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 2010  maggio 29 Sabato calendario

IL « CASO » UZBEKISTAN: QUANDO UN PAESE INMANO A UN CLAN

MOSCA’ Con l’apertura di un collegamento ferroviario che sarà finito l’anno prossimo, l’Uzbekistan si avvia a diventare il principale snodo per i rifornimenti della Nato in Afghanistan. La linea tra Termez e Mazari-e-Sharif scavalcherà il fiume Amu Darya (l’Oxus di Alessandro Magno) che separa i due paesi attraverso il ponte usato dall’ultimo contingente sovietico che lasciò l’Afghanistan nel 1989. E in futuro potrà servire anche a raggiungere altri stati dell’Asia Centrale e il Nord-ovest della Cina. La nuova centralità dell’Uzbekistan preoccupa però non poco l’Occidente perché si tratta di uno dei paesi che ha la peggiore fama al mondo per il rispetto dei diritti umani. E che ogni anno, a settembre, usa un milione di bambini per la raccolta del cotone in condizioni definite di «schiavitù» da parte di numerose organizzazioni internazionali. Il presidente «a vita» Islam Karimov, i clan che lo appoggiano, la sua famiglia e soprattutto la figlia maggiore Gulnara, sono accusati di usare il paese unicamente per arricchirsi. Gli organi di sicurezza dello Stato, impegnati in una lotta contro gruppi estremisti islamici (l’ultimo attentato nel 2009 ha fatto una ventina di morti), non hanno scrupoli.
«Gli operativniki usano la tortura come prassi», afferma Surat Ikramov, capo del Gruppo per la difesa dei diritti umani in Uzbekistan. E l’organizzazione Human Right Watch dice di considerare il governo «tra i più repressivi del mondo, assieme a Corea del Nord e Birmania». Gli arresti arbitrari e le uccisioni sono all’ordine del giorno, secondo il rapporto di Amnesty International diffuso giovedì scorso. La situazione nel paese è peggiorata dal 2005, quando centinaia di manifestanti (insorti legati ad Al Qaeda, secondo il governo) vennero uccisi dalla polizia. L’ex ambasciatore britannico Craig Murray che ha scritto il libro «Assassinio a Samarcanda» fece sottoporre ad autopsia i corpi di due oppositori morti. Si è scoperto che erano stati bolliti vivi. Tutto è sotto il controllo di Karimov e della bella Gulnara che è ambasciatrice in Spagna e all’Onu, vice ministro degli esteri e proprietaria della Zeromax, una corporation che, secondo i suoi detrattori, gestisce ogni cosa: dalla raccolta del cotone da parte dei bambini-schiavi al transito delle merci Nato dirette in Afghanistan. La famiglia è ricchissima, il patrimonio della Karimova avrebbe raggiunto almeno il mezzo miliardo di euro. Chi si mette sulla strada del presidente e dei suoi cari, rischia. L’ex marito di Gulnara si è visto chiudere lo stabilimento di imbottigliamento della Coca Cola in Uzbekistan; tre suoi parenti sono finiti in prigione e altri 24 sono stati espulsi, secondo la rivista Foreign Policy. Lui, per sua fortuna, ha passaporto americano.
Eppure i Karimov non sono quei paria internazionali che ci si aspetterebbe. Cantanti come Rod Steward, Julio Iglesias e perfino Sting hanno preso fior di quattrini per esibirsi in eventi organizzati dalla famiglia. L’ultimo a finire sotto tiro per i suoi rapporti con l’Uzbekistan è stato Joan Laporta, presidente del Barcellona (che ha come sponsor l’Unicef, l’agenzia dell’Onu che si occupa dei bambini). Secondo El País, ha accettato 5 milioni di euro per due partite con la squadra uzbeka di proprietà della Karimova. Poi c’è Monica Bellucci, che secondo l’edizione francese del settimanale Bakchich Hebdo, avrebbe intascato 200 mila euro per partecipare a una festa della seconda figlia di Karimov, Lola, ambasciatrice presso l’Unesco. Qualche vip, una volta conosciuta la realtà, fa marcia indietro, come Sting che ha definito «orripilante» la fama di Karimov per quanto riguarda i diritti umani. Ma bisogna stare attenti al pessimo carattere di padre e figlia: la musica della star britannica è adesso proibita sulla radio uzbeka.