VARIE, 31 maggio 2010
SCHEDONE ISRAELE (AGGIORNATO ALLE 12 DEL 1/6/2010 E INVIATO A VANITY. SOTTO LA VERSIONE PRECEDENTE)
ISRAELE (aggiornato alle 11,31 del I giugno) -
CHE COSA SUCCESSO IL 31 MAGGIO 2010:
Tra le 4.30 e le 5 di ieri la marina militare israeliana ha attaccato la Freedom Flotilla, un convoglio di sei navi di organizzazioni non governative in viaggio verso la Striscia di Gaza per portare aiuti umanitari ai palestinesi. A bordo delle navi c’erano 750 passeggeri (volontari, giornalisti, esponenti del mondo politico o culturale ecc.) di 40 diverse nazionalità e un carico di diecimila tonnellate di aiuti (cemento, medicine, cibo, case prefabbricate, 500 sedie a rotelle elettriche ecc). Molti di questi oggetti, per prime proprio le sedie a rotelle elettriche, rientrano nella lista stilata da Israele delle merci che non possono entrare nella Striscia.
Lo scontro più duro è avvenuto sulla Mavi Marmara, la nave di un’organizzazione non governativa turca che guidava la spedizione. Il bilancio dell’assalto è ancora incerto, i morti sarebbero nove o dieci, i feriti 26. Secondo l’emittente Al Jazeera sei vittime sono di nazionalità turca, per Al Arabiya i turchi morti sono nove, mentre gli altri attivisti uccisi sono di origini arabe. Ci sarebbero anche 26 feriti, di cui uno grave, mentre l’esercito israeliano parla di sette soldati feriti. La Farnesina ha confermato la presenza di italiani a bordo delle navi ma ha escluso che ve ne siano tra le vittime. In un primo momento si era parlato di 19 morti.
L’obiettivo della spedizione, salpata giovedì scorso dalla Turchia, era rompere l’assedio a Gaza e portare aiuti. Le autorità israeliane avevano minacciato di usare la forza se i militanti avessero tentato di avvicinarsi alle coste della Striscia. La promessa è stata mantenuta.
L’assalto è avvenuto a 75 miglia (120 km) dalle coste israeliane. Che l’incidente sia avvenuto in acque internazionali è l’unico elemento in comune tra le versioni dell’accaduto fornite dai responsabili di Freedom Flotilla e le fonti della difesa di Tel Aviv, che ha imposto la censura ai media d’Israele. I pacifisti, trasferiti in un centro di detenzione nel porto di Ashdod (nel Distretto Sud di Israele, a 70 km da Gerusalemme) da dove saranno espulsi o arrestati se rifiuteranno l’espulsione, sostengono di essere stati attaccati nonostante fosse stata esposta una bandiera bianca. Secondo la radio pubblica israeliana gli arrestati, ora portati nella prigione di Ashdod, sono già 480, altri 48 stanno per essere espulsi e si trovano all’aeroporto Ben Gurion. 45 attivisti, turchi soprattutto, sono in ospedale. Tra gli arrestati ci sono anche sei italiani, ora in attesa della pronuncia di un tribunale essendosi opposti - come numerosi altri stranieri - a un immediato provvedimento amministrativo di rimpatrio.
Quando, intorno all’1 di notte di lunedì, le navi si trovavano a 120 km dalle coste israeliane, davanti ad Haifa, tutti i cellulari sono andati in tilt, i collegamenti radio si sono interrotti. Tre ore dopo è scattato il blitz. Cinque navi sarebbero state perquisite senza problemi.
Le ricostruzioni dei fatti da parte dell’esercito israeliano e delle Ong divergono. Secondo le forze di sicurezza israeliana le 581 persone a bordo della Mavi Marmara, dopo essere state intercettate, avrebbero attaccato i soldati con armi da fuoco e coltelli. freegaza.org, sito internet del Free Gaza Movement, una delle Ong che ha organizzato la flottiglia della pace, ha raccontato che gli uomini della Shayetet 13, i commandos della marina militare israeliana, unità d’èlite delle più prestigiose, sono scesi sulla Mavi Marmara da un elicottero.
Il comandante della marina militare israeliana, l’ammiraglio Eliezer Marom, ha raccontato che gli scontri mortali si sono verificati solo sulla Mavi Marmara. Su tutte le altre imbarcazioni, ha aggiunto, l’operazione si è svolta senza che vi fosse resistenza da parte dei passeggeri e perciò senza vittime. «Durante l’intercettazione - si legge in un comunicato militare israeliano - i dimostranti a bordo hanno attaccato il personale navale dell’IDF (Israel Defense Forces, la Forza di difesa israeliana, ndr) con armi da fuoco e armi leggere, inclusi coltelli e bastoni. Inoltre una delle armi usate era stata strappata a un soldato dell’Idf. I dimostranti avevano chiaramente preparato le proprie armi in anticipo per questo specifico scopo. Come risultato di questa attività violenta, le forze navali hanno usato strumenti antisommossa, comprese armi da fuoco». Secondo il ministro della Difesa israeliano Ehud Barak, la responsabilità delle vittime ricade sui promotori dell’iniziativa, soprattutto su una Ong turca. Barack ha aggiunto che sulla nave sarebbero state trovate armi. Secondo altre ricostruzioni i soldati sarebbero stati attaccati solo con armi da taglio, non da fuoco. I responsabili doganali turchi affermano che tutti i passeggeri erano stati controllati attentamente prima dell’imbarco e che nessuno di loro aveva con sé armi.
La maggior parte dei morti, dei feriti e dei fermati sono cittadini turchi. Ankara ne ha già chiesto l’immediato ritorno in patria. Dopo l’assalto la Turchia ha subito convocato l’ambasciatore israeliano, annullato tre esercitazioni militari congiunte e avvertito che ci saranno «conseguenze irreparabili». Annullata anche la partita di calcio in programma tra la nazionale Under 18 turca e quella israeliana. Il presidente palestinese, Abu Mazen, ha parlato di «massacro» e ha proclamato tre giorni di lutto nei territori palestinesi. Il suo partito, Al Fatah, ha sollecitato raduni di protesta contro l’azione israeliana e di solidarietà alla Turchia. Hamas ha invocato un’Intifada contro tutte le ambasciate israeliane nel mondo.
Ankara ha chiesto alla Nato una riunione straordinaria a livello di ambasciatori: per le autorità turche il blitz israeliano equivale all’aggressione a un membro dell’Alleanza Atlantica. La riunione si terrà oggi a Bruxelles, presieduta dal vice segretario generale della Nato, Claudio Bisogniero.
Secondo fonti citate da Haaretz nell’attacco sarebbe rimasto ferito anche lo sceicco Raed Salah, capo del Movimento islamico nei territori palestinesi. Nella serata di ieri, però, il deputato arabo della Knesset, Hanin Al-Zoghbi, ha smentito la notizia. Le voci sul presunto ferimento dello sceicco hanno scatenato tumulti a Um el-Fahem, la città araba a 60 chilometri da Tel Aviv dove risiede il leader del movimento islamico. Fonti di sicurezza hanno riferito di lanci di pietre da parte di dimostranti e di tentativi della polizia di disperderli con gas lacrimogeni. Oggi la popolazione araba in Israele osserverà una giornata di sciopero generale di protesta.
Il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-Moon si è detto sconvolto per quanto avvenuto. Il Consiglio di Sicurezza, rimasto riunito per più di dodici ore dopo che il Libano ieri aveva chiesto un incontro d’emergenza, ha sollecitato un’inchiesta «rapida, imparziale, credibile e trasparente» e il rilascio degli attivisti e delle loro imbarcazioni.
Il Vaticano ha espresso «grande preoccupazione e dolore». La Lega Araba ha convocato una riunione d’urgenza e il suo segretario, Amr Mussa, ha definito l’assalto un «crimine» che mette a rischio il negoziato di pace. Il ministro degli Esteri italiano, Franco Frattini, condannando «in modo assoluto l’uccisione di civili», ha sollecitato l’apertura di un’indagine e ha chiesto spiegazioni all’ambasciatore israeliano. L’Ue ha sollecitato «un’inchiesta completa». Grecia, Spagna, Svezia, Norvegia, Danimarca, Austria, Francia ed Egitto hanno convocato l’ambasciatore israeliano.
La Casa Bianca ha espresso «profondo rammarico» per la perdita di vite umane, ma ha detto che l’amministrazione Usa sta esaminando le «circostanze dell’accaduto».
Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, in Canada da alcuni giorni per colloqui politici, ha deciso di cancellare la visita a Washington in programma per oggi. Il presidente Obama ha detto di comprendere le motivazioni del premier israeliano. I due hanno deciso di rinviare il loro incontro «alla prima occasione possibile».
LA FLOTTA ERA FORMATA DA OTTO NAVI, DUE PER PROBLEMI MECCANICI NON ERANO PARTITE
La Freedom Flotilla è una flottiglia multinazionale messa insieme da diverse Ong filo-palestinesi sotto la bandiera di Free Gaza, sodalizio con sede a Cipro formato in prevalenza da militanti della sinistra occidentale che si battono contro il blocco imposto da Israele tre anni fa contro la Striscia di Gaza.
La flotta è composta da otto navi, quattro cargo e quattro passeggeri. Una nave cargo è finanziata dall’Algeria, una dal movimento Free Gaza irlandese, una dal Kuwait, l’ultima da gruppi associazioni europee (prevalentemente greche e svedesi). Tra le quattro navi passeggeri, invece, una è finanziata dalla Turchia. Un’altra si chiama 8000 come il numero dei detenuti palestinesi nelle carceri israeliane. Il convoglio è stato organizzato dal movimento internazionale Free Gaza e da quello turco IHH, fuorilegge in Israele perché accusato di finanziare Hamas e avere stretti legami con le organizzazioni terroriste islamiche. Non tutte le otto navi sono partite alla volta di Gaza: due (l’irlandese Rachel Correy con a bordo il premio Nobel per la pace Mairead Corrigan- Maguir e la Challenger II) avevano problemi meccanici, forse partiranno nei prossimi giorni.
Gli israeliani hanno assaltato l’ammiraglia del gruppo, il traghetto turco Mavi Marmara. Le altre navi, il traghetto 8000, le greche Sfendoni e Libertà del Mediterraneo (rispettivamente, traghetto e cargo), lo svedese Sofia e il Challenger I sono stati occupati senza scontri.
A bordo della flotta c’erano molti esponenti del Free Gaza Movement, movimento dell’ex deputato inglese George Galloway e della cognata di Tony Blair, Laureen Booth. Tra i loro sostenitori, anche il premio Nobel per la pace Mairead Maguire, il linguista americano Noam Chomsky e molte altre personalità internazionali. La flotta era guidata e finanziata dall’IHH, uno dei più potenti e influenti movimenti islamisti presenti in Turchia e che operano nell’ambito delle organizzazioni non governative. Secondo un rapporto del Centro israeliano di intelligence e terrorismo (Itic), l’IHH sarebbe un’organizzazione radicale islamica anti-occidentale e il suo fondatore, Yildirim, avrebbe stretti legami con il leader di Hamas a Damasco e con i Fratelli Musulmani in Egitto.
Nell’agosto 2008 Free Gaza era riuscita a sbarcare con pochi aiuti nella Striscia. Nel dicembre 2008 un’operazione analoga era stata bloccata: gli israeliani avevano speronato la nave degli attivisti.
LA FREEDOM FLOTILLA
La Coalizione della Freedom Flotilla comprende: Free Gaza Movement (FG), European Campaign to End the Siege of Gaza (ECESG), Insani Yardim Vakfi (IHH), Ship to Gaza Grecia, Ship to Gaza Svezia, e la International Committee to Lift the Siege on Gaza, oltre a centinaia di gruppi e organizzazioni che da tutto il mondo ne sostengono gli sforzi.
GLI ITALIANI A BORDO
Sono cinque i cittadini italiani di cui si ha certezza che fossero a bordo delle navi della Freedom Flotilla attaccate dalla Marina militare israeliana. Si tratta di Angela Lano, direttore genovese dell’agenzia di stampa Infopal, Manolo Luppichini, videomaker free-lance romano, di Manuel Zani, fotografo e videomaker freelance di Cesena, Giuseppe "Joe" Fallisi, tenore 50enne milanese e Muin Qaraqe, cittadino italiano di origini giordane residente a Milano (dove ha moglie e tre figli) e membro dell’Associazione benefica di solidarietà con il popolo palestinese (Abspp). Altri tre cittadini italiani dovevano imbarcarsi e per varie ragioni sono rimasti bloccati a Larnaca, città sulla costa meridionale di Cipro, dove la flotta dei pacifisti ha fatto scalo l’altro ieri. I tre sono Fernando Rossi, ex senatore e co-fondatore della formazione "Per il Bene Comune" con la presidente dello stesso movimento, Monia Benini. Il terzo italiano bloccato è Abd El Jaber Tamimi, di origini palestinesi, ricoverato a Larnaca per un malore e rientrato a Milano, città dove risiede, nella mattinata di ieri. Anche lui, come Qaraqe, è membro dell’Associazione benefica di solidarietà con il popolo palestinese (Abspp).
CHE COSA LA STRISCIA DI GAZA:
La Striscia di Gaza è un territorio (superficie: 360 km², popolazione: 1.400.000 abitanti di etnia arabo-palestinese) confinante con Israele ed Egitto che si trova nei pressi della città di Gaza. I confini furono stabiliti nel 1948 dopo la creazione dello stato d’Israele.
Quest’area non è riconosciuta internazionalmente come uno Stato sovrano. L’Autorità Nazionale Palestinese (organizzazione costituita nel 1994 in base agli accordi tra Yasser Arafat, che firmò per conto dell’OLP, l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, e Shimon Peres, che firmò per conto dello Stato d’Israele) la considera parte dei Territori palestinesi.
Dal 2007 il governo della Striscia è nelle mani di Hamas, l’organizzazione palestinese che punta alla creazione di uno Stato islamico in Palestina. L’Egitto ha governato la Striscia tra il 1948 e il 1967, Israele, che l’aveva occupata nella guerra dei Sei giorni, dal 1967 al 2005, quando il premier Ariel Sharon decise il ritiro. In base agli accordi di Oslo firmati nel 1993 da Israele e dall’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, Israele mantiene il controllo militare dello spazio aereo della Striscia di Gaza, delle frontiere terrestri (attraverso la barriera tra Israele e la Striscia di Gaza) e delle acque territoriali.
IL BLOCCO DELLA STRISCIA DI GAZA:
Quando si parla di «blocco della Striscia di Gaza» ci si riferisce al blocco dell’area della Striscia imposto da Egitto e Israele a partire dal giugno 2007. Dopo la battaglia di Gaza (12-14 giugno 2007, contrapposte le due principali fazioni palestinesi, Fatah e Hamas) e la presa del controllo della Striscia da parte di Hamas, Israele ha sigillato la sua frontiera con la motivazione che Fatah non è più in grado di garantire la sicurezza, e ha imposto un blocco sul territorio che vieta tutte le esportazioni e consente solo di trasportare beni sufficienti a evitare una crisi umanitaria o di salute. In seguito ai lanci di razzi sul sud di Israele e agli attacchi di militanti palestinesi sui punti di passaggio tra Israele e Gaza le misure sono state inasprite. Temendo un travaso di militanti di Hamas sul suo territorio, anche l’Egitto ha chiuso la sua frontiera. Secondo le Nazioni Unite circa la metà degli abitanti della Striscia ha attraversato la frontiera in Egitto in cerca di cibo.
Da quando Hamas ha preso il controllo di Gaza, i palestinesi che vivono nella Striscia hanno potuto contare su meno di un quarto del volume di rifornimenti che arrivavano a dicembre 2005. Da allora il gruppo fondamentalista ha lanciato missili contro Israele, che ha reagito con l’operazione Piombo Fuso del dicembre 2008. Amnesty International ha definito l’embargo una «punizione collettiva». Per la frequente chiusura dei valichi anche le forniture d’emergenza dell’Onu sono saltuariamente bloccate. Vietata l’importazione di elettrodomestici, computer, automobili, frutta sciroppata, succhi di frutta, cioccolato ecc. Da novembre 2008 Israele non autorizza l’ingresso a Gaza di benzina e gasolio. Il carburante disponibile arriva clandestinamente dall’Egitto attraverso i tunnel scavati al confine. Israele non consente inoltre il passaggio di forniture mediche. L’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS) sostiene che il blocco ha accelerato lo sfascio del sistema sanitario della Striscia. Altra conseguenza del blocco è il dissesto del settore agricolo, una delle maggior fonti di sostentamento. La produzione è difficile anche a causa dell’impossibilità di importare fertilizzanti, che si teme possano essere usati per la produzione di ordigni esplosivi.
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SCHEDONE ISRAELE (aggiornato alle 19.40 E POI INVIATO A VANITY) -
CHE COSA SUCCESSO QUESTA MATTINA (31 maggio 2010):
Tra le 4.30 e le 5 di oggi la marina militare israeliana ha attaccato la Freedom Flotilla, un convoglio di sei navi di organizzazioni non governative in viaggio verso la Striscia di Gaza per portare aiuti umanitari ai palestinesi. A bordo delle navi c’erano 700 passeggeri di 40 diverse nazionalità e un carico di diecimila tonnellate di aiuti (cemento, medicine, cibo, case prefabbricate, 500 sedie a rotelle elettriche ecc). Molti di questi oggetti, per prime proprio le sedie a rotelle elettriche, rientrano nella lista stilata da Israele dei duemila oggetti che non possono entrare nella Striscia.
Lo scontro è avvenuto sulla nave di un’organizzazione non governativa turca che guidava la spedizione. Il bilancio dell’assalto è ancora incerto, i morti sarebbero dieci, i feriti 26. Secondo l’emittente Al Jazeera sei vittime sono di nazionalità turca, per Al Arabiya i turchi morti sono nove, mentre gli altri attivisti uccisi sono di origini arabe. Ci sarebbero anche 26 feriti, di cui uno grave, mentre l’esercito israeliano parla di quattro soldati feriti. La Farnesina conferma la presenza di italiani a bordo delle navi ma esclude che ve ne siano tra le vittime. In un primo momento si era parlato di 19 vittime.
L’obiettivo della spedizione, salpata giovedì scorso dalla Turchia, era rompere l’assedio a Gaza e portare aiuti. Le autorità israeliane avevano minacciato di usare la forza se i militanti avessero tentato di avvicinarsi alle coste della Striscia. La promessa è stata mantenuta.
L’assalto è avvenuto a 75 miglia (130 km) dalle coste israeliane. Che l’incidente sia avvenuto in acque internazionali è l’unico elemento in comune tra le versioni dell’accaduto fornite dai responsabili di Freedom Flotilla e le fonti della difesa di Tel Aviv, che ha imposto la censura ai media d’Israele. I pacifisti, ora trasferiti in un centro di detenzione nel porto di Ashdod (nel Distretto Sud di Israele, a 70 km da Gerusalemme) da dove saranno espulsi o arrestati se rifiuteranno l’esplusione, sostengono di essere stati attaccati nonostante fosse stata esposta una bandiera bianca.
Le ricostruzioni dei fatti da parte dell’esercito israeliano e delle Ong sono per il momento molto divergenti. Secondo le forze di sicurezza israeliana le persone a bordo della Mavi Marmara, la nave della Freedom Flotilla vittima dell’attacco, battente bandiera turca, dopo essere state intercettate, avrebbero attaccato i soldati con armi da fuoco e coltelli. freegaza.org, sito internet del Free Gaza Movement, una delle ong che ha organizzato la flottiglia della pace, racconta che commandos israeliani sono scesi sulla Mavi Marmara da un elicottero.
Il comandante della marina militare israeliana, l’ammiraglio Eliezer Marom, ha detto che gli scontri mortali si sono verificati solo su una delle sei navi, la turca Mavi Marmara. Su tutte le altre imbarcazioni, ha detto, l’operazione si è svolta senza che vi fosse resistenza da parte dei passeggeri e perciò senza vittime. «Durante l’intercettazione - si legge in un comunicato militare israeliano - i dimostranti a bordo hanno attaccato il personale navale dell’IDF (Israel Defense Forces, la Forza di difesa israeliana, ndr) con armi da fuoco e armi leggere, inclusi coltelli e bastoni. Inoltre una delle armi usate era stata strappata a un soldato dell’Idf. I dimostranti avevano chiaramente preparato le proprie armi in anticipo per questo specifico scopo. Come risultato di questa attività violenta, le forze navali hanno usato strumenti antisommossa, comprese armi da fuoco». Secondo il ministro della Difesa israeliano Ehud Barak, la responsabilità delle vittime ricade sui promotori dell’iniziativa, soprattutto su una Ong turca. Barack ha aggiunto che sulla nave sarebbero state trovate armi. Secondo altre ricostruzioni i soldati sarebbero stati attaccati solo con armi da taglio, non da fuoco. I responsabili doganali turchi affermano che tutti i passeggeri erano stati controllati attentamente prima dell’imbarco e che nessuno di loro aveva con sé armi.
La Turchia ha subito convocato l’ambasciatore israeliano, annullato tre esercitazioni militari congiunte e avvertito che ci saranno «conseguenze irreparabili». Annullata anche la partita di calcio in programma tra la nazionale Under 18 turca e quella israeliana. Il presidente palestinese, Abu Mazen, ha parlato di «massacro» e ha proclamato tre giorni di lutto nei territori palestinesi. Il suo partito, Al Fatha, sta promuovendo raduni di protesta contro l’azione israeliana e di solidarietà alla Turchia. Hamas ha invocato un’Intifada contro tutte le ambasciate israeliane nel mondo.
Secondo fonti citate da Haaretz nell’attacco sarebbe rimasto ferito anche lo sceicco Raed Salah, capo del Movimento islamico nei territori palestinesi. In serata, però, il deputato arabo della Knesset, Hanin Al-Zoghbi, ha smentito la notizia. Le voci sul presunto ferimento dello sceicco hanno scatenato gravi tumulti a Um el-Fahem, la città araba a 60 chilometri da Tel Aviv dove risiede il leader del movimento islamico. Fonti di sicurezza riferiscono di nutriti lanci di pietre da parte di dimostranti e di tentativi della polizia di disperderli con il ricorso a bombe assordanti e a gas lacrimogeni. Non si ha finora notizia di vittime. Martedì la popolazione araba in Israele osserverà una giornata di sciopero generale di protesta.
Il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-Moon si è detto sconvolto per quanto avvenuto, e il Libano, che questo mese presiede il Consiglio di Sicurezza, ha chiesto una riunione d’emergenza. Il Vaticano ha espresso «grande preoccupazione e dolore». La Lega Araba ha convocato una riunione d’urgenza per domani e il suo segretario, Amr Mussa, ha definito l’assalto un «crimine» che mette a rischio il negoziato di pace. Il ministro degli Esteri italiano, Franco Frattini, condannando «in modo assoluto l’uccisione di civili», ha sollecitato l’apertura di un’indagine e ha chiesto spiegazioni all’ambasciatore israeliano. L’Ue ha sollecitato «un’inchiesta completa». Grecia, Spagna, Svezia, Norvegia, Danimarca, Austria, Francia ed Egitto hanno convocato l’ambasciatore israeliano. La Casa Bianca ha espresso «profondo rammarico» per la perdita di vite umane, ma ha detto che l’amministrazione Usa sta esaminando le «circostanze dell’accaduto».
LA FLOTTA: FORMATA DA OTTO NAVI, DUE PER PROBLEMI MECCANICI NON SONO PARTITE -
La Freedom Flotilla è una flottiglia multinazionale messa insieme da diverse ong filo-palestinesi sotto la bandiera di "Free Gaza", sodalizio con sede a Cipro formato in prevalenza da militanti della sinistra occidentale che si battono contro il blocco imposto da Israele tre anni fa contro la Striscia di Gaza. La flotta è composta da otto navi, quattro cargo e quattro passeggeri. Un nave cargo è finanziata dall’Algeria, una dal movimento Free Gaza irlandese, una dal Kuwait e l’ultima da gruppi associazioni europee (prevalentemente greche e svedesi). Tra le quattro navi passeggeri, invece, una è finanziata dalla Turchia. Un’altra si chiama ”Ottomila”, come il numero dei detenuti palestinesi nelle carceri israeliane. Il convoglio è stato organizzato dal movimento internazionale Free Gaza e da quello turco IHH, fuorilegge in Israele perché accusato di finanziare Hamas e avere stretti legami con le organizzazioni terroriste islamiche. Non tutte le otto navi sono partite alla volta di Gaza: due avevano problemi meccanici e partiranno nei prossimi giorni.
Nell’agosto 2008 ’Free Gaza’ era riuscita a sbarcare con pochi aiuti nella Striscia. Nel dicembre 2008 un’operazione analoga era stata bloccata: gli israeliani avevano speronato la nave degli attivisti.
LA FREEDOM FLOTILLA:
La Coalizione della Freedom Flotilla comprende: Free Gaza Movement (FG), European Campaign to End the Siege of Gaza (ECESG), Insani Yardim Vakfi (IHH), Ship to Gaza Grecia, Ship to Gaza Svezia, e la International Committee to Lift the Siege on Gaza, oltre a centinaia di gruppi e organizzazioni che da tutto il mondo ne sostengono gli sforzi.
GLI ITALIANI A BORDO:
Sono cinque i cittadini italiani di cui si ha certezza che fossero a bordo delle navi della Freedom Flotilla attaccate dalla Marina militare israeliana. Si tratta di Angela Lano, direttore genovese dell’agenzia di stampa Infopal, Manolo Luppichini, videomaker free-lance romano, di Manuel Zani, fotografo e videomaker freelance di Cesena, Giuseppe "Joe" Fallisi, tenore 50enne milanese e Muin Qaraqe, cittadino italiano di origini giordane residente a Milano (dove ha moglie e tre figli) e membro dell’Associazione benefica di solidarietà con il popolo palestinese (Abspp). Altri tre cittadini italiani dovevano imbarcarsi e per varie ragioni sono rimasti bloccati a Larnaca, città sulla costa meridionale di Cipro, dove la flotta dei pacifisti ha fatto scalo l’altro ieri. I tre sono Fernando Rossi, ex senatore e co-fondatore della formazione "Per il Bene Comune" con la presidente dello stesso movimento, Monia Benini. Il terzo italiano bloccato è Abd El Jaber Tamimi, di origini palestinesi, ricoverato a Larnaca per un malore e rientrato a Milano, città dove risiede, nella mattinata di ieri. Anche lui, come Qaraqe, è membro dell’Associazione benefica di solidarietà con il popolo palestinese (Abspp).
CHE COSA LA STRISCIA DI GAZA:
La Striscia di Gaza è un territorio (superficie: 360 km², popolazione: 1.400.000 abitanti di etnia arabo-palestinese) confinante con Israele ed Egitto che si trova nei pressi della città di Gaza. I confini furono stabiliti nel 1948 dopo la creazione dello stato d’Israele.
Quest’area non è riconosciuta internazionalmente come uno Stato sovrano. L’Autorità Nazionale Palestinese (organizzazione costituita nel 1994 in base agli accordi tra Yasser Arafat, che firmò per conto dell’OLP, l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, e Shimon Peres, che firmò per conto dello Stato d’Israele) la considera parte dei Territori palestinesi.
Dal 2007 il governo della Striscia è nelle mani di Hamas, l’organizzazione palestinese che punta alla creazione di uno Stato islamico in Palestina. L’Egitto ha governato la Striscia tra il 1948 e il 1967, Israele dal 1967 al 2005, quando si è ritirato. In base agli accordi di Oslo firmati nel 1993 da Israele e dall’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, Israele mantiene il controllo militare dello spazio aereo della Striscia di Gaza, delle frontiere terrestri (attraverso la barriera tra Israele e la Striscia di Gaza) e delle acque territoriali.
IL BLOCCO DELLA STRISCIA DI GAZA:
Quando si parla di «blocco della Striscia di Gaza» ci si riferisce al blocco dell’area della Striscia imposto da Egitto e Israele a partire dal giugno 2007. Dopo la battaglia di Gaza (12-14 giugno 2007, contrapposte le due principali fazioni palestinesi, Fatah e Hamas) e la presa del controllo della Striscia da parte di Hamas, Israele ha sigillato la sua frontiera con la motivazione che Fatah non è più in grado di garantire la sicurezza, e ha imposto un blocco sul territorio che vieta tutte le esportazioni e consente solo di trasportare beni sufficienti a evitare una crisi umanitaria o di salute. In seguito ai lanci di razzi sul sud di Israele e agli attacchi di militanti palestinesti sui punti di passaggio tra Israele e Gaza le misure sono state inasprite. Temendo un travaso di militanti di Hamas sul suo territorio, anche l’Egitto ha chiuso la sua frontiera. Secondo le Nazioni Unite circa la metà degli abitanti della Striscia ha attraversato la frontiera in Egitto in cerca di cibo.
RIEPILOGO DEL PROCESSO DI PACE ISRAELO- PALESTINESE.
ULTIME (MAGGIO 2010)
Le trattative del processo di pace tra israeliani e palestinesi erano riprese ai primi di maggio dopo un blocco durato più di un anno. Il presidente dell’Anp, Abu Mazen, nell’autunno del 2008 aveva interrotto il confronto con Israele dopo le dimissioni dell’allora premier Ehud Olmert, sospettato di corruzione. Il 9 maggio scorso il diplomatico statunitense George Mitchell aveva incontrato Abu Mazen. Al termine dell’incontro, il negoziatore palestinese Saeb Erekat aveva annunciato la ripresa delle trattative parlando di "proximity talks", cioè di "negoziati indiretti".
1948
Il 14 maggio 1948 viene proclamato lo Stato di Israele. Quello stesso giorno scoppia la prima guerra arabo-israeliana. La Palestina è invasa da diversi eserciti arabi. La guerra è vinta da Israele.
1956
L’Egitto blocca il Canale di Suez e innesca la seconda guerra arabo-israeliana. Israele esce di nuovo vincitore dal conflitto. In quest’occasione è occupata la Striscia di Gaza e la Penisola del Sinai, restituite dopo un armistizio.
1967
Si combatte la guerra dei Sei Giorni (Israele contro Egitto, Siria e Giordania). Israele aumenta di quattro volte il suo territorio rispetto al 1948. L’aviazione dello Stato ebraico distrugge l’intera flotta militare di Egitto e Giordania.
1973
Guerra del Kippur tra Israele e una coalizione composta da Egitto e Siria. Israele vince ma le polemiche suscitate dall’impreparazione delle forze armate provocano le dimissioni del governo di Golda Meir.
Camp David, settembre 1978
Il presidente Usa Jimmy Carter riesce a portare nel Maryland il presidente egiziano Sadat e il premier israeliano Menachem Begin. La pace di Camp David tra Egitto e Israele è firmata nel 1979, e mette fine a una guerra tra i due paesi durata 31 anni. Due anni dopo Sadat verrà assassinato da un estremista arabo contrario alla pace.
Conferenza di Madrid, 1991
Il presidente Usa George Bush, il capo del governo spagnolo Gonzalez e il presidente russo Gorbaciov invitano Israele, Siria, Libano, Giordania e palestinesi a una conferenza di pace. Colloqui bilaterali e un inizio di trattativa, che troveranno una definizione a Washington e a Oslo.
Oslo, il processo di pace (settembre 1993-maggio 1994)
Uno dei più lunghi e tormentati percorsi alla ricerca della pace, il primo in cui Israele tratta direttamente con una delegazione palestinese. Sotto la guida del super mediatore Usa Warren Christopher, nel settembre 1993 a Washington Israele e l’Olp firmano una Dichiarazione dei principi che prevede cinque anni di transizione per il passaggio della striscia di Gaza e di Jerico all’Autorità palestinese, la creazione di una polizia palestinese, elezioni. Poi, nel maggio 1994 al Cairo la firma definitiva tra Yitzhak Rabin e Yasser Arafat, che decidono di affrontare in un altro negoziato lo stutus di Gerusalemme e l’Autorità palestinese.
Dichiarazione di Washington, 1994
Il trattato di pace tra Israele e Giordania è firmato da re Hussein e dal primo ministro israeliano Yitzhak Rabin. "Artefice" dell’accordo è il presidente degli Stati Uniti Bill Clinton. Nell’"Agenda" di Hussein e Rabin l’impegno a risolvere pacificamente i problemi di confine, di territori, di sicurezza, acqua, energia e della Valle del Giordano.
Accordo di Gaza, 1995
Le firme sono quelle di Rabin e Arafat, alla presenza di Bill Clinton. Ritiro immediato di Israele da Betlemme, Jenin, Nablus, Qalqilyah, Ramallah e Turkarm e da 450 villaggi. L’accordo per lo stutus di Hebron, di Gerusalemme e di Gaza viene fatto slittare a un successivo negoziato, fissato tra la primavera del 1996 e quella del 1999.
Wye Plantation, 1998
Con la mediazione ancora di Bill Clinton e del già malato re giordano Hussein, il premier Benjamin Netanjahu e il presidente dell’Autorità palestinese Yasser Arafat, dopo lunghissime trattative, raggiungono un accordo in più punti:
* Ritiro in tre fasi di Israele dal 13 per cento dei Territori della Cisgiordania e passaggio di consegne del 14 per cento dei Territori controllati dai palestinesi.
* L’Autorità palestinese si impegne a mettere in prigione 30 persone che Israele sospetta di terrorismo. Lo Stato ebraico si impegna a liberare 750 detenuti palestinesi.
* La Carta dell’Olp: i palestinesi si impegnano a cancellare le clausole sulla distruzione dello Stato di Israele.
* Corridoi tra la striscia di Gaza e la Cisgiordania, aeroporto palestinese a Gaza e zona industriale al confine tra Gaza e Israele.
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Greta Berlin (portavoce Free Gaza) 00 357 99187275