Paolo Pinto, Carlo Alberto. Il Savoia amletico, BUR Milano 1990, 1 giugno 2010
ARGOMENTI DI: PAOLO PINTO "CARLO ALBERTO. IL SAVOIA AMLETICO" BUR, MILANO 1990
(relativo solo ai capitoli sugli anni Trenta e Quaranta).
Resoconto di Solaro della Margarita intorno al suo primo incontro con Carlo Alberto («e stravagante come sua madre?» ecc.) in 161
Luigi Ornato esorta i piemontesi a vincere la loro pigrizia intellettuale in 163
Gli incontri dei liberali al Caffè di Piemonte negli anni 1825-1826-1827 in 163
Studi di Carlo Alberto in 164
Viaggio di Carlo Alberto in Sardegna nell’aprile del 1829 e Memoria che ne seguì. Decisione, su suggerimento del marchese Emanuele di Villamarina, di abolire il regime feudale in Sardegna in 165-166 e poi 207 e seguenti. Per l’opposizione dell’aristocrazia il primo provvedimento fu preso solo nel 1836 (208), nel 1838 «furono sottoscritti con i vecchi feudatari dei concordati che fissavano anche i dovuti indennizzi e furono proclamate libere da ogni peso le terre [...] non mancarono d’altra parte manifestazioni popolari di scontento quando al peso feudale sulla terra, assai oneroso ma personalizzato e riscosso quindi con una certa duttilità, si sostituì quello più equo ma impersonale, e perciò inesorabile, del fisco» (208-209).
Carlo Alberto odiatore di Luigi Filippo in 166 e seguenti, caldeggia una coalizione che muova guerra alla Francia. Suo giudizio su Luigi Filippo: «Egli dà i ministeri a professori che hanno corrotto la giovinezza, a miserabili banchieri, irride alla religione cattolica, parla di libertà opprimendo la virtù e facendo trionfare il vizio» (p. 168).
Il castello di Racconigi e la vita familiare di Carlo Alberto in 171 e seguenti.
Una serata del 1832 ricostruita dallo scudiero di Carlo Alberto Enrico Della Rocca: «Verso le nove e mezza la regina cominciava la sua partita di whist. Sceglieva ella due di noi per partner suo e della dama, e gli altri si sparpagliavano nei saloni, senza però poter fumare, perché Carlo Alberto non fumava mai. Alcuni giocavano al biliardo con lui, gli altri stavano a vedere. Un’ora veramente piacevole era l’ultima della giornata, quando la regina, le dame e i cavalieri d’onore si erano ritirati, e noi scudieri, con l’aiutante di campo, e qualche invitato simpatico al re, rimanevamo nella sala del biliardo. Era l’ora dell’allegra famigliarità; Carlo Alberto, lungo, snello, saltava a sedere sulle sponde del biliardo e da quella tribuna improvvisata, con le gambe penzolanti, parlava di tutto un po’, del presente, del passato, narrava i suoi viaggi, la guerra di Spagna, le cose vedute, la gente conosciuta e rifaceva il verso alle persone, imitandone alla perfezione i modi e la voce. Il tempo scorreva talvolta più del voluto, e si faceva tardi per quelli che si volevano alzare alle cinque [...] Dopo pochi anni il re perdè l’abitudine di far tardi insieme con noi, si ritirava al medesimo tempo della regina» (173).
Carlo Alberto scrittore di novellette e di altro 173-174
La nuova regina Maria Teresa, che devolveva le sue entrate ad istituti che si occupavano del ricovero delle ragazze, le Sapelline, il Deposito, le Rosine (da Rosa Govoni). Altre notizie sulla carità dell’epoca (Cottolengo, don Bosco ecc.). Bel discorso dell’arcivescovo di Pinerolo in 175
Pigrizia di Carlo Felice in 178
Disastri combinati, dal punto di vista amministrativo, da Vittorio Emanuele I e Carlo Felice in 178-179: «"Lo stesso sogno di riportare ogni cosa alla situazione del 1798 fece capovolgere l’amministrazione esistente, allontanare gli impiegati per rimettere al loro posto gli anziani, come in una pantomima teatrale. La macchina amministrativa si inceppò all’improvviso, e tutto piombò in un disordine completo" (Carlo Alberto, gennaio 1833). Tale stato di cose condusse inavvertitamente alla crisi del 1821 [...] Ancora più pesante il bilancio dell’amministrazione finanziaria, del vecchio sistema di contabilità e della tenuta dei registri, per cui, in quattro esercizi finanziari, esistevano 30 mila ordini di pagamento irregolari per un importo di 30 milioni di spese non giustificate. Quando poi si tentò di correggere si fece un "mostruoso impasto del mondo antico e delle nuove istituzioni, che intasò tutte le amministrazioni con un numero infinito di impiegati [...]" Dal 1817 al 1831 si spese fu spesa la somma allora ragguardevole, di lire 957.028.236 "in tempi di pace totale, senza aver dovuto fronteggiare delle catastrofi, senza aver fatto alcunché di grande o di utile, e senza aver compiuto alcun investimento per l’avvenire» (179-180).
Motto di Carlo Alberto: «Tutto conservare, tutto migliorare» (180)
«"Ostacoli e resistenze che gli suscitavano alcuni ministri e alcuni principali impiegati lo costringevano a consumarsi in persuasioni, in sollecitazioni, risentimenti e a districare da un monte d’imbarazzi, di contraddizioni, di rifiuti, di consulti, di avvisi, di vanità offese, di lamentazioni sul passato che fuggiva, di terrori sull’avvenire che si preparava..." (Cibrario)» (180).
Ritratti del Thaon de Revel, del de La Tour e dell’ammiraglio Des Geynes in 181.
Lescarena accettò di fare il ministro dell’Interno a una condizione: «avere la certezza che il re non pensi di cambiare la base fondamentale del suo governo, adottando quelle istituzioni che hanno fatto la disgrazia della Francia» (così in un dispaccio del Bombelles del 4 luglio 1831) (182).
Uomini che suscitarono maggior apprensione nei reazionari: Prospero Balbo, il Peyretti, il Montiglio e il Villamarina (loro ritratti in 182).
Riforme effettuate nel primo mese di regno: nuovo ministero di Grazia e giustizia, nomina della commissione per la preparazione dei codici; abrogazione di certe torture, come la ruota e le tenaglie; attenuazione della pena in caso di furto semplice; abolizione della confisca dei beni dei condannati politici; abrogazione delle franchigie doganali in favore dei reali e delle più alte cariche dello Stato (182-183; 209-210).
18 agosto 1831: Istituisce il Consiglio di Stato che ha il compito di controllare i bilanci dei ministeri e di esaminare le disposizioni legislative, consultivo e di verifica, ispirato a un organismo napoleonico. Annuncio che del consiglio avrebbero fatto parte «"persone di palese merito, devote al trono, dedite ad abituali studi sulle scienze politiche". Per la prima volta nel Regno di Sardegna il criterio della competenza veniva anteposto al privilegio di casta». Barante colpito da questa apertura al ceto medio. Il collare dell’annunziata e le cariche saranno date ai borghesi se meritano (183). In realtà poi dallo stesso consiglio vennero resistenze, per esempio, fu colpa del Consiglio la lentezza con cui vennero pubblicati i codici, idem per l’introduzione di libertà economiche. Rodolico: «Il Consiglio di Stato era una nave che nella stiva aveva soverchio carico reazionario». Abbandonata anche l’idea di avere in Consiglio delle rappresentanze delle diverse province (184). Ci vollero però undici anni per portare a compimento la riforma dei codici, cosa che portò all’esasperazione Barbaroux, alla fine suicida buttandosi da un balcone di Palazzo Reale (1843). Dibattito sul valore dei nuovi codici in 210-211. I primi due articoli: la religione cattolica sola religione dello stato, il re ribadiva «di promuovere l’osservanza delle leggi di essa nelle materie che alla potestà della medesima appartengono» (211). Il codice civile viene promulgato il 20 giugno 1837, nell’ottobre del 1839 il codice penale (uguaglianza di tutti i sudditi di fronte alle leggi penali). Pena di morte ammessa solo in casi gravissimi. tendenza a favorire il recupero sociale del condannato. Sopravvivevano aree di privilegio per nobiltà e clero, ma più ristrette rispetto al passato (211-212). Codice di procedura nel 1842 (preceduto dalle regie patenti del 1840), 30 dicembre 1842 nuovo codice di commercio (212). Sulle carceri, diede istruzioni a Cesare Balbo e a Cesare Alfieri perché studiassero i sistemi stranieri, con questa raccomandazione: «Unicamente si bada al presente ad assicurarsi della persona dell’imprigionato e a tenerla in rigorosa obbedienza; e la stessa ragione rinchiude coloro che attendono il loro giudizio e quei che scontano la propria pena... Le comunicazioni che essi hanno tra loro... accelerano i progressi della corruzione in mezzo a siffatta riunione d’individui, di cui il più gran numero è vizioso. Questa contagione morale è talmente accertata che generalmente si crede nell’impossibilità di colui che entra innocente in prigione non ne sorta pervertito» (212). Dal 1831 al 1845 furono spesi più di tre milioni in penitenziari, lontani dalle città e con ampi recinti per permettere ai detenuti di praticarvi l’agricoltura (212).
«Mi sono procurato un grande libro nero per segnarvi tutti i lavori e gli ordini che impartisco ai ministri; poiché mi risulta che troppo spesso essi dimenticano le cose che ho ripetuto loro più volte» (Diario di Carlo Alberto 18 febbraio 1832). (184)
Riforma dell’artiglieria attuata dal Villamarina dopo essere subentrato al D’Agliè (7 novembre 1838) (184)
Rapporti di Carlo Alberto con la moglie Maria Teresa e con l’amante contessa Maria di Waldbourg-Truchsess, figlia del conte Federico e della contessa Antonietta e poi sposa del conte Carlo Emanuele di Robilant (186 e seguenti).
Carlo Alberto durante la campagna del 1848: «Febbricitante nelle lunghe marce a cavallo delle prime ore del giorno, con un tozzo di pane secco, rifiutando la sua comoda vettura perché servisse ai soldati feriti o malati, estenuato, e pur sempre pronto alle fatiche come primo tra i pericoli, reggersi per una indomita volontà di agire e patire» (testimonianza dell’aiutante di campo Carlo La Marmora) (187).
Carlo Alberto a Truchesess 7 maggio 1831: «Quindici ore di lavoro al giorno mi consentono appena di provvedere alle necessità correnti e di mettere ordine nell’amministrazione. In ogni caso m’ingegno di usare grande prudenza in tutto ciò che faccio, preferendo agire lentamente ma bene; preparo molte cose che saranno realizzate poco alla volta: ma sempre senza proclami né preamboli, poiché detesto il fatale abuso di parole di questo triste secolo e desidero mostrarmi solo con i fatti» (187).
Disperazione di Maria Teresa quando sa che Carlo Alberto non le permetterà di seguirla in esilio (29 marzo 1849) (190).
23 giugno 1833. Lettera di Carlo Alberto a Francesco IV di Modena: «"Quindici condanne a morte, delle quali dodici eseguite una in contumacia, due commutate alla galera a vita". Così scriveva Carlo Alberto al duca di Modena Francesco IV, mettendolo al corrente della repressione contro i giurati della Giovine Italia. In realtà il bilancio era molto più pesante, poiché il sovrano non teneva conto della morte di Lorenzo Boggiano e di Jacopo Ruffini, che si tolsero la vita, né dei 37 imputati condannati a vari anni di carcere, né dei 200 esiliati o costretti a fuggire all’estero. Ma soprattutto Carlo Alberto non considerava la lacerazione che quelle condanne avevano prodotto nel tessuto sociali, né sembrava preoccuparsi di quanto ne risultasse infangata la sua immagine di re» (192)
Preoccupazioni di Carlo Alberto in ordine all’attività delle sette, sua convinzione che esse si preparassero a far crollare tutte le monarchie d’Europa entro due mesi (193-194).
20 aprile 1833. Una rissa fra l’Allemandi e il Sacco, due ufficiali affiliati alla setta, fa scoprire la cospirazione (194).
Dispaccio del 27 maggio 1833 in cui l’incaricato della Santa Sede riferisce sulle intenzioni dei cospiratori (incendi in parti diverse della città, poi assalto e massacro della famiglia reale) (194)
Sistema iniquo di quei processi 194-195
Cambia atteggiamento dopo pochi mesi: lettera del 17 luglio 1833 in cui invita il Cimella alla moderazione, idem col Villamarina il 4 agosto. Mano più morbida quindi con quelli che avevano tentato l’invasione della Savoia nel 1834 (196).
Opuscolo indirizzato a Carlo Alberto del Brignole-Sale in risposta all’anonimo "Della felicità che gli Italiani possono e debbono dal governo austriaco procacciarsi". Sostiene che il Piemonte ha una missione da compiere, fa notare che l’Austria è molto più mite verso i patrioti di Carlo Alberto, incoraggia una vigorosa politica di riforme interne (196-197).
Agosto 1833: licenzia il segretario De Gubernatis inviso ai rezionari e specialmente al Lescarena. (197)
Aprile 1835: licenziato il Lescarena, espulso dal regno Tiberio Pacca (197)
"L’estremismo non serve mai a niente" (Metternich).
Malinconia di Carlo Alberto di fronte al tradimento (198)
1835. Solaro agli Esteri (200).
Politica estera di Carlo Alberto 1831-1840. Alleanza militare con gli austriaci completando le trattative iniziate nel 1829 (201), 1832: non interviene nelle Romagne benché sollecitato da Francia e Inghilterra (201-202), appoggia Borboni di Francia, Carlisti di Spagna e Michelisti di Portogallo (202-205)
Riforma elettorale inglese 204
Marzo 1834: riduzione del dazio sul grano. Molte proteste. Le parole del Giovanetti (215)
Aprile 1835: liberalizzata l’esportazione delle sete dal Piemonte, ridotti i dazi sull’importazione di quelle lavorate (215). Altre riduzioni 1838, 1840, 1842. «Il prodotto lordo delle imposte, che nel 1831 sfiorava i 40 milioni, superò i 50 milioni nel 1845. Tutto ciò in presenza di riduzioni doganali crescenti, che raggiunsero la punta dell’89 per cento. La libertà economica aveva ridestato energie sopite, l’industria e il commercio prosperavano, e le finanze dello Stato erano floride [...] Dal 1833 al 1834 fu raddoppiata la rete dei canali, dal 1831 al 1846 furono investiti nel settore circa 33 milioni» Opere finanziate dalla cassa di riserva, che si era formata, a partire dal 1836, con le eccedenze di bilancio, dopo che era statio coperto, nei quattro esercizi precedenti il disavanzo causato da Carlo Felice (216)
Espansione provoca ricerca di nuovi mercati. Trattato di commercio con la Francia nel 1843 (216), poi rivisto nel 1845-1846. Conflitto con l’Austria, che puntava all’isolamento economico del Piemonte. « di questi anni il dibattito sulla Lega doganale italiana, il conflitto sull’esportazione dei vini piemontesi, e quello sul rifornimento di sale alla Svizzera attraverso il Novarese» (216)
Boom del’industria tessile (specie la sete) dopo la crisi del 1837: nel 1846, grazie agli investimenti e a nuove tecnologie, se ne producono 135 mila chilogrammi per un valore di 46 milioni (217).
Macchine tipografiche per Pomba, gas illuminante a Torino (217)
«Per lo sviluppo del commercio furono determinanti la valorizzazione del porto di Genova e la realizzazione di una vasta rete ferroviaria. Abbiamo già accennato alla proposta di una lega doganale italiana, che non doveva dispiacere all’Austria e piacque a molti italiani, soprattutto lombardi. L’idea era di stabilire un raccordo tra gli Stati tedeschi, l’Austria e il Lombardo-Veneto, in modo da offrire "alla vista dello speculatore" notava il Cattaneo "un campo assai più vasto che non offre la Francia stessa, la navigazione cioè di sette fiumi reali: il Po, il Reno, il Weser, l’Elba, l’Oder, la Vistola, il Danubio e il libero accesso a quattro mari". Il Cattaneo, troppo milanese per avere una visione razionale dei problemi, non si rendeva conto che la realizzazione di un simile progetto avrebbe accresciuto l’attività economica dell’Europa centrale, facendola gravitare nell’Adriatico, e precisamente nel porto "austriaco" di Trieste, ed avrebbe tagliato fuori il Piemonte e la Liguria, il porto di Genova e il Tirreno. Carlo Alberto si adoperò con sagacia a un progetto contrario. "Il lago di Costanza diverrà" notava nel 1839 l’ambasciatore sardo a Vienna, conte di Sambuy "il centro del commercio europeo; se noi non manterremo comunicazioni rapide e facili, al pari degli altri paesi, con tale località saremo emarginati da questo grande mercato". Di qui la necessità di costruire una strada ferrata che dal Canton Ticino, attraverso il Novarese e il Monferrato, raggiungesse il porto di Genova. Nel settembre 1840 fu autorizzata la formazione di una società per la costruzione della linea Genova-Novara. Il Metternich, proprio allora, deprecava che il commercio della Germania e della Svizzera si indirizzasse verso Genova: ma gli stati germanici, liberatisi dell’ingombrante tutela austriaca, seguivano ormai proprie vie, compresa quella che conduceva al Mediterraneo occidentale. Carlo Alberto seppe cogliere il momento favorevole. Nel giro di pochi anni furono realizzate tre linee ferroviarie: da Torino ad Alessandria, da Alessandria a Genova, da Genova al Lago Maggiore. Ma il progetto più ambizioso e tecnicamente più impegnativo fu il passaggio delle Alpi per Susa, Bardonecchia e Modane, che, scriveva il Balbo nel 1846, "ognun sa, studiasi fin dall’anno scorso (1845) e si farà in qualunque modo, a qualunque costo, certamente, per poco che se n’intenda, come credo il caso, la somma importanza" [...] Condizione di tale politica era la piena efficienza del porto di Genova. Anche qui si erano creati degli abusi, consolidati dei privilegi che costituivano un serio intralcio alla libertà di navigazione. Carlo Alberto nel 1837 ebbe il coraggio di abolire, nonostante l’opinione contraria di molti armatori, i diritti differenziali che favorivano la marina mercantile genovese [...] lo sviluppo di Genova e degli altri porti liguri ebbe anche un’altra conseguenza, di legare più intimamente Piemonte e Liguria e mostrare che gli interessi delle due regioni non erano antagonisti ma convergenti» (217-218)
Sul canonico Cottolengo e la Piccola Casa della Provvidenza fondata nel 1828 vedi 222. Su Roberto d’Azeglio e i Barolo 223-224. Editto delle Opere Pie. Tra il 1837 e il 1839 si raccolsero in Piemonte, tra donazioni e lasciti, 3.950.000 lire. Due case di lavoro e di ricovero, l’una nel castello di Vinovo, l’altra a Borgo Pio (224)
1840 Congresso degli scienziati a Torino (224)
Supplica al re di Cavour, Roberto d’Azeglio, Cesare Alfieri affinché si creassero asili. Tra il 1840 e il 1843 sorsero a Torino otto asili che accoglievano 10 mila bambini dai due ai sei anni.
Nuovo ordinamento delle scuole elementari nel 1840. Poi quello delle scuole serali per adulti con più di 16 anni (225).
Misticismo di Carlo Alberto 227, carattere della regina Maria Teresa 228, prime notizie su Vittorio Emanuele e Ferdinando duca di Genova. Su Vittorio Emanuele: "Vittorio, duca di Savoia, era rude, sanguigno; i folti baffi, gli occhi arditi davano alla sua figura un aspetto decisamente marziale. Di carattere estroso, poco disponibile al sacrificio, assolutamente inadatto allo studio e alla riflessione, aveva una straordinaria vitalità che gli riuscì utilissima sul campo di battaglia. Qualsiasi etichetta gli era insopportabile, e si esprimeva in modo genuino e istintivo, andando sempre alla sostanza delle cose. Madame de Rémusat disse di lui, cogliendo nel segno: "Si vede che il principe è nato per vivere sotto la tenda, dove non esistono differenze, o sul trono, dove tutto è permesso"» (230)
7 febbraio 1838. Vittorio Emanuele compare per la prima volta ai balli ufficiali. Da quel momento la madre Maria Teresa non volle più parteciparvi (232)
I reali a Genova in autunno 231-232
Vittorio e Adele, cioè Maria Adelaide, la minore delle due figlie di Elisabetta sorella di Carlo Alberto (Elisabetta definita un canapé da Metternich e giudicata in genere troppo altera dai milanesi). 8 agosto 1841: annuncio del fidanzamento (235), 11 aprile 1842 matrimonio (235-236). Episodio dello shopping sul Po che provoca l’arresto di Vittorio Emanuele (236), nascita di Clotilde il 2 marzo 1843 (236), nascita di Umberto il 14 marzo 1844 (236-237): per l’occasione si espone un quadro in cui il capostipite della casa d’Austria, Rodolfo d’Asburgo, sta in atteggiamento umile davanti alla corona sabauda (238)
20 maggio 1840 «Il Metternich invecchia evidentemente molto in fretta, e avanza a grandi passi verso il disfacimento. Dimagrendo la sua figura pare essersi allungata e solcata da rughe profonde» (dispaccio dell’ambasciatore a Vienna conte di Sambuy. «Persino all’interno della corte e del governo di Vienna si manifestavano forze disgregatrici: intrighi, occulte lotte di interessi, sfrenate ambizioni di arciduchi e ministri») (240).
Carlo Alberto evita di andare alla cerimonia d’incoronazione di Ferdinando I d’Austria (2 marzo 1835) e alle feste relative di Milano e di Monza, «preferendo fare una visita di cortesia a Pavia. Spiegò in seguito, in uno scritto autobiografico, il senso di questa ritrosia: "Non volevo dare l’impressione, assistendo a quella incoronazione, o a qualcuna delle feste, di riconoscere una superiorità, di andare a rendere un omaggio"» (citato dalla pagina 414 del Carlo Alberto inedito di F.Salata) (241)
1839 Si rifiuta di aderire alle sanzioni economiche contro il Canton Ticino, decise dall’Austria (241)
La convenzione militare con l’Austria firmata nel 1831 (242).
Nel 1840 (Crisi d’oriente) paventandosi un attacco francese dal lato della Savoia, Carlo Alberto chiese agli austriaci se li avrebbero aiutati nella difesa e Vienna rispose che non avrebbe di sicuro mandato i suoi a combattere sulle Alpi. Il Gualterio riferisce poi di uno scontro tra il ministro Villamarina e l’ambasciatore austriaco a Torino, Schwarzenberg che mise in subbuglio tutti i salotti torinesi: «"L’orizzonte si va offuscando; è d’uopo occupare senza indugio le posizioni sul Po" disse lo Schwarzenberg. "Quando il re l’ordini" rispose il Villamarina "si prenderanno le opportune disposizione per chiamare sotto le armi i contingenti". "Oh no" soggiunse lo Schwarzenberg "siamo noi che dobbiamo occupare quelle posizioni". "A casa vostra" replicò con fierezza il ministro piemontese. L’austriaco, indispettito da questa ripulsa: "E con che mai" disse "guarnirete voi dunque il Po? Forse col vostro esercito di contadini? Ma in ogni modo, senza il nostro permesso, il re vostro non chiamerà i contingenti". A questo insolente linguaggio rispose il ministro piemontese: "Non da voi si prenderanno, o signore, gli ordini, ma dal re. Se questi lo comanda, fra quindici giorni egli potrà disporre, se vuole, di 100 mila uomini, i quali varranno almeno, uno per uno, quanto i vostri...". Il re sentito l’insulto proferì per la prima volta quella parola che esprimeva il supremo dei suoi desideri. "Orbene" disse con tranquilla dignità, ma con gli occhi scintillanti di un raggio di gioia "orbene, io farò la guerra all’Austria"». Colloquio smentito dal Solaro, «ma una lettera di Carlo Alberto sembra confermarlo» e anche un dispaccio successivo dello Schwarzenberg (243-244).
Due memorie del 1840, una del Solaro favorevole all’alleanza con l’Austria, l’altra del Villamarina favorevole all’alleanza con la Francia (la Francia è l’alleata naturale, l’Austria a la nostra naturale nemica). Inoltre: «L’organizzazione militare del Piemonte, con tutti i sacrifici che si sono fatti, non ha senso e giustificazione politica o razionale se non ne approfitteremo per estendere i nostri confini e liberare la patria lontana dal giogo straniero» (244).
1840. Momento di crisi più acuta nei rapporti Austria/Piemonte in agosto (245).
13 luglio 1843. Lettera di Carlo Alberto al Villamarina. «Finché avrò la speranza che il coraggio nazionale sarà simile a quello d’un tempo, non potrò considerare gli avvenimenti che si preparano come la rovina del nostro paese [...] Se le nostre aspettative corrispondono a quelle che Dio m’ha dato, credete che, sebbene il nostro Stato sia piccolo, avremo in noi stessi una grande forza all’occasione» (245).
Agosto 1843. «Alcuni soldati austriaci ubriachi, varcato il Ticino si abbandonano a disordini e prepotenze. Furono disarmati e arrestati, ma l’indomani un ufficiale austriaco pretese e ottenne la consegna degli arrestati. Alla notizia dei fatti la collera del re esplose incontenibile «Disapprovo altamente» scriveva al Villamarina il 2 settembre 1843 «la condotta del sindaco e del giudice di Castelletto Ticino [...] Vogliate far conoscere immediatamente al governatore di Novara la mia disapprovazione per questo modo d’agire debole e senza dignità [...] Se l’ufficiale avesse osato, in caso di rifiuto, ordinare una rappresaglia, il sindaco doveva far suonare tutte le campane e richiamare in massa la popolazione per attaccare i Tedeschi; e, per avanzare un’ipotesi impossibile, se il nemico avesse potuto farla franca nonostante tutto: oh, allora io personalmente avrei fatto suoinare le campane del Ticino fino all’ultimo villaggio della Savoia e immediatamente mi sarei messo alla testa dell’armata e di tutti gli uomini impavidi e avrei attaccato [...] La nostra armata è più piccola della loro. Ma conosco il cuore dei nostri uomini, avrei lanciato il grido dell’indipendenza della patria lombarda; e, forte della protezione di Dio, sarei andato all’attacco. Tutto questo sono sempre pronto a fare se sarà necessario» (245-246).
1843. Escono il Primato di Gioberti (prime copie a Torino in giugno) e Le speranze d’Italia di Balbo (247).
1846. Escono gli Ultimi casi di Romagna di d’Azeglio (247).
Nel Du Pape de Maistre anticipa in fondo l’idea del primato di Roma (248).
Il Promis legge il Primato a Carlo Alberto che se ne ritiene soddisfattissimo e chiede che gliene sia inviata una copia a Racconigi (248).
Difficili rapporti tra Carlo Alberto e Gioberti. Carlo Alberto gli concede di tornare dall’esilio di Bruxelles. (249)
Il Primato è insincero? (250)
Su Balbo e le Speranze vedi in 250. Carlo Alberto, nel febbraio 1846, riferendosi ad un articolo di Balbo e l’intera sua opera: «Questo prova in che misura lo spirito nazionale s’è formato e sviluppato negli ultimi tempi; e questo spirito sarà una delle più grandi forze del nostro paese; e anche la speranza dell’avvenire» (250-251).
Predicazione di d’Azeglio in Romagna e suo incontro con Carlo Alberto in 251-252-253. Scrive Gli ultimi casi su suggerimento del re.
Pellegrino Rossi nel 1847: «V’è oggi in Italia un partito nazionale che invoca il Vangelo e non più Rousseau» (253).
10 settembre 1847. «Ogni nuova circostanza che capita tende, così mi sembra, a provare sempre più che il popolo d’Italia comincia a capire il proprio stato» (dispaccio del ministro inglese a Torino) (253-254).
Trattati commerciali e motivi di contrasto tra gli invecchiati Carlo Alberto e Metternich (255-257).
• agosto 1842: il Piemonte aveva aumentato le importazioni dalla Lombardia e chiese una tariffa doganale più favorevole a Vienna. Vienna rispose di no.
• 1842: Carlo Alberto decide di non rinnovare la convenzione doganale con l’Austria per la vigilanza sul contrabbando nel Lago Maggiore.
• agosto 1843: il Piemonte produce più di una volta, ha bisogno di nuovi mercati, sigla perciò un trattato commerciale con la Francia (controlla su Solaro).
• 1843 (?): convenzione col Canton Ticino per il transito del sale da Genova che Vienna ritiene in contraddizione con un trattato di commercio del 1751. L’Austria raddoppia in risposta il dazio sui vini (20 aprile 1846). «Il governatore austriaco di Milano, dando notizia del decreto, parlò in termini espliciti di rappresaglia» (257). Due terzi del vino prodotto in Piemonte andava in Lombardia. Solidarietà al Piemonte da tutta Europa. Articolo del Siècle. Per la disputa relativa al sale, si chiede la mediazione della Russia (260-261).
6 maggio 1846. Carlo Alberto, per evitare di essere acclamato dalla folla, rinuncia a una rivista militare in piazza d’Armi. Versetti del giorno dopo: « sospetto o codardia?/ prudenza oppur viltà?/Io nol dico Italia mia/Il futuro parlerà». In una lettera a Villamarina di quello stesso giorno spiega che «i caporeparti avevano dato [...] un giorno di vacanza agli operai; e gli studenti, una folla immensa, dovevano assembrarsi» per permettere loro di gridare Viva il re d’Italia. Rinuncia «in nome della tranquillità e del bene del paese. Quando il tempo sarà venuto, invece di gridare, vengano a versare il loro sangue, con il mio, per la patria» (257-258).
Irritazione di Metternich anche per la politica ferroviaria piemontese con lettera di Carlo Alberto del 25 luglio 1846: «Questo povero principe di Metternich se ne farà il sangue amaro. Mi dispiace per lui. Quanto a me, nonostante il piccolo, piccolissimo partito austriaco, o retrogrado, sono ben risoluto a procedere lungo la via del progresso, e verso tutto ciò che può giovare alla felicità dei popoli e allo sviluppo dello spirito nazionale... Del resto, se si vuole eliminare dal nostro paese il sentimento antiaustriaco, bisognerà cominciare ad allontanare me medesimo» (257).
giugno 1846. Intenso lavoro diplomatico di Metternich per riaccostarsi al Piemonte. Sostegno del Solaro, il quale spinge a concedere territori in Svizzera e regali dall’Austria in cambio di una politica repressiva svolta in Italia. Incontro tra Buol e Carlo Alberto l’8 giugno 1846. (259-260).
1° giugno 1846. Morte di Gregorio XVI (263).
16 giugno 1846. Eletto papa Mastai, Pio IX. «Avevo previsto tutto ciò che poteva accadere in Europa, e m’ero preparato a tutto, ma un papa liberale, ecco ciò che non avrei mai immaginato» (Metternich) (262-263).
16 luglio 1846. Pubblicato l’editto del perdono con cui si concedeva l’amnistia ai detenuti politici.
28 agosto 1843. Lettera di Carlo Alberto al Solaro: «Se a Roma si nutrissero alti pensieri politici, potremmo fare, unendoci, grandi e belle cose per l’indipendenza e la felicità dei nostri Stati» (264).
Dicembre 1846. Metternich spera che il Papa lo chiami per metter fine all’agitazione italiana, ma Pio IX fece sapere che «mai avrebbe chiesto questo intervento e, se fosse stato attuato con la forza, avrebbe protestato altamente». (265)
13 Agosto 1847. Gli austriaci occupano Ferrara. Protesta di Palmerston, indifferenza degli altri (265)
30 agosto congresso agrario.
6 agosto 1847. Lettera del Solaro al cardinale Ferretti: «Il re è sensibile a tutto ciò che ferisce l’indipendenza dello stato pontificale» e sarebbe stato pronto in ogni caso a sostenerne i diritti.- «In fondo i soli principi veramente italiani sono il vostro e il mio; gli altri sono più o meno dipendenti dall’Austria e dalla Francia, poiché derivano dai Borboni o dalla Casa di Lorena» (265)
2 settembre 1847. «Ah che bel giorno quello in cui potremo lanciare il grido dell’indipendenza nazionale» (lettera al Castagnetto letta al congresso di Casale) (266).
Alleanza franco-austriaca che complica il quadro (266).
A domanda dell’ambasciatore sardo sull’atteggiamento inglese in caso di guerra all’Austria, Palmerston risponde vagamente che si sarebbe dato fastidio ai porti di Trieste e Venezia, non più di un’azione dimostrativa: «In realtà, l’Inghilterra secondava un pacifico processo di riforme e, forse, una lega doganale fra gli stati italiani; ma nella sostanza, riconosceva gli interessi dell’Austria in Italia, il che significava non turbare lo status quo» (267).
Corboli Bussi, in missione a Torino per conto del papa, dice che Pio IX non vuol fare la guerra a nessuno, che l’Austria è pentita per Ferrara e che si tratta ora solo di trovare una via d’uscita diplomatica che non faccia fare brutta figura a nessuno (267).
dicembre 1847. Ritiro degli austriaci da Ferrara (268)
«Il programma di riforme, avviato fin dai primi giorni di regno, si conclude con la riforma generale dell’amministrazione, con l’istituzione della Corte di Cassazione e l’unificazione dell’ordinamento scolastico. Con questi provvedimenti Carlo Alberto credeva di aver compiuto la sua opera di sovrano assoluto ma illuminato» (270)
La riforma amministrativa, attuata tra il 1841 e il 1843 grazie al ministro degli Interni Gallina, «conservatore sospetto di liberalismo», «tendeva a limitare un eccessivo accentramento di pratiche amministrative che potevano invece essere risolte dalle Province. Nel 1841 furono assegnate nuove competenze al consiglio provinciale, nel quale vennero chiamati a far parte non soltanto i proprietari terrieri, ma "le persone più distinte per lumi e per ricchezze". Successivamente veniva istituito un Congresso, i cui delegati erano eletti dalle Province». (270-271)
Nel 1844 Gallina lascia per malattia. Sostituito dal Des Ambrois. Istituito il dicastero delle Finanze affidato a Ottavio Thaon de Revel.
«Il 29 ottobre 1847 fu presentato il disegno di legge. Con esso si conferiva ai Comuni una larga libertà amministrativa. Veniva intoltre ampliato l’istituto della rappresentanza elettiva. I reazionari, allarmatissimi, tentarono in ogni modo di far naufragare la riforma. Ma il re seppe resistere alle pressioni di "retrogradi noiosissimi". L’editto di riforma fu definitivamente approvato il 27 novembre 1847. La riforma fu lodata dai moderati liberali, tra cui Cavour» (271). Concessa la libertà di stampa, «sia pure con qualche cautela» (278). Nascono Risorgimento, Opinione, Concordia. Rabbia dei reazionari (lettera di Ilarione Petitti 6 novembre 1847): «Piombo e capestri ci vogliono per contenere questi insolenti avvocati. mercanti e popolani che si credono divenuti qualche cosa» (278).
Istituite poi la Corte di Cassazione e, a novembre 1847, il ministero della Pubblica Istruzione a cui viene chiamato Cesare Alfieri (271)
Il problema del diritto all’istruzione affrontato nel 1844. Ruolo primario dello Stato in contrasto con la Chiesa (271)
Aprile 1846, relativamente agli ordini religiosi: «Non v’è alcun dubbio, come voi dite molto saggiamente, che uno Stato ben amministrato non può riconoscere un potere indipendente all’interno della propria amministrazione» (Carlo Alberto al Villamarina, 24 aprile 1846).
Fine 1847/inizi 1848: «Carlo Alberto si chiude sempre più in se stesso, irrimediabilmente fiaccato da vecchi e nuovi malanni, incapace di controllare e di comprendere gli umori instabili di folle tumultuose che ora lo esaltano ora l’ingiuriano» (272)
«I figli disapprovano la condotta del padre [...] Il duca di Savoia non era favorevole ad una costituzione, anche se era piuttosto ostile nei confronti dei reazionari [...] Racconta il Della Rocca che il duca Vittorio Emanuele, travestito da borghese campagnolo, avvolto in un grande mantello e con il cappello sugli occhi, percorreva la sera le strade, mischiandosi alla folla e ai capannelli che si formavano in piazza Castello o davanti al palazzo municipale o al palazzo del governatore in piazza San Carlo, per vedere e per udire i discorsi e farsi un’idea della generale esaltazione». Carlo Alberto, invece, chiuso nel suo palazzo, vedeva intorno a sé solo consiglieri timidi e imbelli incapaci dei suoi slanci eroici (273).
Ottobre 1847: licenzia prima il Villamarina, poi il Solaro (273).
La satira del Re Tentenna in 274
8 ottobre 1847. Sulle circostanze della caduta del Villamarina vedi 274-275.
Lettera di Ilarione Petitti a Fanny Targioni Tozzetti (18 ottobre 1847): «La truppa è sempre in parte consegnata ai quartieri con gli schioppi carichi, pronta a sciogliere con la forza il menomo attruppamento. Vuolsi assolutamente il silenzio o la solitudine della tomba, perché il menomo moto o progresso genera sospetto e dappertutto si vedono cospiratori» (275)
1° novembre 1847. Carlo Alberto parte per Genova, la regina Maria Teresa, gettandoglisi ai piedi, cerca di impedirlo (278).
4 novembre. Arrivo a Genova, accoglienza trionfale. Carlo Alberto il 5 novembre 1847 (al ministro Avet): «Le manifestazioni di gioia e di trasporto sono stati ad Asti e ad Alessandria simili a quelle di Torino. A Genova hanno superato qualsiasi previsione. Dire che sono sfilate 50 mila persone è ancora troppo poco» (279).
«Per il suo ritorno a Torino era stata preparata un’imponente manifestazione popolare. Fin dalle prime ore del mattino una folla eccitata brulicava nelle strade, nei caffè sotto i portici. Nel pomeriggio, lo sbocciar del sole, fra mezzo a una cortina spessa di nubi, fu salutato come un auspicio. Ma, ahimè, il re era quasi nascosto nella vettura che procedeva ad andatura sostenutissima. Si pensò subito che non volesse mostrarsi. Ma questa volta era completamente innocente. Era stato sorpreso, durante il viaggio, da fortissimi dolori viscerali, e quindi portato di corsa alla reggia per essere curato. Qualche minuto più tardi, debolissimo e quasi incapace di tenersi in piedi, si affacciò alla loggia detta di Pilato che guarda su piazza Castello, e salutò la folla incontenibile e delirante. La marchesa d’Azeglio, commossa da quella pallida visione, commentava: «Sembra che il re cerchi ogni modo per andarsene al più presto... triste» (279)
«Che possibilità aveva quest’uomo, invecchiato prima del tempo e apparentemente svuotato di ogni energia, di guidare eventi tanto tumultuosi come quelli che s’annunciavano? Nel mese di dicembre, a Genova, era quasi rivoluzione. In un tribudio di bandiere genovesi, piemontesi e savoiarde, segno di una riconquistata concordia civile, si celebravano innumerevoli feste patriottiche. Poi, fece la sua comparsa il nuovo vessillo tricolore: portato in corteo per le vie della città, fu consegnato al rettore dell’università perché lo custodisse. Cresceva intanto la turbolenza popolare contro i gesuiti nei quali si vedeva un simbolo del passato. Una delegazione di cittadini si apprestava a recarsi a Torino per chiederne l’allontanamento dalla città. Né più tranquilla era l’atmosfera della capitale [...] "Le opinioni che prima si celavano ora apertamente si manifestano" scriveva non senza meraviglia l’incaricato d’affari francese a Torino "le azioni del governo che per l’innanzi mai si sarebbe osato criticare, sono ora vivacemente discusse in pubblico". Il re vedeva, in questo sommovimento, il riemergere di aspirazioni eversive e di spinte anarcoidi. Temeva che l’atteggiamento intollerante contro i gesuiti costituisse una possibile minaccia all’autorità dello Stato. Era ferito nei suoi sentimenti religiosi e preoccupato per l’avvenire della monarchia. Perciò diede ordine senza esitare che i delegati genovesi, di cui si attendeva l’arrivo a Torino il 7 gennaio 1848, fossero immediatamente rispediti a casa. Ma in quello stesso 7 gennaio si profilava un altro evento carico di insidie: una riunione dei massimi esponenti liberali all’Albergo Europa, promossa dai direttori dei giornali piemontesi» (279-280).