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 2010  maggio 31 Lunedì calendario

LE FABBRICHE CINESI SCOPRONO LO SCIOPERO

Strike, sciopero. La parola viene urlata con malcelato stupore nei titoli in prima pagina dei giornali in lingua inglese di Hong Kong come il China Daily e il South China Morning Post e nelle edizioni asiatiche dei colossi dell’informazione finanziaria come il Financial Times e The Wall Street Journal. Strike, sciopero non in un posto qualunque della Cina, che già sarebbe di per sè una notizia. Ma niente meno che alla Honda, secondo produttore auto del Giappone che qui ha impiantato una bella fetta della propria produzione per sfruttare il basso costo della manodopera.
E proprio questo è il punto: il salario. In quattro fabbriche di componenti per auto attorno a Guangzhou nella provincia di Guangdong, sud della Cina, 1.900 addetti hanno incrociato le braccia rivendicando un aumento dello stipendio, ormai insufficiente, dicono, per far fronte al costo crescente, anche in Cina, della vita. Il livello salariale minimo stabilito per legge è di 900 yuan, più o meno 90 euro. In realtà secondo quanto riportato da alcuni giornali i dipendenti della Honda arriverebbero a percepire 1.500 yuan, ma a prezzo di pesanti straordinari. I manifestanti, che hanno bloccato la produzione in almeno due occasioni nelle ultime due settimane, chiederebbero di arrivare almeno a quota 2.000-2.500 yuan. L’azienda ha risposto picche e si ritrova ora con la produzione bloccata anche in altri stabilimenti per mancanza di componenti.
La questione salariale, del resto, è destinata inevitabilmente a diventare centrale nei prossimi mesi ed è per questo che la vertenza Honda viene guardata con interesse e qualche preoccupazione dalle autorità politiche cinesi. Si teme che la protesta possa allargarsi a macchia d’olio, minando i delicati equilibri che hanno portato negli ultimi dieci anni al boom dell’economia del colosso asiatico. Lo stesso China Daily in un editoriale di venerdì scorso sosteneva che il problema degli stipendi andava in qualche modo affrontato.
La Cina è diventato il più grande mercato mondiale dell’auto. Lo scorso anno sono state vendute più di 13 milioni e 600 mila vetture. La politica dei bassi stipendi rischia di avere il fiato corto e di compromettere, se si innestasse una spirale di vertenze, l’armonico sviluppo economico voluto dai governanti cinesi. I quali difficilmente sarebbero disposti a tollerare un’ondata di tensioni sociali e meno che meno di disordini.
Al contrario, c’è chi guarda a questi embrioni di crescita sindacale con malcelata simpatia come simboli di una nuova acquisizione di consapevolezza da parte dei lavoratori. Per il professor Ma Qiufeng della Jinan University di Guangzhou quella dello sciopero è "una buona notizia" perché le richieste dei lavoratori possono aiutare la Cina a diventare una società più aperta.
Del resto il caso Honda viene subito dopo un’altra vicenda che ha già fatto il giro del mondo rischiando di mettere in cattiva luce la potenza economica cinese: i suicidi a ripetizione alla Foxconn, la più grande azienda elettronica del mondo, 800 mila dipendenti dei quali 300 mila nella sola area di Shenzhen dove vengono assemblati i prodotti di punta di Apple, Hewlett-Packard e Nokia. Anche in questo caso sono stati denunciati ritmi di lavoro molto alti per poter arrivare a un livello salariale appena decente. La fatica, lo stress, la solitudine hanno fatto sì che dieci persone si siano tolte la vita e almeno altre due siano state salvate in extremis.
Sarà un caso, ma sabato i vertici dell’azienda guidata da Terry Gou hanno annunciato un aumento dei salari del 20%.