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 2010  maggio 29 Sabato calendario

LA GRANDE INCANTATRICE DELL’ARCHITETTURA

Certo è che Zaha Hadid (architetto iracheno naturalizzato inglese, una laurea con Rem Koolhaas, prima donna a vincere il Premio Pritzker nel 2004) non è una donna che lascia indifferenti. L’eroina del Maxxi («con il gioco delle pareti curve – dice’ ho voluto creare uno spazio dove si potessero organizzare mostre senza limitazioni») è così capace di suscitare l’ammirazione del temibile critico del New York Times, Nicolai Ouroussoff, che per lei ha addirittura scomodato il fantasma di papa Urbano VIII («ne sarebbe rimasto estasiato» ha scritto) ma anche la rabbia di chi (da tecnico o da semplice osservatore) è riuscito a paragonare il nuovo museo a un «nodo autostradale» (Paolo Portoghesi) o a «uno specchietto per le allodole» (Mimmo Paladino).
Ma Zaha (sarà forse per le ascendenze principesche della madre, il padre era invece un ricco industriale sunnita) sembra sempre e comunque non curarsi mai delle critiche come delle celebrazioni. Anche se l’inaugurazione del Maxxi non potrà che farle piacere vista la sua fama di progettista geniale di «architetture belle e impossibili» (tra quelle che testimoniano concretamente il suo valore ci sono invece la Vitra Fire Station di Weil am Rhein, il Rosenthal Center for Contemporary Art di Cincinnati, l’Hoenheim-North Terminus & Car Park di Strasburgo, il Bergisel Ski Jump di Innsbruck).
Zaha Hadid, come molti dei suoi colleghi archistar, è stata capace (più omeno involontariamente) di diventare un vero personaggio, ha saputo insomma superare il limite del semplice progetto (quel limite che lei celebra nei suoi bellissimi disegni) per diventare un personaggio da copertina (quantomeno delle riviste di architettura). Come ha fatto? Chissà... Molto avrà certo giocato quella sua imponenza, anche fisica, con cui si presenta agli incontri (magari arrivando accompagnata da una vera e propria corte di assistenti adoranti, che la inseguono per portarle la sua tazza con il cappuccino). Sarà stato forse per quella sua eleganza innata: quasi sempre la divina Zaha si veste di nero (ma a Venezia alla presentazione del suo museo itinerante per Chanel, mai realizzato, si presentò in uno stupefacente tailleur pantalone bianco), nascosta in una sovrapposizione (studiatissima) di veli e controveli (quasi a voler ricordare il suo mondo d’origine, una nostalgia che traspare sempre appena si parla di Bagdad). Certo, anche in questo, Zaha non èmai banale (sarà questo il suo vero segreto?): perché si parla di veli, certo, ma di veli firmati (Issaie Miyake oppure Prada). A proposito di stile, Hadid (capelli neri, occhi grandi e dolci, tratti decisi) ama assai i particolari vezzosi emolto femminili: le unghie lunghe e curatissime, le scarpe spesso coloratissime e dal tacco alto, meglio ancora se made in Italy.
Viene addirittura da pensare che Zaha sarebbe molto piaciuta al nostro Federico Fellini. Per quella sua dolcezza di fondo, per quella sua voce profonda che all’apparenza ti allontana ma che forse cerca ogni volta la tua complicità (un segreto che si rivela quelle poche volte che ride; un vezzo, quello della risata difficile, che aveva anche la Garbo).
Resta il fatto che Zaha Hadid è una grande incantatrice. Dei suoi clienti, tanto che anche piccole amministrazioni l’hanno scelta, nonostante il suo cachet, per grandi progetti (Cagliari per il Museo Betile, Salerno per la Stazione marittima, Reggio Calabria per il Waterfront). Come dei giurati del Pritzker (grandi amanti delle forme rigorosissime tanto che l’ultimo premio è toccato a un’altra donna, letteralmente agli antipodi rispetto alla progettista del Maxxi, la monacale Sejima) che scelsero proprio lei, Zaha la decostruttivista che ama stupire, per dare una svolta «rosa» dopo anni di grandi maschi (Niemeyer, Gehry, Pei). Attenzione, però, è risaputo: mai parlare della differenza tra architetti uomini e architetti donna con Hadid. Si rischierebbe la rissa (per quanto principesca).
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