Danilo Taino, Corriere della Sera 30/5/2010, 30 maggio 2010
IO, DILETTANTE DA DUE MILIARDI DI EURO [A
casa di]
L’ex dandy che guida un impero cercando di mettere d’accordo 60 familiari «Più dei conti m’interessa l’arte. Non sono un esperto, ma curioso e viaggio»
Il fondatore, che inventò la prima macchina per tagliare i cristalli, giunse nel Nord Tirolo nel 1895 In futuro ci saranno nuovi prodotti. Vogliamo muoverci verso il media entertainment
Per i viaggiatori seriali della Monaco-Brennero, l’uscita di Wattens è una tappa. Ci si ferma a fare benzina, in Austria non costa come in Germania e Italia. Meno di ottomila abitanti, tra le montagne del Nord Tirolo, il paesino è lindo e ordinato, il traffico è scarso, il crimine è vicino allo zero, la vita di comunità domina la valle. Non è New York, non è Vienna e, in fondo, nemmeno la vicina Innsbruck. Markus Langes-Swarovski, uno degli uomini più ammirati d’Europa, dice però che vivere qui «è una scelta», non un’imposizione. Il numero uno dell’impero di cristallo non è un eremita: a 35 anni, potrebbe somigliare al Dorian Gray del suo amato Oscar Wilde. Non è un workaholic: più della contabilità aziendale gli interessano l’architettura, la musica, la poesia. E non è un esperto, piuttosto un Uomo senza qualità nel senso di Musil: «Credo nel concetto di dilettante, curioso in mille direzioni». Ma sta a Wattens.
«Viaggio molto, naturalmente, abbiamo attività in tutto il mondo’ spiega ”. Ma non voglio tenere la vita separata dal lavoro: qui si può avere un buon bilanciamento, vivere in un villaggio rurale è un privilegio». che nel 2002, a 28 anni, è stato nominato portavoce – cioè unica figura pubblica – del gruppo Swarovski: significa guidare un business che l’anno scorso ha fatturato 2,25 miliardi di euro e tenere unita la famiglia che ne è proprietaria, oltre 60 membri, ognuno con un po’ di azioni ma soprattutto con idee diverse su che cosa si dovrebbe fare. Non è sempre stato questo il mondo di Langes-Swarovski.
Negli anni dell’università, a Monaco, studiava la vita: viaggiava, suonava, guidava una Porsche, si interessava di architettura, di letteratura, di ragazze. Un giovane dandy, se ancora ce ne può essere uno nel Vecchio Continente. Un periodo’ dice oggi – che lo ha aiutato a formare mente e visione del mondo.
E probabilmente a creare il suo modo di presentarsi, che è la prima cosa a colpire chiunque lo incontri. Alto, magro, biondo, occhi blu, sorriso gentile e sfrontato, qualche volta è stato fotografato in costume tirolese, come si deve a Wattens. Ma in genere lo si trova in sottili abiti blu, camicia bianca o azzurra, se possibile senza cravatta. «Tra gli imprenditori oltre il miliardo, è uno dei pochi a potere essere definito affascinante senza sembrare ipocriti», ha scritto il solitamente più che sobrio quotidiano tedesco «Handelsblatt».
Solo poi, dopo gli anni nella gaia Monaco, è arrivato il fardello di famiglia. Che non è la vita aWattens, una figlia, un figlio e una moglie, «dalla quale sto divorziando». E non è la rinuncia, almeno in parte, alla vita mondana e internazionale, quella della cugina Fiona, per dire. prendersi carico di un’azienda che è un’icona globale, un punto fermo nel mondo della moda, una cascata di cristalli finiti sul cappello della Regina Elisabetta, sull’abito di Marilyn di Happy Birthday Mr. President, sui modelli di Chanel, di Dior, di Armani, di Prada, di Versace, sulle scarpe di Jimmy Choo. E portare quest’impresa avanti in un secolo in cui i cristalli egiziani e cinesi costano un quinto di quelli prodotti dai 5.200 lavoratori di Wattens e in cui la famiglia Swarovski rischia mille distrazioni. Un fardello che sulle spalle di Markus per ora sembra leggero, «una scelta», appunto.
La nomina a numero uno della Swarovski era per lui quasi inevitabile. figlio di Gernot Langes-Swarovski, il maggiore azionista, 21 per cento dei titoli, che ha guidato il gruppo per anni. E in famiglia, Markus è visto come una figura unificante in una struttura complicata, nella quale prendere le decisioni non è facile. Ma ha accettato da austriaco che non ama le guerre. «Il mio è un compito di stewardship nei confronti della famiglia e della società», dice: tutela e crescita di quello che gli Swarovski hanno ereditato e che i 22 mila dipendenti nel mondo costruiscono ogni giorno.
Il fondatore, Daniel Swarovski, nella seconda metà dell’800 produceva cristalli in Boemia ma era anche un appassionato di macchine. Stimolato dalla rivoluzione industriale, dalle grandi esposizioni di quegli anni, dalla globalizzazione di quella fine di secolo, tanto fece che riuscì a inventare la prima macchina per tagliare e lucidare i cristalli migliori di quelli levigati amano. Timoroso di essere copiato dalla concorrenza che lo circondava in Boemia, nel 1895 si trasferì, all’interno dei confini dell’Impero asburgico, e trovò aWattens i terreni e l’energia idroelettrica per creare la prima fabbrica. Il successo fu straordinario, i mercati della moda di Parigi e Roma si aprirono alle nuove pietre, i grandi sarti accorsero in Tirolo per disegnare le loro creazioni, i palazzi e i teatri di Londra, di Vienna, di New York si illuminarono con i lampadari a goccia di Swarovski.
Arrivò la prima guerra mondiale, quel bel mondo finì, l’Impero crollò, si imposero il nazismo e il secondo conflitto mondiale. I tre figli di Daniel – Fritz, Wilhelm, Alfred’ presero le redini della società, gli eredi si moltiplicarono. Ma il gruppo è rimasto sempre in famiglia, ha continuato a crescere e negli anni Settanta, spinto dalla crisi petrolifera, ha abbinato alla produzione di pietre quella di prodotti propri, dalle famose statuine da collezione a decine di oggetti preziosi con il marchio Swarovski. Un successo eccezionale. «Un brand del lusso inclusivo piuttosto che esclusivo – dice Markus’ prodotti semplici, senza escludere le élite».
E, aggiunge, «risultati raggiunti grazie alla famiglia, non nonostante la famiglia». Già, famiglia non facile. A governare il gruppo – che oltre al
business di gran lunga principale dei cristalli, produce macchine molatrici, rifrangenti stradali e strumenti ottici – ci sono un’assemblea dei soci, un consiglio di supervisione e un comitato di gestione. Nell’assemblea, si riuniscono i più di sessanta eredi. Il consiglio è formato da sei membri, due per ognuna delle linee di discendenza dei tre figli del fondatore Daniel: oggi è occupata dagli «anziani» della quarta generazione. Il terzo, è composto da chi gestisce direttamente le attività: è in questo comitato che siede, primus inter pares, Markus con altri membri della quinta generazione. Una struttura che sembra fatta per rendere impossibili le grandi decisioni, che devono essere prese all’unanimità. In passato, per esempio, alcuni membri della famiglia avrebbero voluto quotare il gruppo in Borsa, altri avrebbero voluto vendere qualche attività. Niente da fare, mai trovato l’accordo.
«Noi della quinta generazione vogliamo continuare a essere una famiglia che gestisce il business, al momento in azienda sono impegnati venti di noi’ dice Langes-Swarovski ”. Non è scritto nella pietra che debba sempre essere così: un giorno potrebbero arrivare dei manager esterni, non ci sono regole strette e io non sono dogmatico. Però, siamo un’impresa liquida, che fa profitti, che controlla i rischi ma che li vuole anche prendere e che si autofinanzia. Puntiamo a una crescita bilanciata». Il futuro, spiega, saranno sempre nuovi prodotti in nuovi settori. Ma anche la cura dell’anima, così vicina al cristallo. «C’è il tangibile e ci sarà sempre più l’intangibile», lo sviluppo cioè delle emozioni che le pietre e il nome Swarovski sollevano. «Vogliamo muoverci verso il media entertainment e il location entertainment »: forse – ma Markus non lo svela – nuovi mondi delle meraviglie, parchi del cristallo, hotel luminosi, cinema.
Il passato e il futuro. Se oggi l’Austria può esprimere, tutti assieme, il vecchio Impero cosmopolita, l’ironia e il distacco di Musil, la modernità di una società ricca e borghese, il risultato è probabilmente la figura delicata di Markus Langes-Swarovski. Cognome globale ma uomo di famiglia a Wattens, felix Austria.