Stefano Folli, Il Sole-24 Ore 29/5/2010;, 29 maggio 2010
CON LA MANOVRA LA LEGA DI FRONTE AL «PARADOSSO FEDERALISTA» - M
esso alle strette dai tagli della manovra, che colpiscono anche una regione "virtuosa" come quella da lui governata, il presidente della Lombardia Formigoni ha detto una semplice verità. Una di quelle verità che tutti conoscono, ma quasi nessuno tra i politici osa ammettere. Intervistato da "Repubblica", Formigoni ha riconosciuto senza sforzo che attuare il federalismo fiscale costa parecchio, per cui la riforma diventa di fatto impossibile se le risorse economiche necessarie sono drenate verso le esigenze poste dall’Europa.
La franchezza di Formigoni può meravigliare solo chi preferisce tenere la testa sotto la sabbia. In effetti il federalismo fiscale, anzi il federalismo tout court, è ancora per la Lega, e ufficialmente per l’intero governo, una bandiera di guerra, la principale priorità della legislatura in corso. Ma i momenti di sconforto cui Bossi si abbandona di tanto in tanto (ad esempio in una recente intervista alla "Padania"), la dicono lunga sul vero stato d’animo del capo leghista. Il rigore dei conti imposto dalla crisi dell’euro è un passaggio obbligato, ma di sicuro modifica il cammino verso una riforma radicale qual è il federalismo.
La parola d’ordine ufficiale, dietro la quale tutti si allineano, recita: "il federalismo fiscale non costa un centesimo, anzi fa risparmiare". Eppure la realtà è un’altra e chi ha la responsabilità politica delle decisioni ne è consapevole. Le risorse indispensabili per attuare la riforma oggi non ci sono, fatti salvi alcuni aspetti meramente simbolici o di scarso impatto. Tuttavia proprio il rigore di Tremonti e la sua capacità di avere i conti sotto controllo, rappresentano l’unica speranza in grado di tener vivo il sogno federalista. Il patto implicito tra il leghismo e il ministro dell’Economia è proprio questo: pieno sostegno oggi alla politica economica in cambio della garanzia che la prospettiva della riforma viene salvaguardata e protetta. Come dire: ciò che non è possibile oggi, potrà esserlo in un futuro prossimo, se il bilancio statale non viene compromesso. Nel frattempo si ripete il "mantra" a vantaggio del popolo: "il federalismo non costa".
Si tratta, come è logico, di un patto impegnativo e ricco d’implicazioni. Sulla carta è ineccepibile. Che poi funzioni, è tutto da dimostrare. Intanto deve reggere l’urto della manovra. Non è un caso, ad esempio, che sia il presidente della Lombardia a squarciare il velo del "non detto". Quello che Formigoni vuol far capire è che proprio la "punizione" inflitta alle regioni più sane e produttive rischia di affossare la credibilità dell’ipotesi federalista. La cui idea ispiratrice prevede di premiare la virtù (la buona amministrazione) e punire il vizio (i cattivi gestori della cosa pubblica). E sulla "Stampa" un’analisi di Luca Ricolfi spiega con lucidità il paradosso in cui rischia d’incastrarsi il partito di Bossi. «Se i sacrifici richiesti a Lombardia ed Emilia Romagna, le due regioni più "formiche", dovessero - scrive lo studioso- essere eguali a quelli richiesti a Calabria e Sicilia, le due regioni più "cicale",allora dovremmo trarre un’amara conclusione: il federalismo è morto prima di cominciare. E a seppellirlo non sono stati i suoi nemici storici, bensì un governo di cui la Lega è una componente fondamentale».
Qui è la contraddizione che pesa sull’asse Tremonti-Bossi e di cui Berlusconi dovrà tener conto.