Federico Ferrazza, L’espresso 3/6/2010, 3 giugno 2010
GENERAZIONE I-KIDS - BAMBINI DIGITALI
(pezzo, scheda e intervista) -
Se avete un figlio di due anni e un cellulare o un computer touchscreen, provate a fare questo esperimento. Date al bimbo (o alla bimba) il vostro apparecchio. E nessuna istruzione. Probabilmente succederà qualcosa di simile a quanto accaduto all’imprenditore californiano Todd Lappin, il cui video ha fatto il giro del mondo in pochissimi giorni (è stato caricato all’inizio di aprile) e oggi è uno dei contenuti più cliccati di YouTube con un milione di visite. Nel filmato di oltre cinque minuti si vede la figlia, due anni e mezzo, alle prese con un iPad, il nuovo giocattolo tecnologico del papà.
Quello che stupisce non è tanto che la piccola sia attratta dalla "tavoletta" digitale della Apple che, piena di colori, cattura la sua attenzione, ma l’assoluta naturalezza con cui la usa. Ad appena 30 mesi, la bimba dimostra che il gadget del padre potrebbe essere un suo giocattolo: grazie all’interfaccia multi-touch infatti, la figlia di Todd salta da un’applicazione all’altra con grande facilità, scorrendo le foto presenti sull’iPad, scrivendo, spostando dei contenuti sulla scrivania del dispositivo. Perfino facendo partire dei video.
Gli schermi sensibili al tocco sono perfetti per i polpastrelli dei più piccoli, lo dicono ormai molte ricerche internazionali. Una delle ultime è stata condotta al dipartimento di Computer Science dell’Università dell’Iowa (Stati Uniti) e mostra come questa interfaccia sia più vicina alle abilità dei piccoli (in età prescolare, sotto i sei anni) perché presuppone un rapporto naturale con il dispositivo: insomma, non è rigida come mouse o tastiere e non richiede una grande precisione nei movimenti. Non solo: anche quando si sbaglia, il dispositivo comunque "reagisce", cambiando contenuto sul display e stimolando quindi la curiosità del bambino, che è invogliato a continuare a usarlo. Così, in poco tempo, i più piccoli (al contrario dei genitori ingessati dal libretto delle istruzioni e da anni di tastiere e pulsanti) sviluppano enorme familiarità con il device. E anche se non sempre sanno quello che stanno facendo, imparano a conoscerlo da soli; mentre di fronte a un telefonino o un computer tradizionale si innervosiscono parecchio: lo schermo non si comporta come loro vorrebbero.
L’esperienza di Todd non è isolata. I "digital babies" sono una realtà diffusa, con la quale cominciare a fare i conti. Non soltanto perché l’iPad o l’iPhone hanno una interfaccia multi-touch: solo nella parte italiana dell’App Store - il negozio on line dove si possono acquistare applicazioni per i due dispositivi della Apple - ci sono ben 45 "app" dedicate ai bambini. Che tra un fumetto, un videogioco, un esercizio e un pianoforte digitale non solo imparano a usare il gadget, ma apprendono anche certe nozioni che prima erano possibili solo con carta e penna. Nel video che ritrae la bimba dell’imprenditore californiano, infatti, per qualche minuto la piccola si ritrova alle prese con "FirstWords", app in inglese per imparare parole nuove.
La Apple non è certo l’unica azienda ad aver investito sulla familiarità dei bambini con le interfacce touch. Diverse multinazionali hi-tech stanno percorrendo la stessa strada, e con cognizione di causa: secondo uno studio degli analisti della Gartner, infatti, nel 2015 un computer su due tra quelli acquistati per under 15 sarà touch (oggi lo è uno su 50), tasso di adozione che supererà perfino quello del mercato business. "Il motivo? Semplice, col touch inserire i dati in un dispositivo elettronico è molto facile", spiega Leslie Fiering, research vice president di Gartner. E secondo Lee Rainie, direttore del progetto "Internet and American Life" del think tank Usa Pew Research Center, "la velocità di sviluppo di nuove interfacce sta addirittura creando una spaccatura nella generazione dei "nativi digitali", i ragazzi nati nell’era di Internet e cellulare: quelli in età scolare stentano a comprendere la naturalezza con cui i fratelli minori "giocano" con computer e telefonino. Bastano 3-4 anni di differenza perché i comportamenti siano diversi".
Per sfruttare le nuove attitudini dei "digital babies", la scuola si sta riorganizzando. All’estero sono già molti i casi in cui i dispositivi touch vengono introdotti nella didattica fin dai primi anni delle elementari. Uno dei progetti più interessanti è della statunitense Innovations for Learning. Prima in alcune scuole dell’Illinois e ora in tutto il mondo, sta esportando il suo "TeacherMate". Sembra una console portatile per videogiochi, in realtà è un minicomputer (costa 100 dollari) in grado, per esempio, di aiutare i bambini delle elementari a imparare a leggere e a fare esercizi di matematica. L’idea del numero uno della Innovations for Learning, Seth Weinberger, è quella non solo di offrire uno strumento in più ai bambini del suo paese e di quelli industrializzati, ma anche - attraverso accordi con governi e Ong - di permettere ai ragazzi dei paesi in via di sviluppo di emanciparsi culturalmente grazie all’uso delle tecnologie digitali.
A questo stesso traguardo punta anche il famoso progetto One Laptop for Child di Nicholas Negroponte, guru del Massachusetts Institute of Technology di Boston, che vuol dare un computer a ogni bambino che vive in un paese in via di sviluppo (soprattutto Africa e America Latina). Anche grazie a partnership con paesi occidentali, Italia compresa: la Provincia di Brescia, per esempio, ha acquistato circa 700 XO (così si chiama il computer per bambini di Negroponte, la cui prossima versione avrà ovviamente lo schermo touch), metà dei quali è finito in Lombardia, il resto - come previsto dal contratto - è stato donato ad alcune scuole etiopi.
L’amministrazione ha così fatto partire un progetto per inserire il computer nella didattica di sei scuole primarie. "XO rimane ai bambini tutto l’anno scolastico e quando tornano a casa non lo lasciano in classe", spiega Giulio Spagnoli che insieme alla maestra Carla Clerici ha coordinato il progetto per la Provincia di Brescia: "La cura del computer è quindi affidata all’alunno. Una volta a scuola, poi, viene acceso per circa un’ora e mezza al giorno". Tempo in cui i bambini lo usano per scrivere, disegnare, fotografare (XO ha anche una fotocamera digitale), navigare su Internet, collaborare e condividere un lavoro, visto che i computer possono "parlarsi" senza fili.
"Non abbiamo ancora gli strumenti per capire quanti benefici questo porti all’apprendimento, ma certo cambia la dinamica della lezione", prosegue Spagnoli: "Non è più "frontale", con una maestra che parla a tutti i bambini. Con il moltiplicarsi delle attività si frammentano i centri di attenzione e gli alunni sono più portati a collaborare e ad aiutarsi. Il paradosso, infatti, è che il computer provoca dei disagi, per esempio tecnici, ma i bambini risolvono da soli i problemi. Con due grandi risultati: sono più autonomi e c’è una maggiore integrazione". In Italia il caso di Brescia non è, fortunatamente, l’unico di scuola digitale. Altre esperienze sfruttano proprio le interfacce touch. Succede all’Istituto Comprensivo Aristide Leonori di Acilia (Roma), che da quest’anno ha un’intera classe informatizzata - un computer per ogni alunno - e in tutte le aule delle secondarie di primo e secondo grado (l’anno prossimo anche le primarie) ha le "Lim", lavagne interattive multimediali su cui si proiettano contenuti digitali (testo, immagini, video, grafici) con i quali interagire grazie al tocco di un polpastrello. "L’uso dell’informatica a scuola", spiega Massimo La Rocca, dirigente scolastico del Leonori, "prima di tutto impatta su motivazione e livello di attenzione degli studenti, in più avvicina l’ambiente scolastico al loro mondo. Multimedialità e interattività rendono possibili nuove strategie didattiche, più familiari ai nativi digitali. I ragazzi, in particolare i bambini delle elementari, possono così ricevere stimoli visivi e auditivi per rendere meno astratti concetti altrimenti difficili da comprendere".
"Con le Lim", concorda Paolo Ferri, docente di tecnologie didattiche all’Università Bicocca di Milano, "la didattica diventa più attiva. Gli studenti sono chiamati a intervenire di più durante la lezione, e lo fanno con piacere visto che vengono coinvolti con tecnologie che usano anche fuori dalla scuola per divertirsi e comunicare con i coetanei. Non solo: con una Lim o un computer connesso a Internet la scuola apre una finestra sul mondo che prima non aveva".
Secondo una ricerca del Becta, l’agenzia del governo britannico che si occupa della diffusione delle nuove tecnologie nella scuola, con queste tecno-lavagne migliorano anche apprendimento delle lingue e delle scienze. "Probabilmente c’entra la maggiore motivazione e socializzazione", è opinione di Ferri. "L’insegnante può personalizzare la lezione e inserire elementi originali propri", aggiunge La Rocca: "In più, ci sono software che memorizzano e salvano ciò che viene scritto sulla lavagna, così gli allievi possono salvare un esercizio su una chiavetta Usb e rivederlo a casa. In commercio ci sono già i Lim-book (DeAgostini o Fabbri, solo per citare un paio di editori), ovvero libri di testo che prevedono una interazione con la Lim".
Insomma: i bambini sono pronti, le tecnologie ci sono e le scuole in tutto il mondo cominciano a dimostrarsi interessate. Basta per far sì che la didattica sposi un nuovo modo di apprendere, fatto di dispositivi digitali (e touch) e collaborazione tra gli alunni? Per Domenico Parisi, dell’Istituto di scienze e tecnologie cognitive di Roma del Cnr, la strada è ancora lunga, soprattutto per quanto riguarda gli insegnanti: "In moltissimi casi usano i computer in classe seguendo uno schema classico di trasmissione del sapere, mentre bisogna eliminare tutti i vincoli, anche quello del passaggio delle informazioni dall’alto verso il basso. I ragazzi devono poter imparare interagendo tra loro. Ricordiamoci che i bambini, dopo i sette anni, tendono a rifiutare tutto ciò che proviene da un adulto: pensano che non possa insegnare loro niente, o nel migliore dei casi solo cose vecchie. Oggi gli insegnanti devono avere un ruolo diverso, perché per i ragazzi ha più importanza ciò che possono imparare gli uni dagli altri. C’è da investire in nuovi modi di trasmettere contenuti, non solo negli strumenti: nel bene e nel male, oggi nella loro vita ci sono più oggetti tecnologici che libri, e il linguaggio verbale perde importanza. La conoscenza deve passare per input visivi, non solo verbali". Proprio come succede con l’iPad di baby Lappin.
ha collaborato Tiziana Moriconi
****************
In Italia, ma soprattutto all’estero, sono diverse le tecnologie (tra computer, app per telefonini, Internet e così via) che ormai entrano nella vita dei bambini in età scolare o anche inferiore. Eccone alcune
DISPOSITIVI
TeacherMate stato definito
"la soluzione meno costosa al mondo per dare un computer
a ogni studente". Prodotto dalla statunitense Innovations for Learning, costa 100 dollari ed è un dispositivo simile nella forma a una console portatile per videogiochi. In realtà si tratta di un minicomputer in grado di aiutare i bambini delle elementari a imparare a leggere
o apprendere nozioni matematiche. Presente in molte scuole Usa e
in alcuni paesi in via di sviluppo.
Intel Classmate PC un
computer portatile pensato per la scuola, soprattutto in paesi in via di sviluppo: il Venezuela ne ha acquistati un milione per le sue classi. Ha un sistema operativo Microsoft che ha sviluppato
i programmi per l’apprendimento e per svolgere compiti e ricerche. Wi-Fi, permette di creare in classe una rete di computer connessi tra loro.
XO Nato dalla mente di Nicholas Negroponte (fondatore del MediaLab del Mit di Boston), è un portatile con sistema operativo open source pensato per essere usato da bambini delle elementari. Ha una webcam, un "diario" per vedere le ultime applicazioni usate e diversi software (per disegnare, suonare, scrivere e contare) che consentono di imparare divertendosi.
Si collega a Internet senza fili.
Young Explorer la postazione multimediale protagonista
del programma internazionale
KidSmart di Ibm. Pensata per gli asili, contiene un computer inserito in un contenitore plastico dai colori vivaci e dalle forme arrotondate. Un seggiolino bi-posto permette poi ai piccoli di sedersi in coppia davanti al computer e di utilizzarlo insieme, condividendo giochi e scoperte.
In Italia il progetto KidSmart coinvolge circa 300 istituti.
APP PER IPHONE
MiniPiano Scaricate gratuitamente questa app e mettete in orizzontale l’iPhone: un bimbo di un anno e mezzo può passare vari minuti con questo piano digitale da 14 suoni.
FirstWords Serie di applicazioni per bambini in età prescolare. Ne esistono diverse versioni (costano tutte 1,59 euro, solo in inglese), e permettono di imparare parole . Ogni app si riferisce a un ambito particolare: auto, oggetti, animali.
KidCalc Math Fun Ideato per bambini tra i 2 e gli 8 anni, questa applicazione fornisce in maniera divertente e interattiva tutte le informazioni base della matematica e per imparare a contare. Gli esercizi sono ricchi di oggetti colorati e immagini che catturano l’interesse dei piccoli. 0,79 euro.
Clifford’s Be Big With Words Disponibile solo nello store americano (ma anche per iPad) quest’app (0,99 dollari) insegna la pronuncia delle parole ai bambini, arricchendo il loro vocabolario attraverso l’uso di fumetti.
SITI WEB
BabyTraining Un ambiente virtuale on line per bambini tra i 2 e i 6 anni. Appena si arriva sul sito (babytraining.it) appare la camera di un bambino. Cliccando su uno degli oggetti si apre un’app o un gioco che permette al bimbo di colorare, conoscere i numeri o imparare a costruire delle figure attraverso dei puzzle.
Pianeta Kids un portale (pianetakids.it) in lingua italiana dedicato al mondo dei bambini con indicazioni anche per genitori e insegnanti. Nella sezione per i più piccoli diversi giochi per colorare figure in bianco e nero, imparare a contare o conoscere nuove parole. Si possono stampare anche dei disegni da ritagliare e incollare.
Sesamestreet.org uno
dei migliori siti al mondo per l’apprendimento dedicato ai bambini sotto i sei anni. Gratuito, cattura l’attenzione con videogame come Alphabet Soup o Read Face, che possono essere giocati senza installare alcun software: basta una connessione a Internet.
Discovery Education Science Su discoveryeducation.com la Discovery Communications (di Discovery Channel) mette a disposizione una serie di strumenti multimediali e interattivi per imparare nozioni di scienza. Si può interagire, per esempio, con un mitocondrio di una cellula. Abbonarsi al servizio costa
a ogni scuola 1.700 dollari.
Dreambox Learning Math Serie
di giochi per imparare al
computer la matematica. L’offerta prevede non solo "lezioni"
ma anche esercizi. adottato da diverse scuole americane.
La versione per le scuole costa 30 dollari per studente ogni anno, quella per usarlo a casa 13. L’indirizzo per una prova gratuita
è dreambox.com.
*****************
LA RIVOLUZIONE SI DEVE FARE A SCUOLA
colloquio con Francesco Antinucci di Daniela Minerva
Francesco Antinucci è direttore della sezione Processi Cognitivi
e Nuove Tecnologie del Cnr. Sono trent’anni che studia come apprendono i bambini e da quando è tornato da Palo Alto, negli anni Novanta, si concentra sulla rivoluzione multimediale:
i cosiddetti "nativi digitali", insomma, sono il suo pane quotidiano. Gli abbiamo chiesto allora di spiegarci il gap tecnologico, la distanza che c’è tra i ragazzini hi-tech
e gli insegnanti alla lavagna. E se questo gap è destinato a diventare un abisso quando i "baby-touch" arriveranno sui banchi.
Come pensano i baby touch?
"Non in maniera tanto diversa
da come apprendono i loro fratelli maggiori, i nativi digitali: facendo esperienza, lavorando con
le cose. Per capire meglio, pensiamo a quando prendiamo in mano una nuova fotocamera, ad esempio. Pochi vanno a leggere il manuale riga per riga. La maggior parte di noi comincia a usarla, poi sbaglia e si corregge, finché non ha imparato a fare delle belle fotografie. Se non facessimo esperienza diretta della nostra fotocamera potremmo solo sentirne parlare, apprenderemmo con dei manuali descrittivi. Gli esseri umani imparano in questi due modi: ma prediligono di gran lunga quello esperienziale. E i computer permettono di insegnare tutto in questo modo, e i nativi digitali affrontano il mondo in questo modo".
Ma i touch screen hanno cambiato ancora il mondo dei bambini?
"Sì, perché un conto è interagire attraverso una tastiera o un joystick: in questo caso, la mia azione è mediata attraverso un dispositivo che a sua volta produce un effetto. Invece quando metto il polpastrello
su uno schermo touch, l’azione della mia mano è diretta, produce un risultato immediato".
Insomma, lei dice che i ragazzi e ancor più i bambini apprendono mettendo mano alle cose. Gli insegnanti sono pronti?
"Assolutamente no. Loro concepiscono l’apprendimento come simbolico, fatto di cose dichiarative da imparare e saper ripetere. Invece l’apprendimento esperienziale porta al saper fare, a conoscere le cose ma non necessariamente al saper dire come si è arrivati a farle".
La scuola insegna un sapere codificato. Ed è la conoscenza di quei codici che noi chiamiamo sapere.
"La cultura che ha prodotto il modo in cui oggi studiamo non è eterna, è collocata storicamente ed è anch’essa figlia di una tecnologia, la stampa. Prima non c’era questo tipo di scuola, si apprendeva andando a bottega, quindi facendo esperienza. Bisogna stare attenti a non confondere la scienza e la conoscenza con la lettura e la scrittura. Scienza e conoscenza dipendono dal pensiero, dalla modalità con cui ci rapportiamo alle cose. E a questo la scuola
non è affatto preparata".
Ci sono però esperienze. Come quella che avete fatto a Trento.
"Sì, ci sono sperimentazioni che dimostrano senza ombra di dubbio che questa è la direzione in cui andare. Ma queste esperienze non si generalizzano: l’autorità scolastica dovrebbe riconoscere che, visto che
è cambiato tutto, si deve cambiare sostanzialmente la didattica.
Invece oggi le nuove tecnologie entrano in classe come sostituzione dell’esistente: si usano il computer e la lavagna elettronica per leggerci sopra e riprodurre le stesse cose che sono su carta. E questo non ha senso, ma finché non si spezza il triangolo infernale - manuale, apprendimento di un codice e ripetizione di esso -
non c’è spazio per la tecnologia nella scuola. Così come non può cambiare nulla se gli insegnanti non accettano di rinunciare all’ex cathedra e di essere, di fatto, dei facilitatori che guidano il ragazzo nelle esperienze".
Altrimenti?
"I ragazzi vivono fuori dalla scuola, e faranno le loro conoscenze, cresceranno fuori. Così le altre fonti, veicolate da Internet, scavalcheranno la scuola mettendo a disposizione conoscenze e materiali adatti agli studenti, e purtroppo molte di queste fonti lo faranno male. Il risultato
è che ci saranno grandi differenze tra chi si sa muovere, ha gli strumenti
per farlo ed è in grado di discernere
e chi, invece, sarà soggetto passivo".
E la scuola?
"Non dico che sparirà, ma finirà col perdere il ruolo che ha occupato in questi 200 anni. Diventerà sempre più irrilevante. Perché tutto l’universo dei bambini e dei ragazzi le sarà sempre più estraneo e loro la sentiranno sempre più estranea, costruendosi sapere e identità fuori di essa".