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 2010  maggio 30 Domenica calendario

VIGNA: IN QUELLE STRAGI LO ZAMPINO DEI SERVIZI

«Non fu solo Cosa Nostra a gestire la campagna stragista del ”92 e ”93. Penso che pezzi deviati dei Servizi segreti siano stati gli ispiratori, e qualcosa anche di più, delle bombe di Firenze, Roma e Milano».
Parla Pier Luigi Vigna, procuratore a Firenze quando esplose il Fiorino in via dei Georgofili, procuratore nazionale antimafia in tutti gli anni nei quali l’amico fraterno Gabriele Chelazzi indagava (da pm) sui mandanti esterni alle stragi. La tesi di Vigna porta nei fatti a Massimo Ciancimino che parla della presenza e del ruolo di pezzi dei servizi, «il signor Franco». Vigna esprime perplessità sul riconoscimento da parte di Gaspare Spatuzza del collaboratore del «signor Franco» sulla scena della strage di via D’Amelio: «Un generale che imbottisce di esplosivo un’auto? A distanza di tanti anni i riconoscimenti sono difficilissimi».
Procuratore Vigna, il presidente emerito della Repubblica Ciampi ricorda che la notte del 27 luglio 1993, con le bombe di Roma e Milano e il black-out di Palazzo Chigi, temette un golpe cileno.
«Perché nelle stragi furono coinvolti anche non mafiosi? Delinquenti non affiliati a Cosa Nostra, come il magazziniere romano dei 300 chili di esplosivo che servivano per gli attentati, come lo stesso Scarano, il postino del comunicato di rivendicazione delle stragi. Noi procedemmo subito contestando ai mafiosi di Cosa Nostra l’aggravante di aver agito con finalità di terrorismo o di eversione. Cosa Nostra con questo agire voleva condizionare lo Stato, voleva che fossero cancellate una serie di leggi».
Il famoso papello di richieste: eliminazione del 41 bis, della legge La Torre...
«I detenuti con l’eliminazione del 41 bis avrebbero tratto vantaggi; la neutralizzazione dei pentiti avrebbe consentito la revisione dei processi; la cancellazione della legge sulle misure di prevenzione sarebbe stato un regalo a tutto il popolo dei mafiosi, detenuti e non».
Le stragi di Firenze, Roma e Milano furono solo farina del sacco di Cosa Nostra?
«Da quello che mi risulta, solo in due occasioni Cosa Nostra è emigrata sul continente per realizzare delle stragi. La prima volta fu il 23 dicembre del 1984, quando nella stessa galleria dove si era verificata la strage dell’Italicus fu fatto scoppiare il treno Napoli-Milano: 15 morti e 130 feriti. Fu condannato, tra gli altri, Pippo Calò, e in primo grado anche l’onorevole del Msi Massimo Abbatangelo e il gruppo camorristico di Giuseppe Misso. Ma poi la filiera napoletana, che portava alla destra, fu assolta in Cassazione. Una uscita di scena singolare perché i giudici della Cassazione confermarono la condanna a quattro anni e passa per favoreggiamento di un poliziotto napoletano che pochi giorni prima della strage rivelò a un magistrato: ”Ci faranno intossica’... Natale...”».
Perché quella strage?
«Si voleva rappresentare al Paese, nell’anno di Buscetta e del maxi blitz contro Cosa Nostra, che il problema per il Paese era solo l’eversione».
Dieci anni dopo, le bombe a Roma, Firenze e Milano. Per favorire la nuova forza politica che stava nascendo?
«La primissima indicazione che venne dal Viminale è che si doveva guardare alla criminalità internazionale. Noi seguimmo subito la pista interna anche perché analizzando la tipologia della miscela degli esplosivi emerse che era identica a quella della strage del 1984. Ricordo che nella prima informativa della Dia, la Divisione investigativa antimafia, si parlava non solo di Cosa Nostra ma anche di imprenditori disonesti, di massoneria, di soggetti deviati dei servizi segreti. Mi chiedo se davvero Cosa Nostra pensasse che proseguendo nella stagione stragista avrebbe ottenuto quanto chiedeva. A distanza di tanti anni continuo a non credere che quello che è accaduto fuori dalla Sicilia sia frutto di una pensata di Cosa Nostra».
Chi fu il suggeritore?
«Uccidere Chinnici, Falcone o Borsellino perché nemici è nella natura di Cosa Nostra. Non è stata solo la mafia a devastare il territorio colpendolo al cuore, pensando di poter distruggere un simbolo del Paese come la Torre di Pisa, o di infettare le spiagge di Rimini con siringhe. Senza qualche aggancio esterno, Cosa Nostra non si sarebbe mossa, non avrebbe traslocato a Roma, Firenze e Milano...».
Aggancio esterno, o entità? Parliamo di politica? Di 007 deviati?
«Una certezza: Cosa Nostra non si è mossa da sola. Se guardo ai risultati di questa offensiva, devo constatare che sul piano politico vi è stata una tenuta delle istituzioni. Nessuna richiesta avanzata dalla mafia è stata esaudita. Il 41 bis e le misure di prevenzione oggi sono provvedimenti molto più rigidi di prima. Allora dobbiamo guardare ai ”deviati”. Quello è un periodo di ”deviazione”. Il 1993 è anche l’anno dello scandalo dei fondi neri del Sisde, del tentato golpe di Saxa Rubra, dell’esplosivo sul rapido Siracusa-Torino piazzato da un funzionario dei Servizi di Genova, di un ordigno inerte in via dei Sabini a Roma, del black-out a Palazzo Chigi di cui parla il presidente Ciampi. Insomma, c’erano pezzi dei Servizi che ragionavano ancora come se il Muro di Berlino non fosse crollato. Mani Pulite aveva demolito la Prima Repubblica e qualcuno aveva interesse che le richieste di Cosa Nostra fossero accolte per dare peso a una organizzazione mafiosa che iniziava a globalizzarsi. Che era ricca, economicamente forte. In grado di consentire relazioni anche internazionali...».