Francesco Battistini, Corriere della Sera, 29/5/2010 + Pierluigi Battista, Corriere della Sera, 29/5/2010, 29 maggio 2010
«IL MADE IN ISRAEL RESTA SUI BANCONI DELLA COOP»
(riassunto) + un pezzo di PIERLUIGI BATTISTA -
Qualche giorno fa Coop e Conad avevano annunciato il ritiro dalla vendita dei prodotti israeliani che non indicano sull’etichetta la loro provenienza. La paternità della decisione è stata rivendicata da "Stop Agrexco", una rete di associazioni nata un anno fa per boicottare tutte le merci prodotte in Israele e coltivate nei territori occupati: secondo "Stop Agrexco" Israele sfrutta commercialmente terre non sue per cui i risultati di questo sfruttamento non devono essere premiati dai consumatori.
La scelta di Coop e Conad ha già generato molte polemiche. I due colossi della grande distribuzione hanno subito smentito la tesi del boicottaggio: su quei prodotti, hanno fatto sapere, non era precisato il luogo di provenienza.
In un comunicato Coop ha spegato che Agrexo, il gigante dell’export di pompelmi e arachidi, ha promesso che indicherà anche sull’etichette al dettaglio se un prodotto arriva dalle Colonie nei Territori palestinesi.
Dice Vincenzo Tassinari, presidente Coop Italia: «Capisco bene le questioni, ma il punto è che noi non usiamo due pesi. Abbiamo 7 milioni e mezzo di consumatori e molti ci chiedono garanzie di trasparenza. Noi le diamo anche sugli ogm. Perché non dovremmo darle su questo? E’ vietato? L’antisemitismo, il boicottaggio non c’entrano niente. Noi diamo le informazioni, il consumatore poi sceglie. Fossimo contro tutti i prodotti israeliani, appiccicheremmo il nostro marchio sulle arachidi, sui datteri, su cinque milioni d’euro d’importazioni? Non accetto nemmeno che ci vengano a chiedere "perché Israele no e la Cina, Cuba o l’Iran sì?» Noi abbiamo preso dei premi internazionali, ad esempio, per aver garantito che nei nostri prodotti non c’era sfruttamento minorile!».
Dopo l’accordo il made in Israel sarà tutto sui banconi, compreso quello delle colonie che altri Paesi europei, Francia, Gran Bretagna e Svezia per prime, vietano: la campagna internazionale di boicottaggio Disinvestimento e Sansioni (Bds) ha in questi stati, ma anche in Italia, moltissimi sostenitori.
---- QUANDO SOTTO L’ETICHETTA SI CELA IL BOICOTTAGGIO -
E invece la guerra Coop (e Nordiconad) contro i prodotti israeliani dell’Agrexco si è rivelata nel giro di poche ore per quello che era: un caso politico, una disputa che al boicottaggio ha sommato un’inedita minaccia di contro-boicottaggio. Altro che «tracciabilità». Ora, stipulato l’accordo (o la tregua), i prodotti ortofrutticoli tornano sui banconi della Coop. La quale Coop ha trovato stavolta in Internet, nei blog, nei social network, un ostacolo insormontabile per la sua strategia di minimizzazione. Dicevano che non era «boicottaggio», che era solo una questione di precisione e di lealtà di mercato, che i clienti dovevano sapere che dietro il «made in Israel» c’erano anche i prodotti raccolti e lavorati dal gigante agro-alimentare Agrexco nei Territori occupati che, come è noto, non sono ancora uno Stato palestinese, ma sicuramente non sono Stato di Israele. Però l’Agrexco ha ribattuto che quei prodotti coprivano solo lo 0,4 per cento del totale e che se c’era da adeguare l’etichetta ai canoni fissati dalle norme Ue, allora non avrebbero opposto alcun impedimento. E allora, c’era bisogno che la Coop stilasse un annuncio tanto impegnativo, nientemeno che la liberazione dei propri scaffali dai prodotti israeliani, alcuni di incerta origine? Non potevano rivolgersi direttamente all’Agrexco, come poi è stato fatto, ma solo dopo l’improvvido, e catastrofico, annuncio del boicottaggio? E poi, sicuri che non era proprio, esattamente «boicottaggio»?
I responsabili della Coop dicono di no, che non è mai stato boicottaggio. Ma poi si scopre che sul sito dell’ong «Stop Agrexco» ci si compiaceva nei giorni scorsi per «l’importante risultato della campagna di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni» (tutto con le maiuscole) «contro l’apartheid israeliano». Solo una «questione di etichetta» o quell’accenno all’ «apartheid israeliano» non denuncia forse un’intenzione politica un po’ meno, per così dire, tecnicistica? «Boicottaggio», ecco comparire, ripetutamente e ossessivamente dai suoi promotori, la parola proibita. Così come compare, sullo stesso sito, la sequenza di azioni dimostrative che in un paio di mesi hanno vigorosamente convinto la Coop ad adottare improvvisamente la decisione ora rientrata: manifestazioni ai supermercati Coop di Largo Agosta e di Via Laurentina a Roma; manifestazioni davanti alla Coop di Pisa, Coop Italia di Casalecchio di Reno, davanti alle Coop di Pesaro e Jesi tramite l’organizzazione «Campagna Palestina Solidarietà Marche», e così via. Molto spesso comparivano volantini in cui si deplorava «il governo israeliano che si è ripetutamente macchiato di crimini contro la guerra e l’umanità». Sempre compariva la parola proibita, «boicottaggio»: quella che la Coop ha sempre negato, quella che basta dare un’occhiata a un po’ di filmati presenti sull’ubiqua e onnipresente YouTube per scoprirne il marchio «Boycott!», con i militanti che indossano la stessa maglietta inneggiante alla «Palestina libera», le stesse scene degli scaffali con i prodotti israeliani presi di mira, lo stesso linguaggio molto aggressivo.
La strategia della minimizzazione, lo sradicamento della parola «boicottaggio» dal lessico della Coop, non hanno retto stavolta alle reazioni che hanno avuto soprattutto sui blog il loro canale di informazione: in modo «trasversale», sia sulla destra che sulla sinistra. Una sinistra che, in un’accorata lettera aperta firmata tra gli altri da Furio Colombo, Emanuele Fiano e Gianni Vernetti, si è interrogata stupefatta sulle ragioni che hanno indotto un’organizzazione «progressista» come la Coop ad assecondare la campagna anti-israeliana, sottovalutando l’impatto emotivo, e il risveglio di memorie orribili, dell’estromissione dei prodotti «ebraici» dagli scaffali di un negozio. Una destra che ha visto Fiamma Nirenstein tra i principali artefici del contro-boicottaggio e che tramite il ministro degli Esteri Frattini si è espressa con un aggettivo, «razzista», dal sapore inequivocabile. Su Facebook sono nati gruppi denominati «Coop boicotta i prodotti di Israele? Noi boicottiamo la Coop» e «Io non compro né alla Coop né alla Conad» che hanno raccolto miglia di adesioni. comparsa addirittura la tragica foto della sorridente italiana del 1938 che spensieratamente esibisce il cartello «Questo negozio è ariano» sulla vetrina della sua bottega. Si sono scritte lettere aperte a Luciana Littizzetto, testimonial della Coop. La reazione comunicativa della Coop non ha funzionato, a cominciare dalla rassicurante pagina di pubblicità acquistata sui giornali per allontanare dal marchio Coop il fantasma del «boicottaggio ». Oggi si sigla, obtorto collo, un accordo con l’Agrexco. E lo schieramento anti- boicottaggio si ritrova, bipartisan, per un’ultima manifestazione di protesta davanti a un supermercato Coop. Un clamoroso autogoal, nel migliore dei casi. Una ferita aperta con una parte dell’opinione pubblica che non si riconosce nella martellante campagna anti-israeliana