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 2010  maggio 27 Giovedì calendario

ALTA TENSIONE TRA LE DUE COREE


La corvetta sudcoreana Cheonan, affondata il 26 marzo (46 morti), fu colpita da un missile sparato da un sottomarino nordcoreano: è il risultato dell’indagine internazionale condotta per quasi due mesi da Stati Uniti, Gran Bretagna, Svezia e Australia. Secondo gli inquirenti, «le prove sono schiaccianti» e «non esistono altre spiegazioni credibili»: dal relitto sono stati recuperati frammenti di un siluro uguale ad uno lanciato sette anni fa dal regime di Kim Jong-il. Le cose sarebbero andate così: un sottomarino nordcoreano della classe Sang-O, ”lo squalo”, avrebbe lasciato la base di Bipagot attorno al 21 marzo insieme ad altri quattro sommergibili, tutti agli ordini dell’’Ufficio di ricognizione”, l’agenzia che dirige le attività di infiltrazione e spionaggio. Aggirata l’isola di Baeknyeong, ”lo squalo” si sarebbe staccato per cercare la sua preda e poco prima dell’alba del 26 marzo avrebbe lanciato il siluro a guida acustica esploso sotto la chiglia della Cheonan. Secondo alcune voci l’attacco fu deciso dai militari per sabotare la visita in Cina di Kim Jong-il, per altre i militari agirono di intesa col dittatore per rafforzare la posizione del suo terzogenito e successore in pectore, Kim Jong-un.

Un accademico ed esperto di cose diplomatiche, Lee Chung-min, ha definito sul Wall Street Journal il caso della Cheonan e la morte dei suoi 46 marinai «l’11 settembre della Corea del Sud». Seul ha chiesto a Pyongyang di «punire i responsabili» dell’attacco e ha annunciato la fine degli scambi commerciali. In realtà la Corea del Sud può far poco per mettere sotto pressione i generali di Kim Jong-il: oltre al congelamento delle relazioni economiche fra i due Paesi, che nel 2009 valevano un miliardo 700 milioni di dollari, e al divieto di utilizzare in alcun modo le sue acque territoriali, Seul può portare la questione della Cheonan al Consiglio di sicurezza dell’Onu e, infine, riprendere la cosiddetta guerra psicologica, ovvero la propaganda diffusa con altoparlanti oltre il confine.

Respinta ufficialmente ogni responsabilità tirando in ballo un complotto straniero, a Pyongyang sono convinti che nessuno possa punirli, non per i pericoli di un conflitto, ma per il timore che un crollo del regime costringa i Paesi vicini a farsi carico di milioni di profughi. Il 25 maggio la Corea del Nord ha accusato il Sud di «decine di sconfinamenti» nelle acque territoriali, avvertendo che d’ora in poi saranno adottate «misure militari concrete». In contemporanea, Kim Jong-il ha stabilito lo stato di guerra: esercito e riservisti devono «tenersi pronti per un attacco», rapporti e collegamenti viari con il Sud «sono interrotti», «vietato lo spazio aereo e navale». Molte volte ci sono state minacce di guerra tra Nord e Sud Corea dalla fine del conflitto nella penisola, nel 1953, la speranza di tutto il mondo è che anche stavolta si tratti soltanto di un falso allarme.

La guerra di Corea scoppiò nel 1950: dalla fine della seconda guerra mondiale, col termine dell’occupazione giapponese, il Paese era stato diviso in un’area sotto l’influenza sovietica (il Nord) e in una sotto l’influenza degli Stati Uniti (il Sud). Separazione ufficiale nel 1948, due anni dopo il Nord invase il Sud dando il via a un conflitto che sarebbe durato tre anni. Da allora la Corea del Sud ha conosciuto un significativo sviluppo economico che l’ha portata ad essere uno dei Venti Grandi della terra; la Corea del Nord è stata vittima del suo stesso regime autarchico e repressivo: nella seconda metà degli anni Novanta una devastante carestia causò la morte di almeno 2,5 milioni di persone.

Nello scorso decennio, la Corea del Sud portò avanti la cosiddetta ”Sunshine Policy”, la ”politica del sole”, marchio coniato dal presidente progressista Kim Dae-jung per la sua strategia di dialogo e coinvolgimento nei confronti di Kim Jong-il. Per un po’ sembrò funzionare, ci fu un memorabile incontro tra i due a Pyongyang e al Kim di Seul arrivò anche il Nobel per la pace. Poi la situazione ha ripreso a peggiorare, fino ai test atomici, a quelli missilistici, alla corvetta affondata il 26 marzo.

Abrogato l’accordo di non aggressione, duemila sudcoreani stanno per essere espulsi dalla regione industriale di Kaesong. La mobilitazione militare del Nord ha gettato nel panico Seul, capitale del Sud che si trova a pochi chilometri dal confine (i venti milioni di abitanti possono quasi vedere i missili puntati contro la città): per la prima volta dalla fine della guerra la popolazione sudocoreana è tornata a fare scorte di generi di prima necessità. Gli stranieri sono stati invitati a lasciare il Paese. Tra i fattori che potrebbero precipitare la situazione ci sono le imminenti elezioni amministrative sudcoreane (2 giugno): mostrarsi remissivi verso Pyongyang fa perdere voti. Jae Ku, direttore dell’istituto Usa-Corea presso la John Hopkins university: «L’opinione pubblica della Corea del Sud non ha dimenticato le responsabilità del Nord nella bomba all’hotel di Rangoon nel 1983 e nell’attentato del 1987 a un aereo civile e pretende ora una risposta dura e intransigente».

Fino al 2012 sarà in vigore l’accordo risalente alla guerra per cui in caso di ostilità le truppe di Seul obbediscono a un comandante americano. Il presidente statunitense Barack Obama ha già mobilitato i 28.500 soldati americani di stanza in Corea del Sud («tenersi pronti per evitare un’aggressione» dalla Corea del Nord). La Casa Bianca ha annunciato che «in tempi rapidi» la U.S. Navy condurrà manovre congiunte con la marina sudcoreana per esercitarsi nelle «azioni di interdizione contro attacchi di sottomarini». Il pericolo è che, in un rigurgito di orgoglio, Kim Jong-il ordini un altro test nucleare.

Dopo il fallimento della riforma monetaria dello scorso dicembre, la Corea del Nord attraversa una nuova profonda crisi economica: l’intera classe imprenditoriale è stata azzerata, milioni di persone hanno perso i risparmi, gli scambi si sono fermati. Kim Jong-il è apparso in Cina dimagrito ed emaciato, probabili postumi di una trombosi che lo avrebbe colpito nel 2008. Nelle settimane scorse, senza spiegazioni, è stato annunciato il pensionamento di uno dei massimi generali di Pyongayng, guardiano militare del regime, mentre resta da chiarire il potere e il peso del ventenne Kim Jong-un, erede designato.

L’escalation di tensione tra le due Coree ha fornito agli Stati Uniti un vantaggio collaterale in Giappone: l’attacco del regime comunista di Pyongyang ha dato una spinta decisiva al governo e all’opinione pubblica nipponici per sbloccare l’antica contesa sul ridislocamento della base militare sull’isola di Okinawa: sotto il nuovo governo democratico guidato dal premier Yukio Hatoyama, pareva possibile l’avvio delle trattative per la chiusura della base, adesso viene rivalutato il ruolo stabilizzatore della presenza militare americana in Estremo Oriente.

Combattuta tra gli intensi rapporti con i vicini ricchi e ”rispettabili”, Giappone e Corea del Sud, e il ruolo di grande protettrice di Kim Jong-il, difficilmente la Cina approverà sanzioni Onu mirate a far implodere la Corea del Nord, consegnandola alla democrazia (il blocco degli scambi intercoreani vale il 13 per cento del Pil, se si aggiungesse la Cina si superebbe il 35 per cento, l’80 per cento del commercio estero). Quando la vicenda del siluramento arriverà al Consiglio di sicurezza dell’Onu è probabile che i cinesi metteranno il veto a una risoluzione anti-Pyongyang o, quantomeno, cercheranno di ammorbidirla.

Pericoloso per il suo attivismo bellico e le sue minacce nucleari, l’inaffidabile e intrattabile regime nordcoreano sarebbe altrettanto minaccioso da ”morto”: se la Corea del Nord crollasse si creerebbe un enorme problema economico e umanitario con la necessità di riportare alla normalità una popolazione di 23 milioni di persone isolate dal mondo da oltre mezzo secolo. Secondo i servizi segreti giapponesi il siluro sparato dalla Corea del Nord è di fabbricazione cinese e la crisi sarebbe stata innescata nel tentativo di puntellare il regime di Kim scongiurando «una deriva democratica» nella penisola: il crollo di Pyongyang porterebbe quasi certamente alla nascita di una Corea unita, democratica e alleata con l’Occidente, ipotesi sgradita a Pechino.

Prima di farsi prendere dal pessimismo, è bene tenere a mente che da anni la Corea del Nord alterna atti ostili ad aperture e concessioni. Gli ammorbidimenti a volte coincidono con i picchi della crisi alimentare: la concessione di aiuti energetici e di cibo ha suggerito a Pyongyang un cocktail di minacce e accenni di disgelo. Gli interlocutori ormai ne tengono conto e i negoziatori sono in grado di anticipare le diverse fasi innescate dal regime: a ogni mossa nordcoreana corrisponde spesso un sommovimento interno alle alte sfere, una dimostrazione di forza, una concessione a una fazione. «un teatro opaco nel quale pochissimi sanno muoversi e al cui confronto la cremlinologia sovietica d’antan pare una scienza esatta» (Marco Del Corona).