Raffaele Alliegro e Emilio Laguardia, 31 maggio 2010
BRITANNIA FIGLIA DI ROMA
Qualcosa sta accadendo in Inghilterra se c’è chi comincia a dubitare della necessità di mantenere davanti al Parlamento la statua in bronzo di Budicca, la regina della tribù britannica che si ribellò ai romani, la campionessa dell’indipendenza diventata un mito del nazionalismo d’Oltremanica. Qualcuno si chiede se alla Gran Bretagna sia convenuto davvero ”liberarsi” di Roma nel 410 dopo Cristo, quando l’Urbe decise di abbandonare l’isola alla devastazione dei guerrieri sassoni e al mito tutto romano di re Artù. E non è un caso se queste domande comincino ad affiorare proprio ora, nel 2010, esattamente mille e seicento anni dopo la traumatica separazione della Britannia dall’unico mondo civile allora conosciuto.
Il fatto è che questo è un anno molto particolare in Inghilterra. Dovunque è un fiorire di manifestazioni e iniziative per ricordare il 410, l’anno in cui cominciò a nascere la Gran Bretagna moderna: una suggestiva fiaccolata lungo i 120 chilometri del Vallo di Adriano, una grande celebrazione al British Museum e poi libri, dibattiti, articoli, polemiche. Tutto è cominciato lungo il Vallo, l’antico limes nord-occidentale dell’impero, la struttura difensiva fatta costruire dall’imperatore Adriano per isolare le tribù dei Pitti nel remoto nord della Scozia. Una scia di fiaccole lunga 120 chilometri ha illuminato i resti dell’intera fortificazione per ricordare l’abbandono di quei territori da parte delle legioni di Roma. E ha fatto definitivamente luce sul debito di riconoscenza che molti inglesi ancora nutrono nei confronti della civiltà romana. Oggi istituzioni ed enti privati come il National Trust tutelano il patrimonio archeologico e ne organizzano la valorizzazione turistica. Nello stesso tempo, si sono moltiplicati i siti Internet che si occupano di Roma antica, da quelli su cui leggere le opere degli autori latini a quelli di associazioni e gruppi di living history che ricostruiscono filologicamente abiti e manufatti del mondo romano. Ma è soprattutto nelle librerie che si misura un interesse crescente per l’antica Roma.
Non bisogna necessariamente scomodare Gibbon e il suo fondamentale Declino e caduta dell’impero romano per capire quanto profondo sia il legame tra gli inglesi e l’Urbe. Basta pensare a un genere, il romanzo storico, che è nato proprio nel mondo anglosassone. Ed è così che ad autori considerati ormai dei classici, come il Robert Graves di Io, Claudio (1934) ormai si affiancano i successi editoriali di Harry Sidebottom (Il guerriero di Roma, 2009) o quelli, con un numero di ristampe da capogiro, di Robert Harris giunto ormai al secondo episodio (Conspirata, 2010) della sua trilogia su Cicerone. Ma anche nel campo dell’analisi storica gli autori inglesi si dimostrano dei brillanti divulgatori. E’ il caso, ad esempio, dell’attuale sindaco di Londra, il conservatore Boris Johnson e del suo The dream of Rome (Il sogno di Roma), un saggio storico sulle difficoltà dell’antica Roma rispetto ai giganteschi problemi dell’immigrazione e dell’integrazione. Sfide non tanto diverse da quelle dell’Europa di oggi.
Un tema, questo, ripreso anche da Bryan Ward Perkins, professore di Storia romana ad Oxford, che nel suo recente La caduta di Roma sostiene, in controtendenza con le più recenti teorie storiografiche europee, che la transizione dall’Impero romano al dominio germanico non sarebbe stata graduale e pacifica. Quel passaggio epocale, cioè, non sarebbe stato il frutto di una progressiva integrazione dei vitali e primitivi popoli del nord nel grande organismo imperiale, raffinato e ormai prossimo alla fine. Secondo Perkins, invece, i germani che invasero l’impero occuparono o strapparono con la forza la maggior parte dei territori in cui si installarono. Un’ipotesi che collima perfettamente con le teorie ”filo-romane” di Peter Heather, altro noto storico londinese.
L’ultimo volume in ordine di tempo è in qualche modo il libro dell’anno: AD 410, the year that shook Rome (410 d.C. l’anno che sconvolse Roma), dedicato appunto al milleseicentesimo anniversario del ”sacco di Roma”, all’editto dell’imperatore Onorio e al conseguente abbandono della Britannia romana al suo destino. Il libro è stato ufficialmente presentato al British Museum con una conferenza sul tema ”410 d.C.”. Un appuntamento che, alla fine, ha negato il fallimento militare romano in Britannia anche alla luce del mantenimento nel nord dell’isola di unità di combattimento locali, sia limitanei che comitatenses. Secondo i più accreditati studiosi britannici, al comando di queste piccole unità indigene chiamate a difendere da sole le coste britanniche dalle ondate dei feroci barbari Sassoni, furono lasciati ufficiali romani che ben presto si sarebbero trasformati in veri e propri ”signori della guerra”. Uno di questi potrebbe essere stato quell’Ambrosio Aureliano citato nella Historia Regum Britanniae (decimo secolo d.C.) come il vincitore dei Sassoni nella battaglia di Monte Badon, che sarebbe poi passato alla leggenda con il nome di Re Artù.
Ma per quale motivo periodicamente emergono e scompaiono in Inghilterra suggestioni sotterranee che portano dritto al cuore della Città Eterna? Se non una risposta, almeno un indizio può darcelo il dibattito sollevato dal quotidiano The Independent sulla statua di Budicca, il personaggio che è il vero emblema dell’indipendenza britannica, l’eroina che reagì alla confisca delle terre e allo stupro delle sue due figlie ribellandosi alle forze di occupazione imperiali. Il dubbio dell’Independent è che Budicca, pur avendo reagito a una provocazione inaccettabile, rappresenti un tipo di nazionalismo non più attuale. E che non fosse proprio nel giusto quando distrusse città fiorenti e cercò di ricacciare Oltremanica il popolo romano che tanto aveva fatto per stimolare lo sviluppo della civiltà nelle ”barbare” isole britanniche.
Così Budicca, la regina degli Iceni, diventa oggi un simbolo della doppia anima della Gran Bretagna. Un Paese che ha fatto dell’isolazionismo la sua forza. E pure è stato in grado di accogliere e assimilare al suo interno immigrati di altre nazioni, dando vita a una moderna società multiculturale. Un ex impero stretto tra le due opposte visioni del limes, del confine, che può funzionare da barriera invalicabile o da filtro per l’integrazione di altri popoli. Esattamente come Roma, più di mille e seicento anni fa.