Roberto Perrone, Corriere della Sera 29/5/2010, 29 maggio 2010
LIBRI E ARTE MODERNA NELLA MIA DIMORA NON GIOCO IN DIFESA
in cima alle scale. Sottile, più di quello che appare da lontano, dalle tribune di uno stadio o attraverso le immagini televisive. Diverso. Perché qui nella sua casa, Jonathan Zebina può essere sia il calciatore, difensore genio e sregolatezza, nemico pubblico numero 1 dei tifosi della Juventus, ma anche il gallerista, l’uomo colto e raffinato che prepara un ottimo caffè per gli ospiti in un palazzotto in mezzo al verde in un quartiere esclusivo di Torino, tra giochi di bambini («il rumore non mi infastidisce e ogni tanto mi affaccio alla finestra, ma sto poco, perché fa un po’ pedofilo») e ovattato clima sabaudo. Jonathan Zebina abita questa bella casa, sistemata con l’aiuto dell’architetto Claudia Ferrero. Ci sono scultore e quadri di artisti africani fin dall’ingresso.
«La casa è il luogo dove si ferma il tempo, quando torno qui dev’essere tutto come dico io, dove dico io. Tutto quello che vede l’ho messo io in un modo preciso. La casa è sempre stata il mio desiderio più grande. Lo so, avere una bella casa è una necessità per tutti, ma per me è stato di più, la sintesi tra quello che amo e che voglio». Ma per un calciatore la casa è qualcosa di precario, come il mestiere che fa, un luogo di passaggio, c’è chi, addirittura, preferisce stabilirsi mesi e mesi in un albergo. «In effetti, questa è la prima e ultima casa in affitto dove mi sono impegnato come se fosse casa mia, perché ne avevo bisogno. Non sembra una casa affittata, infatti la gente entra emi dice: "Bella casa". "Sì, ma non è mia!" rispondo. Comunque quando torno c’è qualcosa che mi piace, che assomiglia a quello che voglio da una casa».
Siamo nello studio-sala-buen retiro, su un divano in pelle, bello, scheggiato dalla vita. « un Frau. L’ho scelto perché invecchia con te, dà il senso del vissuto e, un giorno, spero di vederci saltare dei bambini, proprio per dare un senso di continuità». Jonathan sa quello che vuole. Ha il suo gusto per gli oggetti. curioso, un colloquio con lui non è a senso unico. Andata e ritorno. Chiede, è documentato sul suo interlocutore. Gli piace il racconto, in fondo queste sculture africane, questi quadri sono proprio questo, un racconto. «La prima cosa di mio che ho messo qui sono le pareti bianche. C’era un color giallino torinese, una specie di crema... Mamma mia. Ho aggiunto i mobili piano, piano. Poi cd, dvd e i libri. Compro molti libri, l’ho sempre fatto. All’inizio non li leggevo, però continuavo ad acquistarli. Li sfogliavo, li rimettevo sugli scaffali. Poi ho cominciato a leggerli. Ho fatto bene ad avere fiducia in me stesso anche se ho avuto sempre difficoltà di concentrazione. come sul campo, se una cosa mi intriga, mi interessa, allora parto, ma se assomiglia a un dovere, mi fermo».
Siamo circondati da libri d’arte, design, libri di fotografie, regali, acquisti a Parigi e a New York. «Le due città dove ho più la sensazione di essere me stesso». Poggiati su grandi leggii, che si guardano, due enormi volumi di foto, uno di Helmut Newton «Sumo», l’altro, regalo di un amico, sull’epopea di Mohammed Ali. «Meraviglioso». «Mi piace classificare libri, quadri e tutti gli altri oggetti un po’ come sistemo l’armadio dei vestiti. Appena torno a casa mi rendo subito conto se qualcosa è stato spostato». un uomo a 360 gradi e c’è anche il calcio, tra le sue emozioni. « la passione meno ricercata e più naturale, ma il calcio giocato, non tutto il resto». Una passione ludica, divertimento. E le altre? «Passione per le arti visive, a partire dal cinema. In Francia ero abituato ad andare al cinema da solo, certi giorni di pioggia ci stavo tutto il giorno. Quando ho provato a farlo a Roma mi hanno preso per matto. La passione per l’arte è un fatto di crescita. come quando diventi adulto e comprendi che ti manca qualcosa. Così ho scoperto questa altra parte di me, una cosa che mi fa star bene». Il primo oggetto d’arte è stato un quadro di Armand. «Neanche importante». Adesso si interessa di arte africana, alle pareti ci sono due grandi quadri di Moke, un pittore di Kinshasa mentre sulla parete accanto si inseguono tanti piccoli quadretti di Frédéric Bruly Bouabré. « un artista ivoriano di 87 anni, straordinario». Sugli artisti africani ha organizzato una promozione in una sala d’aste di Bruxelles con l’aiuto di André Magnin. «Ma non sono un commerciante, capace di vendere tutto, preferisco avere un riscontro da chi mi sta davanti». Ogni punto di questa casa è un dettaglio. «Tutto fa parte di un equilibrio. Il tempo che passo a casa è di qualità». Gli piace applicarsi. «Sono permaloso, mi innervosisce farmi cogliere impreparato». Gli piace la cucina dove c’è un bel tavolo di legno e un frigorifero a due ante veramente emozionante (per chi ama il genere). «Quando cerco un oggetto scelgo in fretta. E poi oggi ti offrono tutto di qualità. Il design è esploso. Anche all’Ikea puoi costruire una cucina meravigliosa. Questo luogo è importante, conviviale. Per me, nella casa che costruirò, sarà il centro di tutto. Amo il buon vino, la buona tavola, ma sono pigro».
E la città? Torino gli piace, ma sta pensando di vivere a Milano, nel futuro. Anche se. «Anche se dal punto di vista architettonico non è quello che volevo. C’è poco verde, almeno per le mie aspettative. Ho sempre sognato una città che offrisse il meglio dell’attualità e un bel pezzo di verde. Ho scoperto Monaco di Baviera, che è un po’ come Torino, a misura d’uomo. Ma ora i miei punti di riferimento sono qua. Nella mia immaginazione c’era una città come Verona o Como, vicino al Lago. Non so, vediamo, credo molto nel destino».