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 2010  maggio 29 Sabato calendario

[Riassunto + articolo] Il declassamento di Fitch alla Spagna - La Spagna perde una storica "tripla A": l’agenzia di rating Fitch ha ridotto venerdì (28 maggio) il rating ad AA+ con prospettiva stabile il merito dei titoli pubblici di Madrid a causa dell’aumento del debito, la scarsa flessibilità del mercato del lavoro e la modesta crescita economica

[Riassunto + articolo] Il declassamento di Fitch alla Spagna - La Spagna perde una storica "tripla A": l’agenzia di rating Fitch ha ridotto venerdì (28 maggio) il rating ad AA+ con prospettiva stabile il merito dei titoli pubblici di Madrid a causa dell’aumento del debito, la scarsa flessibilità del mercato del lavoro e la modesta crescita economica. Un mese fa era stata Standard & Poors a ridurre la nota, da AA+ a doppia A con outlook negativo. Mentre Moody’s continua a mantenere la tripla A. Proprio venerdì il governo di Zapatero aveva fissato a -7,7% il tetto di spesa della finanziaria 2011 rispetto a quello 2010 (il budget dei ministeri dovrebbe ridursi del 15%). La Spagna ha concordato con i partner europei di contenere il disavanzo pubblico al 3% entro il 2013 (11,2% nel 2009). FITCH DECLASSA LA SPAGNA - Un voto basta a Zapatero per rimanere in sella, ma non a convincere le agenzie di rating. Ieri Fitch ha tagliato la valutazione della Spagna da AAA a AA+, un declassamento che aveva già realizzato Standard & Poor’s e che non fa ancora cadere Madrid agli inferi dell’attacco speculativo, ma che certo non tranquillizza il paese. La bocciatura arriva infatti a poco più di 24 ore dall’approvazione sul filo di lana della nuova, dura, manovra aggiuntiva imposta dall’Europa alla Spagna per ridurre il deficit di un altro punto e mezzo in due anni. Giovedì mattina, per un voto e solo per uno solo, Zapatero riusciva a far ingoiare alla Spagna la sua ricetta lacrime e sangue, a far contenta l’Europa, che pretendeva tanta austerità, e a tranquillizzare i mercati. Ma solo per un momento, la decisione di ieri di Fitch puzza di bocciatura e preannuncia nuovi attacchi, altri tempi duri. «La riduzione – affermava Brian Coulton, responsabile per Fitch dei debiti sovrani in Europa – riflette il fatto che il processo di aggiustamento del settore privato e l’indebitamento esterno ridurranno la tassa di crescita dell’economia spagnola a medio termine». Ma non solo, la riduzione riflette anche la poca fiducia di cui gode il paese, il premier ed il suo esecutivo. Zapatero è un uomo praticamente morto, politicamente parlando, e la Spagna ha di fronte a sé mesi difficili, incerti, sia nelle piazze finanziarie che in quelle della protesta cittadina. La durissima manovra, presentata male dal governo, tra anticipazioni, smentite e successive conferme, è passata giovedì grazie alle astensioni dei catalani di CiU, dei canari di Cc, e dei navarri dell’Upn. Contrari i popolari, Izquierda unida, i baschi del Pnv – che fino ad ora avevano appoggiato tutte le finanziarie di Zapatero - e gli altri partiti nazionalistici. Inconvenienti di un governo di minoranza, ma non solo. Le idee sono poco chiare. E gli avversari non fanno sconti. Nel vicino Portogallo il socialista José Socrates non ha la maggioranza al Parlamento, ma ha già trovato l’intesa con il Psd, il maggior partito dell’opposizione. In Spagna Zapatero è invece rimasto solo, fuori e dentro il partito. «Il problema è lei – gli ha detto in aula Josep Duran, portavoce di CiU – la sua esperienza come presidente è finita. Faccia i compiti che le impongono da fuori e la riforma del lavoro e disfi ciò che di male ha fatto, che non è poco». E per finire i catalani moderati, astenutisi per ”spirito di patria”, chiedono delle elezioni anticipate per l’anno prossimo. Una scenario per nulla improbabile. «Zapatero non ascolta nessuno – confida una fonte molto vicina al presidente – sta facendo tutto da solo, ha contraddetto più volte la ministra all’economia Salgado. Sta gestendo male la crisi e la cosa sta creando molto malumore nel partito e lo espone agli attacchi dell’opposizione». La manovra è di quelle toste, in molti sensi. Oltre al valore in sé, un impegno addizionale di 15 miliardi di euro, 5 nel 2010 e 10 nel 2011, rappresenta molto di più: il più grande taglio allo stato sociale mai attuato in Spagna dal ritorno della democrazia. Decisa sforbiciata alle spese dei ministeri, ma soprattutto congelamento dei salari statali e delle pensioni e drastica riduzione del paro, i sussidi ai disoccupati. Assegni cruciali in un paese che viaggia intorno al 20% di forza lavoro a spasso. Già a gennaio il governo aveva varato misure per 5 miliardi di euro, a spese soprattutto del ministero allo sviluppo, ora arriva una nuova mazzata che colpisce direttamente i cittadini. La ministra dell’economia Elena Salgado, quanto mai debole, assicurava ieri che la manovra aggiuntiva ridurrà la crescita di mezzo punto ed aumenterà il numero di disoccupati di un ulteriore 0,4%. Dietro l’angolo si staglia un’altra grana: la riforma del mercato del lavoro, una misura reclamata da anni da Bruxelles per permettere alla Spagna di recuperare competitività, e ora digerita dallo stesso premier socialista dopo che per settimane ha negato di volerla affrontare. Per valutare il da farsi, Zapatero ha cancellato all’ultimo minuto un cruciale viaggio a Rio de Janeiro, in cui doveva incontrare Lula. Su questo punto si gioca la pace sociale. I sindacati stanno attendendo le prime indicazioni, poi sono pronti a lanciare uno sciopero generale. «I sindacati - spiega al Riformista José Ignacio Torreblanca, direttore della delegazione madrilegna dell’Ecfr, European Council on Foreign Relations - sanno che con Zapatero andrà comunque meglio che con Rajoy (leader del Partido popular, ndr), ma non sono disposti a fare regali. Il clima sociale potrebbe deteriorarsi molto nei prossimi mesi». Ad applaudire Madrid è rimasta solo Bruxelles. «Certo c’è preoccupazione per Zapatero, ma l’importante è che abbia approvato la manovra – afferma una fonte comunitaria – è un fatto molto positivo perché da credibilità alle finanze del paese. Zapatero può venire con i compiti fatti, per il momento». Appunto, per il momento. La voglia di far da solo, i continui battibecchi tra la vicepremier Maria Teresa Fernandez de la Vega ed Elena Salgado, le voci di rimpasto, le difficoltà a far approvare le misure di risanamento e la mina vagante della riforma del lavoro non lasciano presagire un radioso futuro per Zapatero. A suo favore solo un’opposizione, quella popolare, con un leader, Rajoy, senza alcun carisma, divisa da faide interne e corrosa dalle indagini di corruzione sul caso Gurtel, che coinvolge il potente presidente della Comunità Valenciana Francisco Camps. Ma le debolezze dei popolari sono eclissate dalle sue, il che non è poco. La favola di Zapatero è arrivata molto vicina al capolinea. Paolo Iorio, il Riformista 29/5/2010