Giovanni Bianconi, Corriere della Sera 31/05/2010, 31 maggio 2010
GLI AGENTI DEI «COLD CASE» E I 27 OMICIDI RIAPERTI
«L’idea che mi sono fatta è che tali attentati erano motivati dalla volontà di ignoti di allontanarmi dalla ditta, per poter avere il controllo della stessa», disse ai magistrati Rosanna Fiori, titolare dell’azienda floro-vivaistica sarda Barbagia Flores (una delle migliori d’Italia e forse d’Europa) all’indomani delle fucilate sparate contro la sua abitazione e delle scritte minacciose comparse alla fine del 1998. «Qualcuno vuole appropriarsi della ditta – aggiunse – proprio perché noi, spaventati ed esasperati, dovremmo essere disponibili a svendere a un prezzo molto più basso del suo valore reale».
Tre anni dopo, il 3 ottobre 2001, Rosanna Fiori – originaria di Sassari e imparentata con l’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga – venne assassinata a colpi di fucile mentre usciva di casa, alle 8 del mattino, in un paese dell’Ogliastra, in provincia di Nuoro. Un delitto rimasto senza soluzione fino a poche settimane fa, quando la presunta mandante e un uomo accusato di essere il killer sono stati arrestati al termine di un’inchiesta che conta altri dodici indagati. Il movente disegnato da investigatori e inquirenti, in attesa del processo, è proprio quello intuito dalla stessa Fiori dopo gli attentati intimidatori, assieme ad altri fra cui il licenziamento della donna oggi accusata di aver organizzato l’omicidio. Collegato alle precedenti minacce.
La svolta è arrivata grazie alla rilettura complessiva degli elementi raccolti all’epoca dei fatti, attraverso la sintesi fra analisi di laboratorio e attività investigativa tradizionale. Il risultato è il primo ottenuto dall’Unità delitti insoluti, creata meno di un anno fa presso la Direzione centrale anticrimine della polizia. L’Udi unisce le risorse della Polizia scientifica con quelle del Servizio centrale operativo, e fa da supporto alle squadre mobili che operano sul territorio per tentare di dare una soluzione ad omicidi e altri gravi delitti che non l’hanno ancora trovata. Sono i cosiddetti «casi freddi», che si cerca di attualizzare con nuovi spunti forniti a chi deve dare un nome ai colpevoli finora scampati alle indagini. Sull’intero territorio nazionale, partendo dai dati conservati negli archivi della polizia scientifica, sono stati selezionati un centinaio di casi per i quali sono a disposizione ben 2.560 reperti mai trattati prima (dagli oggetti più svariati ai proiettili esplosi, da tracce biologiche a frammenti chimici, da registrazioni foniche a campioni grafici) che oggi si possono rianalizzare nel tentativo di dare ulteriori impulsi alle indagini. Su quei cento delitti, per 35 sono stati trovati elementi considerati utili e in 27 casi – tenuti riservati per non destare allarme nei sospettati’ è stata già decisa la riapertura formale delle inchieste. Gran parte dei fascicoli riguardano omicidi commessi a Roma (11), due sono a Potenza (uno riguarda la morte di Elisa Claps) e gli atri sono sparsi fra nord e sud, da Udine a Bari, da Torino a Lecce. Fino a Nuoro, dove poliziotti e magistrati ritengono di essere venuti a capo dell’assassinio di Rosanna Fiori, attraverso un lavoro che rappresenta il paradigma dell’attività svolta dall’Unità delitti insoluti.
Prima dell’uccisione dell’imprenditrice c’erano stati gli spari intimidatori del settembre e dell’ottobre 1998, apparentemente provenienti da armi diverse. Ma le nuove analisi di laboratorio effettuate sui bossoli hanno permesso di scoprire una modifica al percussore del fucile Winchester utilizzato in entrambi gli attentati, nel tentativo di sviare le indagini. Matrice unica, dunque, per due azioni di cui una fu rivendicata con un cartello scritto a mano e affisso lungo il viale d’accesso alle serre della Barbagia Flores. All’epoca le perizie grafiche non consentirono di identificare l’autore delle minacce, anche per via degli «artifici dissimulativi» utilizzati, mentre i confronti effettuati oggi con il microscopio elettronico le hanno attribuite all’uomo ora arrestato per l’omicidio. Ad accusarlo c’è poi una sua frase, intercettata nel 2009, nella quale l’uomo si auto-attribuisce una fucilata che per il giudice è fra quelle sparate contro Rosanna Fiori.
Gli accertamenti merceologici della polizia scientifica hanno anche stabilito che un pezzetto di stoffa e materiale sintetico trovato appeso a una rete di protezione vicino al luogo del delitto, era un tentativo di depistaggio per indicare una via di fuga dell’assassino diversa da quella realmente utilizzata. La conformazione del reperto, infatti, non era compatibile con lo strappo di un indumento e gli esami di laboratorio hanno svelato che si trattava di un rettangolo «appositamente ritagliato emanualmente inserito nel filo spinato», (anziché rimasto accidentalmente impigliato) proprio per confondere le idee agli investigatori. I quali, a nove anni dal delitto, le hanno riordinate fino ad individuare i presunti assassini.