FEDERICO RAMPINI, la Repubblica 30/5/2010, 30 maggio 2010
BATTAGLIA NAVALE SUL PACIFICO
Quando la portaerei Kitty Hawk si è vista negare il permesso di fare scalo a Hong Kong, uno sgarbo senza precedenti, per i vertici della U.S. Navy è stato l´inizio di un incubo: fin dove si spingerà la Cina per contrastare l´egemonia marittima degli americani? E a Washington lo studio delle grandi sfide navali è diventato un´ossessione.
Lepanto 7 ottobre 1571: le navi spagnole veneziane e genovesi sconfiggono la flotta dell´Impero ottomano. Settembre 1588, la Invencible Armada di re Filippo II fallisce l´invasione dell´Inghilterra. 23 agosto 1884, l´ammiraglio Courbet sgomina la flotta cinese a Fuzhou, assicurando alla Francia il controllo sul Vietnam. 7 giugno 1942, al largo dell´atollo di Midway, a metà strada tra le Hawaii e il Giappone, la U.S. Navy distrugge la flotta dell´ammiraglio Yamamoto. Che forme avrà il prossimo "appuntamento" tra due superpotenze marittime?
Le grandi contese navali hanno un´importanza che supera la sfera militare. Segnano i punti di passaggio, le transizioni da un´epoca a un´altra. Il controllo dei mari ha sempre avuto un´importanza strategica, economica, politica, perfino culturale. Il Mare Nostrum dei romani, la colonizzazione ispanica del Nuovo mondo, l´impero della Gran Bretagna su cui non tramontava mai il sole: intere civiltà si sono affermate governando i flussi navali, hanno affidato ai mari comunicazioni, correnti di merci e di idee. Queste sfide storiche nelle epoche di transizione oggi turbano la leadership americana. Washington vede il suo dominio sugli oceani insidiato da un nuovo attore: l´emergente potenza navale della Cina. L´ammiraglio Robert Willard, comandante delle forze Usa nel Pacifico, parla di «crescente aggressività» della marina cinese in quelle acque. Su un altro teatro, il Golfo Persico, hanno visto arrivare due navi militari della Repubblica Popolare nel porto di Abu Dhabi: è la prima volta da cinque secoli che bastimenti armati con bandiera cinese si affacciano in quelle acque. La U.S. Navy riscopre gli studi di Sir Halford Mackinder, visionario geografo inglese che nel 1904 profetizzò un «ruolo di pivot» per la Cina come potenza marittima mondiale, grazie ai suoi 14.000 chilometri di coste.
Il declino di un impero, l´ascesa del suo rivale e successore, si giocherà ancora una volta sugli oceani? Per l´ammiraglio Willard i precedenti storici offrono una miniera di lezioni. A Lepanto nel 1571 non si gioca solo una battaglia navale, con 13.000 marinai e 28.000 soldati della Lega santa contro 47.000 uomini sotto i comandi di Ali Pasha. E´ in realtà una puntata decisiva nel secolare confronto tra il mondo cristiano e l´Islam, la battuta d´arresto nell´avanzata ottomana verso il cuore dell´Europa. La posta in gioco è anche economica, il controllo del Mediterraneo nel traffico delle spezie. Il pendolo della storia torna a oscillare da Oriente a Occidente. Lepanto diventa un simbolo, segna l´immaginazione degli artisti del tempo: Tiziano, Tintoretto, Veronese. Lo stesso vale per la débacle del 1588 ai danni della "Grande y Felicìsima Armada" ai comandi del Duca di Medina Sidonia. La ritirata degli spagnoli non è tanto significativa sul piano militare, perché il maltempo fa più danni degli inglesi. Ma segnala uno spostamento tecnologico ed economico. Così come la flotta di Elisabetta I dimostra di essere la più sofisticata, l´Inghilterra diventa la punta avanzata della modernità. Si candida a dominare l´Atlantico, nuovo baricentro dell´economia mondiale.
L´America dai tempi di Franklin Roosevelt si è assunta l´eredità dell´egemonia britannica sui mari. Gli Stati Uniti sono circondati da oceani, la loro supremazia militare ha dovuto appoggiarsi in modo determinante sulla marina e l´aviazione, per proiettarsi a grandi distanze. La U.S. Navy presidia tutte le rotte commerciali strategiche, l´egemonia sulle acque è l´equivalente del ruolo dell´inglese come lingua franca globale, o del dollaro come moneta universale.
Quando Obama partirà per la sua prossima missione all´estero, a metà giugno, visiterà due nazioni insulari: l´Indonesia e l´Australia. Farà tappa nell´isola di Guam, una "portaerei naturale" in mezzo al Pacifico, la sede della più vasta base militare americana in tutto il pianeta. Per Obama sarà un viaggio nella memoria: è il primo presidente del Pacifico, nato alle Hawaii e cresciuto in Indonesia. Per l´America intera quell´itinerario ricorda l´ultima battaglia per il potere sui mari, ed è una ricognizione dei luoghi dove oggi si apre la nuova sfida.
Vista dall´Asia e dagli Stati Uniti, quella che noi chiamiamo la Seconda guerra mondiale è solo l´episodio finale di un conflitto ben più lungo: "The Pacific War", la chiamano gli storici americani. Ha inizio dieci anni prima di Pearl Harbor, il 19 settembre 1931, con l´invasione giapponese della Manciura. Occupando il nord della Cina l´impero del Sol levante getta la maschera e rivela le sue ambizioni. Povero di materie prime, deve garantirsi l´accesso sicuro al sud-est asiatico allora dominato dagli anglo-olandesi, più i francesi in Indocina. L´irruzione giapponese in Cina sconvolge il Grande Gioco che aveva opposto la Russia zarista e la Gran Bretagna per il controllo dell´Asia. La posta più importante è il controllo delle vie marittime: il Pacifico, il Mar della Cina, l´Oceano Indiano, fino al Golfo Persico. Su quelle rotte strategiche transitano energia e risorse naturali contese fra i paesi ricchi dell´Occidente industrializzato, e un nuovo protagonista del decollo industriale come Tokyo. La guerra del Pacifico dura 15 anni. Prima ancora delle bombe atomiche su Hiroshima, il confronto tra l´America e lo sfidante asiatico passa attraverso un embargo petrolifero, carneficine nei combattimenti corpo a corpo per la conquista degli arcipelaghi, la vittoria americana di Midway. E poi quella che rimane tuttora la più grande battaglia navale di tutti i tempi: dal 23 al 26 ottobre nel golfo di Leyte (Filippine), con la Terza flotta americana guidata dalle portaerei Intrepid e Cabot (260 aerei), di fronte a loro un´armada di 28 navi militari e i due più grandi incrociatori mai costruiti, Yamato e Musashi.
La memoria di quelle battaglie è custodita nei grandi cimiteri americani del Pacifico. Rende gli Stati Uniti iper-sensibili sul controllo di quelle acque. Non è un caso se Guam è la loro base più grande; se hanno esasperato l´opinione pubblica giapponese pur di tenere duro sulla loro presenza militare a Okinawa; se mantengono 28.500 militari in Corea del Sud. Nelle guerre terrestri hanno incassato sconfitte come in Vietnam, ma guai se dovesse vacillare la Pax Americana sugli oceani. L´allarme dell´ammiraglio Willard, che definisce «drammatico» il rafforzamento in atto della marina militare cinese, è ripreso dall´esperto di strategia Mark Helprin del Claremont Institute: «Stati Uniti e Cina sono in piena rotta di collisione nel Pacifico. Molto prima di quanto potessimo aspettarci, la Cina raggiungerà con noi la parità militare». Pechino è guidata dalla stessa logica che ispirò prima gli inglesi, poi gli americani: dove si espande la propria forza commerciale, industriale e politica, dove ci sono le fonti di approvvigionamento strategico, bisogna avere le cannoniere. E lo spostamento nei rapporti di forza non richiede necessariamente un conflitto armato. Nel 2007 l´allora capo dello U.S. Pacific Command, ammiraglio Timothy Keating, ricevette una proposta-choc dai cinesi: dividere il Pacifico in due sfere d´influenza. «Ci fu un´epoca - ricorda Helprin - in cui l´America e le potenze coloniali europee avevano "The China Station", un porto di scalo con diritti speciali d´accesso sulle coste cinesi. La Cina finirà per avere la sua "American Station" sulle nostre coste? Questo è l´esito logico, nella traiettoria di una potenza».