Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  maggio 30 Domenica calendario

NELLA RUSSIA DEI TATARI OGGI LA MINACCIA IL VOLGA

Kazan ( Russia) – Era già malato, molto malato, Anton Cechov, quando decise nel 1901 di offrire alla giovane moglie Olga Knipper, come regalo di nozze, una crociera sul Volga: una passeggiata in barca di oltre 3.500 chilometri dalla sorgente, a Nord di Mosca, al delta nei pressi di Astrachan, sulla sponda occidentale del Mar Caspio. Una sofferenza anche per Olga, l’attrice per cui aveva scritto Il giardino dei ciliegi e che adesso gli faceva da crocerossina somministrandogli il kumys, o latte di giumenta fermentato, la cura prescritta dai medici per i malati gravi di tubercolosi e alimento tipico dei nomadi della steppa.
Kazan doveva essere una tappa obbligata anche cent’anni fa, per chi scendeva o risaliva il Volga: ed è probabile che agli occhi del medico-scrittore la sua duplice fisionomia sia apparsa ancor più netta e definitiva che ai giorni nostri. Da una parte, la città russa, col Cremlino, i campanili e le cattedrali, fondata nel 1553 da Ivan il Terribile dopo la vittoria che liberò la Russia dal «giogo tataro»; dall’altra, la città musulmana, poi capitale della Repubblica autonoma dei Tatari, rimasti entro le sue mura dopo la sconfitta e da allora vivono in pace all’ombra dei minareti e vengono regolarmente destati all’alba dalla voce lamentosa del muezzin.
Oggi in realtà il conflitto tra russi ortodossi e tatari-musulmani non esiste e non risulta che esso abbia mai seriamente turbato l’esistenza delle due etnie neanche nel recente passato. Raccolgo la testimonianza di Luisa Ignatjeva, responsabile della pagina della cultura di un quotidiano di Kazan: «Posso asserire tranquillamente’ dice scorrendo rapida titoli e articoli del suo giornale – che i rapporti tra le due comunità sono più che stabili. Col russo, i nostri bambini imparano il tataro fin dalla prima elementare. Io stessa sono di origine tatara ma felicemente sposata con un russo. Molto dipende dalle famiglie: solo le più rigide e conservatrici respingono il dialogo, ma sono poche. Qualche episodio d’intolleranza occorre tra i giovani, particolarmente nella zona di confine tra Russia europea e Russia asiatica. Io ho frequentato la facoltà di giornalismo e ho cominciato a scrivere sui giornali a 14 anni. Ma il sogno di tutti noi’ ragazzi e ragazze’ era andare a Mosca. Una sola ce l’ha fatta e a 30 anni era già famosa. Io no. Fui bloccata dai miei genitori che vedevano la capitale come un orco, pronto a divorarmi. Qui, adesso, mi occupo di cose concrete, il dibattito sulle questioni etnico-ideologiche non interessa più nessuno: ciò che conta alla fine è il benessere economico».
L’instancabile viaggiatore Bruce Chatwin annota in un suo libro che «per la storia russa i termini tataro e mongolo sono sinonimi» e non deve quindi sorprendere che i cavalieri tatari affacciatisi nel Duecento ai confini dell’Europa fossero considerati orde dell’Anticristo e costituissero una grave minaccia per le comunità cristiane al di qua del Volga.
Non so quanto abbiano contribuito l’indole e la filosofia orientali, ma la minaccia è stata comunque sventata e Kazan continua ad essere, grazie anche al porto, una città dinamica dove commercio e cultura convivono senza conflitti. quanto emerge dall’analisi della signora Kadyrova, firma autorevole del Kazan sera, che dice: «Non è tutto rose e fiori, ogni tanto scoppia qualche rissa tra i ragazzi, un po’ di xenofobia e d’insofferenza per le nuove e sempre più fitte immigrazioni dal Tagikistan, dal Caucaso, dall’Asia Centrale in genere che mettono a disagio la manodopera locale. Inoltre, dei 4 milioni della popolazione del Tatarstan, 800 chilometri ad Est di Mosca, più di un milione vive nella Capitale, un gran miscuglio di russi e tatari, e se di tanto in tanto scappa qualche cazzottata non è poi la fine del mondo».
Né deve sorprendere che in una regione grande quanto l’Irlanda si sia gradualmente sviluppato nella gente un sentimento o qualcosa di simile a un desiderio di autonomia nei confronti di Mosca, particolarmente rintracciabili tra gli studenti: e nei gruppi giovanili anche se sarebbe azzardato qualificarli come un vero e proprio movimento secessionista: «Il fatto è’ aggiunge Ajsalu Kadirova nel tentativo di far chiarezza sull’argomento’ che a Kazan la cultura è chiusa in se stessa, che è malata di provincialismo e si crede autosufficiente. Quasi nessun interesse per quanto avviene a Mosca o nel resto del mondo. Ci sono però anche segni positivi e l’Italia è sempre presente al Bolscioi col repertorio lirico: Tosca, Rigoletto, Barbiere di Siviglia, Butterfly, Carmen... Da 28 anni Kazan ospita un Festival dedicato al suo concittadino più illustre, il famoso basso Fedor Scialiapin, contemporaneo di Caruso. I botteghini dell’Opera e del teatro di prosa sono contesi con pari accanimento da tatari e russi. Se stasera vuoi vedere Il giardino dei ciliegi devi metterti in coda... Ma vedremo di accontentarti».
I grandi riverberi della cultura si colgono ovunque per le strade di Kazan. Davanti all’edificio dell’Università dove ha studiato e da cui venne espulso per insubordinazione, c’è una statua di Lenin con la giacca a tracolla e in un beffardo atteggiamento di sfida: ma all’interno, nelle bacheche e nei registri, non c’è traccia della sua frequenza ai corsi. Si trovano invece testimonianze sulla docente di lettere Eugenia Ginsburg morta di stenti e di fame nel gulag femminile di Eljen, nel deserto ghiacciato della Kolyma, mentre altri professori vennero fucilati. Di Eljen serbo uno straziante ricordo dopo una visita fatta nel ”99 al cimitero di sole donne sepolte senza croci e senza nome.
Lo stesso ateneo ebbe l’onore di impartire la propria erudizione al sedicenne conte Lev Tolstoj che vi rimase per cinque anni mezzo: durante i quali – è lui stesso a rivelarlo nel racconto La notte santa – ebbe modo di perdere la verginità a 17 anni in una «casa di ristoro» di Kazan. Ma alla fine il rimorso ebbe il sopravvento sull’ebrezza, tanto che, compiuto l’atto, «si mise a piagnucolare come un bambino». Per non parlare dell’ultima vittima di quell’affascinante fabbrica di cervelli, Aleksej Maksimovic Peskov (passato poi alla storia col nome di Gorky), che lo respinse brutalmente perché «troppo giovane, ignorante e povero» spingendolo verso il baratro del suicidio.
Ma a questo punto la contesa umana, il conflitto fra russi e tatari passano in secondo piano per spostare l’attenzione e concentrarla sulle condizioni di salute del Volga, ritenuto da gran parte degli scienziati un «malato terminale». Un morbo irreversibile, il suo, che ha finito per contaminare le quattro città della sponda occidentale dove ho fatto sosta in questo deprimente pellegrinaggio verso il «cratere» del disastro ecologico: quello del grande fiume russo è infatti il più vasto bacino idrografico europeo con una superficie di 1.360.000 chilometri quadrati.
«Nessuna sorpresa’ sostiene la giornalista di Kazan, Luisa Ignatjeva’ che abbia vinto la candidatura per i giochi olimpici universitari del 2003. prevista la costruzione di un gigantesco stadio di calcio e di altre 64 strutture in grado di consentire un adeguato svolgimento delle competizioni sportive contemplate nel calendario. Evidentemente tutti gli scarti del materiale edilizio usato per l’impresa finiranno nel fiume, contribuendo ad aumentarne il tasso d’inquinamento che è già ben oltre il livello di guardia».
Nel processo di avvelenamento del Volga, che ha avuto immediate e devastanti conseguenze sul patrimonio ittico, hanno svolto un ruolo determinante le grandi centrali idroelettriche, la prima inaugurata negli anni Trenta con l’avvio dell’industrializzazione forzata voluta da Stalin per predisporre un apparato bellico-militare in grado di affrontare gli alleati nazi-fascisti dell’Asse nella seconda guerra mondiale. Nelle acciaierie di Magnitogorsk, sugli Urali, che dovevano sfornare carri armati a getto continuo, morirono fra il 1931 e il 1932 250 mila uomini: mentre nel mastodontico complesso minerario-siderurgico di Norilsk – Siberia settentrionale’ le vittime dei lavori forzati furono circa I7 mila. «Welcome to Hell», benvenuti all’Inferno, sta ancora scritto all’ingresso di quella mostruosa camera mortuaria.
A Seratov come a Kazan, a Novgorod come a Volgograd (l’ex Stalingrado), chiunque si occupi, per professione, di risorse idriche riconosce di aver provato «un profondo senso d’impotenza» davanti al fenomeno, fino ad allora inconsueto, della scarsità d’acqua potabile, maggiormente nelle periferie remote del Paese più che nei grandi centri urbani. «Ci siamo trovati di fronte a un ecosistema molto delicato – spiega un giovane biologo di Seratov ”. All’inquinamento contribuisce pure l’estrazione del petrolio dal Mar Caspio, operazione cui partecipa anche l’Eni, e su tutto incombe la minaccia di una catastrofe. Al Nord dighe e centrali idroelettriche, sfruttate al massimo per produrre energia, provocano inondazioni e allagamenti che costringono la gente ad abbandonare in massa i luoghi d’origine. Questa regione, famosa per il pesce super-pregiato che produce, si trova ora in gravi difficoltà. Non era così sotto il regime dell’Urss, che teneva tutto sotto controllo – lo dico naturalmente senza alcun rimpianto per quella sciagurata stagione».
Si può vivere senza pane, non si può vivere senza acqua: questa l’amara conclusione degli scienziati, costretti a ripetere fino alla noia all’immensa e un po’ svagata scolaresca della Federazione russa che sostanzialmente il problema nasce dal fatto che le fonti sotterranee sono poche e scarse e non c’è dunque altro rimedio, per placare la sete, che ricorrere agli inesauribili’ anche se impuri’ serbatoi del Volga e dell’Oka, il suo maggior affluente.
Di tutt’altro genere dovevano essere i pensieri e le emozioni che il grande fiume suscitava nella mente e nel cuore di Anton Cechov quella mattina di cent’anni fa, quando insieme alla dolce Olga del giardino dei ciliegi si accingeva a consumare sulla nave-crociera una luna di miele lunga tremilacinquecento chilometri. (4-continua. Le prime tre puntate sono state pubblicate il 25 aprile, il 16 e il 23 maggio 2010).

Vedi Anche sch. n. 207460