Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  giugno 03 Giovedì calendario

MI DISPIACE PER GLI INVIDIOSI, MA IL VERO INVENTORE DEL CALCIO PARLATO SONO IO. E PAZIENZA SE OGNI TANTO PARLO UN ITALIANO TUTTU DA RIDIRE


Anche questo le hanno detto: Aldo Biscardi, l’unico giornalista al mondo che, per scrivere la sua autobiografia, si è fatto aiutare da un calciatore.
«Dicano, dicano. E facciano loro l’unico libro-intervista mai uscito con Giovanni Paolo II, se
ne sono capaci. Io l’ho scritto. Uno scoop epocale, andò sulle prime pagine di 52 giornali di tutto il mondo».
Biscardi, l’unico al mondo che si fa lo shampoo col Crodino.
«Eh?»
Lo shampoo col Crodino...
«Questa mi piace, l’ho riportata nel libro».
O quest’altra: Biscardi è stato gentile e onesto, molto più di tanti colleghi che lo lodano digrignando i denti. Ricorda di chi fu la frase?
«Del mio grandissimo amico Gianni Brera. Il più grande giornalista sportivo di tutti i tempi.
Un maestro insuperabile».
Non cominci coi superlativi.
«Brera era il superlativo in persona».
Lei gli deve molto.
«Veniva al mio Processo del lunedì e devo ammettere che molti colleghi evitavano di picchiare duro su di me perché temevano la sua scimitarra».
Aldo Grasso non si lasciò intimidire.
«Scrisse che Brera veniva in televisione al mio fianco dal momento che eravamo due urlatori. Durante la puntata serale chiesi a Gianni: hai letto cos’ha scritto Grasso stamattina?».
Una domanda da provocatore incallito.
«Rispose: ”Io conosco soltanto un Aldo Grasso e fa il gelataio a Catania’. Ma che dici?, feci io di rimando, stiamo parlando del grande Aldo Grasso, il critico televisivo del Corriere...».
E lui?
«Secco: ”Quello lì è un pirla!”».
A dirlo fu Brera, naturalmente, non lei.
«Certo».
Lei condivide?
«Grasso è una persona intelligente e spiritosa. Il giorno dopo ci scherzò sopra».
Ma condivide?
«Che c’entra? Ho raccontato un episodio».
Peggio di Biscardi non c’è niente, scrisse Grasso. Cito: «Da quando esiste il "Processo del lunedì" il mondo del calcioo è peggiorato, è aumentata la violenza negli stadi, c’è una caduta ineluttabile dei valori simbolici, la voragine tra calcioo metropolitano e calcio provinciale cresce a dismisura, la chiacchiera soffoca ormai gli scampoli di gioco».
«In seguito si corresse, cito anch’io: ”Primo, Biscardi è il più importante giornalista sportivo italiano del dopoguerra, la categoria dovrebbe fargli un monumento, ha consentito a molti colleghi un secondo o terzo lavoro, ha regalato loro pensioni dorate... Secondo, il Processo è lo specchio più sincero del calcio italiano. Parola di sconfitto: non potendolo eliminare fisicamente, devo dare ragione a Biscardi. Riconosco che è l’inventore del calcio parlato. E pazienza se a spese della sintassi”».
Fatto sta die il suo «Processo» adesso non c’è più.
«Che sta dicendo?».
Che non c’è più.
«Il mio Processo, su ltalia7Gold, ha portato quella televisione a uno share altissimo, facendola diventare l’ottava tv italiana per importanza. La mia trasmissione è al 30° anno di vita, un record mondiale. Le ricordo soltanto che il grande Maurizio Costanze è arrivato a 25 e il grande David Letterman è fermo a 24».
Però non fa più opinione. come se non ci fosse.
«Non dica sciocchezze».
Andrà ai Mondiali?
«Certo. Per Dahlia tv, digitale terrestre, partecipata dalla Telecom, 25 puntate alle ore 23 a partire dall’11 giugno. Probabilmente in collegamento con La7. Si chiamerà Fratelli d’iDahlia».
Fratelli d’iDahlia, l’iDahlia s’è desda?
«Quella. Con Massimo Caputi e Giuseppe Giannini collegati dal Sud Africa con lo studio di Roma, dove starò io con gli ospiti».
Non vorrei essere nei panni del povero Marcelle Lippi.
«Neanch’io».
Già si pregusta il massacro.
«Lippi non ha capito niente».
Avrà fatto quello che pensava giusto fare.
«Non si fa il direttore tecnico della grande Nazionale di calcio italiana andando contro l’opinione pubblica e mettendosi contro il popolo italiano».
Addirittura.
«Non è ammissibile andare senza Antonio Cassano. Aveva pure chiesto scusa, messo la testa a posto, è un fuoriclasse, la gente lo ama, lo vuole, ma lui? Niente».
Penserà di vincere più agevolmente senza Cassano.
«Ma allora deve vincere. Deve vincere senza Mario Balotelli, con la gente che voleva anche lui, senza Alex Del Piero, e non ne parliamo, senza Francesco Totti, senza un accidente di fuoriclasse e con otto tipi della Juve che hanno fatto ridere i polli per tutto il campionato. Questa non è la grande Nazionale italiana».
E di chi è?
« la Nazionale di Lippi. Se vince, vince Lippi. Se perde, perde lui, non noi».
Un momento, se vince vinciamo tutti.
«No, siamo tutti contenti, che è un’altra cosa».
Almeno lei in compenso avrà perso.
«Per modo di dire. La differenza è questa, che se lui perde, perde da solo».
E cosa facciamo? Lo mandiamo m esilio?
«Mica dall’Italia, ci mancherebbe altro, dal calcio però non è impossibile».
Tornerebbe alla 7?
«Non ci penso».
Sarebbe una bella rivincita.
«Perché una rivincita?»
Non la mandarono via per i fatti di Calciopoli?
«Quando mai? Me ne andai io a fine contratto. Con Marco Tronchetti Provera eravamo amici, ci davamo del tu. Era Antonio Campo Dall’Orto, semmai, che non vedeva di buon occhio il Processo. Troppo popolare, troppo poco fru-fru per i suoi gusti. E poi a Gold Tv ho fatto le puntate più belle di sempre. Grandissimi ospiti, Capezzone, Taormina...».
E intanto Luciano Moggi passava per il capo del «Processo».
«S’era messo in testa di essere un critico televisivo. Io che ci potevo fare? Gli chiedevo soltanto giocatori e me ne mandava uno all’anno, massimo due. Calciopoli la feci esplodere io, con una puntata contro la Juve. La triade, Moggi, Roberto Bottega e Antonio Giraudo, reagì con un comunicato che invitava a non guardare più il Processo. Tutti se ne sono scordati».
L’orologio in regalo...
«E basta, con ’sto orologio. Venne intercettata una telefonata. Scherzavo: ”’Sto orologio, ’sto
orologio, mi parli sempre di ’sto orologio e non me lo regali mai?”. Tutto qui, con Calciopoli
non c’entro un accidente».
Perché non ha querelato nessuno?
«Non è nella mia natura».
Gli arbitri hanno querelato lei. Assolto perché disse: «Lo sanno tutti che le cose che diciamo sono poco credibili».
«Hanno capito che il mio era un processo soltanto di nome».
Lo sente ancora Moggi?
«Sarà capitato un paio di volte».
Il barista del calcio e il principe del male. Allontanati Moggi e Biscardi, il calcio italiano
è ridiventato limpido come l’acqua di fonte.
«Sì, gliela raccomando, l’acqua di fonte. II calcio esisteva anche prima di Moggi. Nessuno ricorda Italo Allodi, che faceva esattamente le stesse cose 30 e più anni fa, vale a dire quelle che hanno fatto tutti i presidenti da che il calcio è calcio. Con una differenza».
Quale?
«Che c’erano quelli più bravi e quelli meno bravi, quelli che conoscevano il pallone e quelli che non ne sapevano un tubo, quelli in grado di scegliere i calciatori e quelli che se gli mettevi in squadra un torero era lo stesso, quelli che sapevano organizzare una squadra e quelli che nemmeno un compleanno».
Mentre agli arbitri telefonavano tutti.
«Chi più, chi meno, credo tutti».
Per cui la cupola secondo Biscardi non esiste.
«No che non esiste. Le famose 75 intercettazioni inedite acquisite dai giudici di Napoli lo dimostrano. Il vizietto di telefonare ai designatori degli arbitri e di provare a pilotare qualche fischio è diffuso e trasversale. Possono mettere nuove regole, anzi dovrebbero. Però fino a oggi è andata così».
Lei si aspettava che sarebbero uscite anche le telefonate di Giacinto Facchetti?
«Certo che sì. Non sono affatto sorpreso».
Sta parlando male di un monumento del calcio? Dell’uomo universalmente stimato?
«Per niente. Facchetti faceva semplicemente il suo lavoro e non compiva alcun misfatto. Ho
ben altri ricordi di lui».
Racconti.
«A Parigi, in albergo con la Nazionale. Si avvicina una signora molto avvenente, Diana Barness, della Bbc, e mi chiede di presentarle ”il bel ragazzo”. Il bel ragazzo? domandai. ”Sì, Facchetti”. Lo chiamai, lui le porse la mano freddamente e fuggì a gambe levate. Enrico Albertosi era meno timido, le tenne buona compagnia».
 curioso che a lanciare col «Processo del lunedì» l’uomo più sgrammaticato, più provocatore e più rissaiolo della tv italiana sia stato un intellettuale raffinato e fondatore del Gruppo 63 come Angelo Guglielmi.
«Grande direttore di Raitre. Se è per questo, è curioso anche che sia stato io a promuovere Michele Santolo e a insistere perché gli affidassero Samarcanda».
Lo dica piano, rischia pomodorate dalle due sponde.
«Era bravo, svelto».
1957, lei non aveva ancora trent’anni, e lavorò con Pier Paolo Pasolini a «Paese sera».
Filocomunisti tutti e due, andaste insieme a Mosca.
«Sesto Festival mondiale della gioventù, l’interprete in comune si chiamava Irina».
Andaste a cena al Cremlino.
«E a noi si avvicinò Nikita Kruscev, ci offrì caviale e ci fece: ”Tovaric, hush kush!”, compagno,
mangia, mangia. Brindammo, gli facemmo alcune domande e il giorno dopo Paese sera uscì con un titolo a nove colonne in prima pagina: ”Ho brindato con Kruscev nei giardini del Cremlino”».
Davvero lei disse in trasmissione: «Altri fax? Altre mei? Butta qua!».
«Lo dissi».
«I giocatori della Nazionale cantino l’inno. Che glielo imparassero».
«Lo dissi».
«Io spero che venga catturato, anche magari adesso durante il "Processo", quell’assassino
di Bitràten»?
«Sì».
Le ha riportate tutte sul suo libro?
«Tutte, insieme a questa: ”Sono contento che il professor Zichichi, uno degli ultimi scienziati rimasti in Italia a tenere alta la bandiera, abbia dichiarato che c’è bisogno della moviola in campo”. E a quest’altra: ”Paolucci, auguri di fervide nozze” e ad altre 150».
Tornerebbe alla Rai?
«Il direttore Flavio Cattaneo me lo propose, dissi di no».
Dicono che il «Processo» fosse un’idea di Enrico Ameri e che lei gliel’abbia rubata.
«L’idea me la diede Cianni Rodari quando scrisse: ”Biscardi parla di una partita di calcio come fosse un processo...”».
Dicono che truccasse il moviolone.
« un marchingegno tecnicamente impossibile da taroccare. L’abbiamo comprato in Israele. E ce lo chiese pure il Vaticano per l’attentato al Papa».
Dica lei il titolo del suo nuovo libro.
«Se non c’ero io».
In quel caso, che fine avremmo fatto?
«Non peggiore».