Varie, 1 giugno 2010
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LIJIA ZHANG Nanjing (Cina) maggio 1964. Scrittrice. Giornalista • «[...] nel 1980 quando - aveva soltanto sedici anni - la madre le comunicò di aver deciso di “cederle in eredità” (il dingzhi) il suo posto di lavoro di operaia alla fabbrica di missili statale Liming di Nanjing, l’ex capitale meridionale
LIJIA ZHANG Nanjing (Cina) maggio 1964. Scrittrice. Giornalista • «[...] nel 1980 quando - aveva soltanto sedici anni - la madre le comunicò di aver deciso di “cederle in eredità” (il dingzhi) il suo posto di lavoro di operaia alla fabbrica di missili statale Liming di Nanjing, l’ex capitale meridionale. Lei voleva fare la scrittrice e la giornalista, era brava a scuola e sognava di diventare come l’eroico corrispondente di guerra Dai Huang, che in Corea aveva salvato un ragazzo. Invece, un brutto giorno d’inverno, Lijia dovette varcare il cancello della fabbrica. Passò sotto lo striscione che recitava “Lavorate duro, costruite un meraviglioso Paese!”, e cominciò la sua carriera di operaia nell’ambita posizione di “controllore dei manometri” al Reparto 23. Ci rimase per dieci anni, sentendosi come “una rana nel pozzo”. Magari non si faticava molto, ma l’atmosfera era oppressiva, con mille controlli: continue insulse lezioni collettive di politica, un’atmosfera irrespirabile in cui tutti sorvegliavano tutti. Per non parlare del periodico, umiliante controllo da parte della “polizia delle mestruazioni”, cui tutte le operaie erano sottoposte ogni mese per mostrare di non essere rimaste incinte. Lijia Zhang ha raccontato la sua storia - una storia di tremenda oppressione, ma anche di irriducibile resistenza, e alla fine di vittoriosa liberazione - in un libro [...] pubblicato in Italia da Cooper Editore: Socialismo è grande! [...] La scrittura è allegra e divertita, e anche gli episodi più tragici di questa autobiografia sono descritti con una penna lieve. “È vero - racconta Lijia Zhang - forse sono una persona dotata di senso dell’umorismo. Ma quel che volevo provare a raccontare è il decennio degli Anni 80, un decennio che dopo la stagione della Rivoluzione Culturale in cui si viveva nel terrore, per la Cina è stata un’epoca di riforme. I controlli cominciavano a franare, la gente avvertiva l’onda della trasformazione, c’era molta passione. Arrivavano dall’Occidente tante idee nuove, quelle vecchie declinavano, all’Università di Nanjing, dove studiavo, si parlava di Freud e di politica. E per me - spiega - è stato un periodo affascinante ed eccitante, che forse mi manca, nonostante tutto”. Nonostante un’atmosfera quotidiana soffocante alla fabbrica, che in pratica costruiva pezzi dei razzi balistici nucleari. “Nei dieci anni in cui ho lavorato al Reparto 23 non sono mai stata promossa ‘operaia modello’ - spiega Liija - perché il nostro istruttore politico Wang era convinto che i miei capelli ondulati fossero frutto di una permanente. Questo bastava, insieme a un atteggiamento troppo ‘disinvolto’, a farmi etichettare come‘borghese decadente’. C’erano così tante regole assurde! Non potevamo metterci rossetti, certo. Non potevamo portare certe scarpe. Per i primi tre anni non ci era concesso di avere fidanzati. E certo, c’erano i controlli del ciclo mestruale, condotti in nome della ‘salute’ delle operaie. Allora certo non potevamo nemmeno pensare a una cosa chiamata privacy”. Certo è che l’operaia Piccola Zhang non si è mai fatta grandi problemi per cercare di violarle, tutte o quasi, queste regole. Lei racconta candidamente tutto nel libro: di come leggeva Jane Eyre di nascosto durante le sessioni di studio politico, dei suoi tanti innamoramenti, delle sue poesie, delle storie clandestine, del suo aborto. E soprattutto, della sua insopprimibile volontà di fare la giornalista. “Scrivere era il mio sogno - racconta Lijia Zhang - a scuola scrivevo bene, l’insegnante leggeva i miei lavori. Negli Anni 80 andavo matta per gli articoli di giornalismo investigativo, che denunciavano scandali, e corruzione: divoravo gli articoli di Liu Binyan sul Renmin Ribao e di Dai Qing sullo Guangming Ribao”. Un modo per conquistare la libertà è stato lo studio dell’inglese. “Se sono stata fortunata a superare i limiti che mi erano stati fissati? Ho lavorato sodo, ho fatto uno sforzo enorme, ma un po’ di fortuna c’è stata, conosco un mucchio di gente che ha lavorato sodo ma che non ce l’ha fatta. Sono stata aiutata dalla mia amica Zhou Fang, c’è stato l’incontro con mio marito, un cittadino inglese”. Fatto sta che nel 1989 Lijia si ritrova nel bel mezzo delle proteste: guida un corteo di solidarietà con gli studenti di Piazza Tien Anmen, fa un comizio per la democrazia. Ma ce l’ha fatta. Oggi vorrebbe operare come “un ponte” tra Cina e Occidente, favorire la comprensione tra i nostri mondi. “L’economia cinese sta crescendo, ma restiamo un paese molto povero. Non mi considero una dissidente, scrivo in inglese, ma so benissimo che il mio è un paese senza trasparenza, in cui parlare di certe cose è impossibile. Quando sull’Herald Tribune è uscita una recensione del mio libro, nei giornali in vendita in Cina la pagina era stata tagliata. La Cina da questo punto di vista è un paese confuso: conosco professori che parlano molto apertamente, anche a lezione, ma poi non riescono a pubblicare. Ehi, se per caso finisco in un campo in Tibet, per favore, datevi da fare per me” [...]» (Roberto Giovannini, “La Stampa” 19/1/2010).