militari.
E´ bene dire subito che le uniche fonti disponibili per ricostruire il tragico arrembaggio contro la flottiglia umanitaria sono israeliane. Già due ore prima che venisse dato l´ordine di attaccare, i telefonini degli attivisti (circa settecento, oltre 500 dei quali sulla Marmara, gli altri disseminati su altre quattro imbarcazioni più piccole cariche di 10 mila tonnellate di beni di prima necessità) erano stati messi fuori gioco. Da allora, nessuna voce, nessuna testimonianza è trapelata oltre il muro eretto dalle autorità dello stato ebraico attorno ai passeggeri e agli equipaggi della flottiglia scortata, manu militari, nel porto di Ashdod.
La premessa da cui la marina israeliana ha tratto spunto per intervenire è che, per usare le parole del vice ministro degli Esteri, Ayalon, il convoglio pacifista costituisse una «minaccia per la sicurezza d´Israele». Nel senso che, se non fosse stato fermata in tempo, la flottiglia dell´organizzazione Free Gaza Moviment avrebbe potuto facilmente aprire un varco nel cordone sanitario che da quasi tre anni circonda la Striscia, permettendo prima o poi il passaggio di armi, munizioni, esplosivi, missili diretti alle milizie dell´odiato nemico, il movimento islamico, Hamas.
Ma questo ancora non spiega la strage. Forse, come il numero delle vittime da una parte e dall´altra lascerebbe pensare, un uso sproporzionato della forza da parte degli israeliani? Niente affatto, ha spiegato il ministro della Difesa Ehud Barak.
Piuttosto, diversamente da quanto era stato previsto, gli uomini rana comandati all´arrembaggio si sono trovati di fronte ad una «resistenza estremamente violenta» da parte degli attivisti pacifisti, resistenza cui sono seguiti scontri durissimi durante i quali, in diverse occasioni, le vite dei militari sono state messe in pericolo. Da qui la decisione di usare armi da fuoco e munizioni letali. In sostanza, come avrebbe sancito anche il premier Netanyahu, le truppe hanno sparato per legittima difesa.
Tutto è pronto, dunque, alle 4,30 del mattino, per l´arrembaggio. La marina ha schierato tre navi, dalle immagini tv sembrerebbero delle corvette lanciamissili. Ma il dispositivo è più ampio. Prevede anche l´impiego di gommoni silenziosi, che possono scivolare non visti lungo le fiancate della Marmara, nel caso se ne debbano scalare le murate, e due elicotteri per l´attacco a sorpresa. Il quale deve essere portato dagli uomini dalla famosa Shayetet 13, ovvero i commandos della marina, unità d´elite delle più prestigiose, uomini rana addestrati ad ogni tipo di combattimento, al cui nome s´accoppia il numero 13 perché, al momento della nascita di quest´unità, i volontari che ne fecero parte erano soltanto in 13.
Avvolti nelle tute nere, le facce nascoste dai cappucci, gli uomini rana si preparano a scivolare uno alla volta lungo la fune tesa dall´elicottero verso il ponte della nave. Il piano prevede un´azione fulminea. Lo scontro, inevitabile, con gli attivisti non deve ritardare l´obiettivo dell´operazione che è quello di penetrare nella cabina di comando ed ordinare agli ufficiali della Marmara d´invertire la rotta verso Ashdod. Invece, secondo uno dei maggiori esperi militari israeliani, il giornalista Ron Ben Yishai, un gruppo di attivisti, una ventina di persone, aspetta gli uomini rana con l´intenzione di complicare loro la vita.
Prima legano la fune ad un´antenna, nell´intento di disturbare il volo dell´elicottero, poi si preparano a ricevere gli assalitori armati di spranghe e coltelli. Lo scontro è violentissimo, ma anche, si potrebbe aggiungere, asimmetrico. Sta di fatto che il commando viene autorizzato a passare dai proiettili antisommossa, alle granate assordanti, alle munizioni letali. Mentre il comandante dell´operazione chiede ed ottiene rinforzi che arrivano con un altro elicottero. Ed è lì che, secondo le fonti israeliane, lo scontro degenera. Perché un paio di attivisti riescono ad impossessarsi delle armi da fuoco delle truppe speciali e sparano, ferendo due militari, alla gambe e all´addome, e provocando la risposta dei militari.
Gli uomini del commando, dice questa ricostruzione, erano preparati a incontrare soprattutto attivisti politici impegnati a condurre una protesta, piuttosto che combattenti addestrati alla guerriglia urbana. Ai soldati israeliani sarebbe stato impartito l´ordine di usare le loro armi da fuoco soltanto in casi estremi.
Ma subito la discesa delle truppe speciali sul ponte della nave è diventata un´impresa quasi impossibile, perché i riottosi pacifisti non avevano nessuna intenzione di arretrare. «Tirate le granate assordanti», ha urlato allora nella notte il comandante della marina, che dirigeva le operazioni su un apposito battello.
Le granate esplodevano ma gli attivisti, anziché fuggire, aumentavano di numero. Ora erano una trentina e, più agguerriti che mai, sarebbero riusciti a catturare alcuni uomini del commando israeliano, picchiandoli selvaggiamente. Un militare, sarebbe stato addirittura buttato dal ponte di comando su un ponte sottostante. Da qui, il permesso di usare munizioni letali.
«Bugie», ha commentato Greta Berlin una delle organizzatrici della protesta. «Sulla flottiglia c´erano soltanto pacifisti disarmati che non avevano alcuna intenzione di scatenare uno scontro». La Berlin, tuttavia, non era tra i passeggeri della Marmara. Dunque, quel che è successo sulla nave, si può soltanto immaginare. I filmati della stessa marina israeliana non offrono dettagli significativi e soprattutto, se dalle immagini si può intuire la reazione dei passeggeri contro l´arrembaggio, nulla si vede della reazione letale degli assalitori, i colpi sparati, i civili caduti. Non molto di più dicono le immagini di al Jazeera, che si soffermano sul caos dei soccorsi, il roteare nel buio dei bastoni, le barelle insanguinate, le kefyeh e le sciarpe palestinesi strappate e abbandonate sul ponte.
Per la Turchia, però, ce n´è abbastanza per tacciare il comportamento degli israeliani come «disumano», richiamare il proprio ambasciatore in Israele e chiedere una riunione urgente del Consiglio di sicurezza alle Nazioni Unite. La maggior parte dei morti, dei feriti e dei fermati sono cittadini turchi, di cui Ankara esige l´immediato ritorno in patria. la conclusione prevedibile di lunghi mesi di tensione esplosa, dopo l´operazione Piombo fuso, contro Hamas a Gaza (dicembre 2008-gennaio 2009) tra due paesi che pure avevano goduto di quasi vent´anni di collaborazione.
Dal naviglio che entra a mezzogiorno nel porto di Ashdod non trapela nulla. Si sa dalle indiscrezioni trapelate alla vigilia dell´operazione che le autorità israeliane hanno approntato delle strutture per interrogare i passeggeri del convoglio umanitario, i quali subiranno sorti diverse. Quelli che intendono collaborare saranno rispediti nei rispettivi paesi di provenienza, quelli che intralceranno le indagini saranno arrestati. Secondo il sito del giornale Haaretz una ventina di attivisti avrebbe già scelto questa seconda via.
Ma si sa poco su quel che succede al di là dei cancelli, chiusi alla stampa ed anche ai diplomatici, del porto di Ashdod. Silenzio anche sulla sorte dei quattro italiani partecipanti alla flottiglia, del Nobel irlandese Corrigan-Maguire, del leader del movimento islamico in Galilea, gli arabi israeliane, sheik Raed Salah, dato prima fra le vittime, poi tra i feriti e infine apparentemente rimasto illeso, così come del famoso monsignor Hilaryon Cappucci, il vescovo melchita amico di Arafat.

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MILITANTI, DIPLOMATICI E SCRITTORI SULLA STRANA FLOTTA DI FREE GAZA di Alessandra Baduel -
Erano partiti due anni fa in ottanta, sono diventati quasi 800. Erano un gruppo di pacifisti quasi tutti occidentali, quelli del Free Gaza Movement, accompagnati da decine di rappresentati della stampa: a Gaza sono sbarcati più volte, con grande clamore e senza subire perdite. Ma lo speronamento di una delle navi della pace avvenuto durante i bombardamenti israeliani su Gaza dell´operazione "Piombo fuso", fra fine 2008 e inizio 2009, ha cambiato tutto. Altre associazioni sono state coinvolte: European Campaign to End the Siege of Gaza, le due Ship to Gaza greca e svedese, l´International Committee to Lift the Siege on Gaza, la Perdana Global Peace Organization dell´islamica Malesia. E l´ong turca Insani Yardim Vakfi, molto vicina al proprio governo e fuorilegge in Israele perché accusata sia di finanziare Hamas che di avere stretti legami con il terrorismo islamico. Essere in tanti, pensavano i pionieri di Free Gaza, ci aiuterà a passare. La spedizione del 2010 l´avevano preparata per mesi: otto navi, diecimila tonnellate di materiale. finita in strage. I quattro italiani imbarcati, tutti salvi, sono la giornalista Angela Lano, il regista Manolo Luppichini, il tenore Joe Fallisi, il reporter Manuele Zani. Arrestati con gli altri, hanno avuto l´offerta di andarsene se accettavano il rimpatrio. Hanno rifiutato in tre.
Gli inizi sono epici: due pescherecci malridotti, volenterosi esperti di natanti che si nascondono nelle insenature di due isolette greche per rimetterli in grado di navigare. Alla partenza, nell´agosto del 2008, a bordo ci sono ottanta persone di 16 diverse nazionalità. C´è l´ebrea americana Hedi Epstein, scampata all´Olocausto mentre la famiglia moriva ad Auschwitz, da sempre impegnata per i diritti dei palestinesi. E soprattutto ci sono i media, da Al Jazeera alla Bbc. C´è perfino un inviato di Rolling Stone: quasi una persona su due, a bordo, è giornalista. Gli israeliani accerchiano i pescherecci, ma poi li lasciano sbarcare a Gaza con i medicinali che hanno a bordo. Alla partenza, imbarcano malati, in particolare un bambino che ha bisogno di una protesi, e studenti palestinesi che hanno vinto borse di studio all´estero e che così potranno andare nelle università che li avevano scelti. un bel successo.
Segue un secondo viaggio con due nuove navi e buoni risultati nel novembre del 2008. Poi scatta "Piombo fuso". La Freedom Flotilla si riavvicina sotto i bombardamenti. Gli israeliani speronano una delle due navi, che trova riparo in Libano. Da quel momento, ogni altro tentativo di avvicinarsi alle coste di Gaza viene bloccato. Fino al viaggio partito in questi giorni dopo accurati preparativi. La flottiglia è diventata una flotta di otto natanti. A bordo 750 persone di 40 nazionalità e carichi di calcestruzzo, medicine, pasta, cioccolata, libri, giocattoli. Che i pacifisti rifiutano di scaricare in mani israeliane, quando Tel Aviv nega l´accesso a Gaza e propone di inoltrare i materiali dopo averli esaminati. Di quei 750, 35 sono esponenti politici, altri sono personaggi del mondo della cultura, quasi tutti sono semplici volontari di ong. In 546 erano a bordo del traghetto attaccato.


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L’OSSESSIONE DI UN PAESE di Bernardo Valli
Il sanguinoso arrembaggio alle navi dei pacifisti dirette a Gaza non può che avere conseguenze politiche devastanti per chi l´ha promosso, quindi per Israele. Commentatori israeliani avveduti avevano già definito «stupido», alla vigilia del dramma, l´atteggiamento intransigente, minaccioso, insomma eccessivo, delle autorità politiche e militari di Gerusalemme nei confronti della «Flotta della pace». Quasi fosse un´armada nelle acque del Mediterraneo pronta a sfidare lo Stato ebraico.
E quasi fosse capace di comprometterne sia la sicurezza sia l´onore. Insomma come se fosse un convoglio di terroristi. Certo, la spedizione pacifista sfidava l´embargo imposto a Gaza e quindi si proponeva di infrangere i divieti israeliani. Ma non si affronta una manifestazione pacifista con un arrembaggio, armi alla mano, come se si trattasse appunto di sventare, prevenire un attacco di terroristi corsari. Terroristi corsari che, stando alle denunce di Gerusalemme, possedevano in tutto due rivoltelle (non mostrate), coltelli e sbarre di ferro, usate dai passeggeri quando sono stati sorpresi dal commando israeliano. Il convoglio della «Flotta della Pace» poteva essere bloccato in modo meno rischioso. Meno sanguinoso.
La società israeliana rispetta al suo interno le regole democratiche, applica di solito, sempre entro i suoi confini, metodi civili per affrontare le proteste disarmate, ma quando agisce fuori dalle sue legittime frontiere il governo israeliano e le sue forze armate non ne tengono sempre conto. L´ossessione della sicurezza, in parte giustificata dalla storia dello Stato ebraico e dalla situazione in cui si trova, conduce a eccessi e abusi che l´opinione internazionale, compresa quella favorevole, rifiuta o stenta ad accettare. L´arrembaggio a navi disarmate nelle acque internazionali, che si è concluso con morti e feriti, è uno di questi eccessi. Lo è al di là dei dettagli che le invocate e più o meno attendibili inchieste accerteranno.
Il dramma al largo di Gaza è devastante per Israele e favorisce i suoi avversari. Né il ministro della difesa Ehud Barak, un laburista, che ha certamente studiato e approvato l´operazione, né il primo ministro Benjamin Netanyahu, un falco che quando vuole sa essere pragmatico, avevano previsto le conseguenze di un´azione tanto carica di rischi. Entrambi hanno offerto un´occasione insperata al principale nemico di Israele, in campo palestinese. Hamas in queste ore trionfa. Le piazze arabe si riempiono per manifestare in suo favore e contro Israele. Non solo. Nella Cisgiordania occupata, dove da tempo l´Olp collabora con gli israeliani nel dare la caccia alla gente di Hamas, sono stati decretati tre giorni di lutto e si manifesta in favore di Gaza. Gli integralisti esultano. In quanto ai negoziati indiretti tra l´Olp e Israele ci vorrà del tempo prima di riparlarne. Dopo il dramma al largo di Gaza, Mahmud Abbas, presidente dell´Autorità palestinese, e il suo primo ministro, Salam Fayed, non sono certo disponibili per un dialogo. In queste ore è come se il loro avversario, Ismail Haniyeh, leader di Hamas a Gaza, avesse vinto una battaglia.
La prima nave ad essere attaccata dai commandos israeliani esponeva sulle fiancate un´enorme bandiera turca accanto a quella palestinese. E gli uccisi durante l´arrembaggio erano quasi tutti turchi. Questo non fa che peggiorare i già cattivi rapporti tra Istambul e Gerusalemme. Da due anni ormai l´alleanza strategica, politica e militare, tra i due Paesi è entrata in crisi. Israele e Turchia sono le due potenze mediorientali più legate agli Stati Uniti. Nel ´96 hanno firmato un accordo di cooperazione militare con grande soddisfazione degli americani. Il vincolo tra la Turchia, vecchio pilastro della Nato, e Israele, alleato irrinunciabile, appariva ai loro occhi prezioso. E lo era. Ma dopo l´operazione israeliana a Gaza, alla fine del 2008, l´amicizia israelo - turca si è trasformata in un´ostilità (finora verbale) sempre più aspra. Istanbul ha condannato l´intervento israeliano e le dichiarazioni critiche di Recep Tayyip Erdogan, alla testa di un governo islamo - conservatore, si sono moltiplicate, fino ad affermare che lo Stato ebraico è «la principale minaccia per la pace» in Medio Oriente. La tensione si è poi accentuata, quando la Turchia (insieme al Brasile) ha concluso con l´Iran un accordo sul problema nucleare. Erdogan è cosi diventato il paladino dei palestinesi e un interlocutore privilegiato dell´Iran. Insomma, un amico degli avversari di Israele. I turchi uccisi dagli israeliani al largo di Gaza potrebbero condurre, col tempo, anche a un rottura dei rapporti diplomatici.
Per Barak Obama è un disastro assistere al divorzio politico e militare dei suoi due (sia pur difficili) alleati in Medio Oriente. Come è un disastro in queste ore assistere alla vampata anti-israeliana nelle capitali arabe. Si era quasi creata obiettivamente un´intesa tra i Paesi sunniti (in particolare l´Arabia Saudita e l´Egitto) e Israele in funzione anti iraniana. Un´intesa tacita, non confessabile, ma implicita, perché basata su un comun denominatore: l´ostilità nei confronti di Teheran. Gli arabi sunniti sono ossessionati dall´influenza dell´Iran sciita; gli israeliani dalla minaccia nucleare iraniana. Nel tentativo di disinnescare quest´ultima, vale a dire la minaccia nucleare iraniana, la diplomazia americana si aggirava nel labirinto mediorientale con fatica. Un accordo israelo - palestinese, o perlomeno la ripresa di un vero dialogo, poteva rappresentare un avvenimento propiziatorio. La ventata anti-israeliana, provocata nella regione dal sanguinoso arrembaggio al largo di Gaza, rende le cose più difficili. Quel che è anti-israeliano in Medio Oriente assume spesso, per riflesso condizionato, accenti anti-americani. Tra chi ha segnato punti a proprio vantaggio in queste ore, c´è anche l´Iran di Ahmadinejad, protettore di Gaza e nemico di Israele.