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 2010  giugno 03 Giovedì calendario

CARI POLITICI, INVECE DI TAGLIARVI LO STIPENDIO, PERCH NON IMPARATE A GOVERNARE SENZA SPRECHI


L’opinione pubblica è arrabbiata. Ogni giorno i giornali tirano fuori nuove malefatte dei politici, nuove ragnatele di operazioni sospette, nuove liste di nominativi più o meno coinvolti nelle inchieste della magistratura. Stiamo ripiombando così in un clima politico simile a quello del 2007, culminato nel Vaffa-day promosso da Beppe Grillo. C’è una differenza importante, però, rispetto ad allora. Nel settembre del 2007 la crisi dei mutui subprime era scoppiata da appena un mese, era ancora confinata negli Stati Uniti, e soprattutto non si era ancora trasformata in recessione mondiale, come sarebbe avvenuto un anno dopo, a seguito del fallimento della Lehman Brothers. Dopo due anni di sia pur modesta crescita del pil (2 per cento), con i conti pubblici in miglioramento, nessuno in Italia pensava a una dura manovra di correzione dei conti pubblici, né vi erano timori che la speculazione internazionale attaccasse il nostro
Paese. In breve, nessuno parlava di sacrifici, come adesso sta invece avvenendo.
Questo è il motivo per cui oggi, a differenza di tre anni fa, di tagli ai costi della politica si parla più seriamente. I nostri politici si rendono conto che, nel momento in cui si apprestano a chiedere sacrifici ai cittadini, non possono non mandare un segnale, sia pure minimo, di serietà e di condivisione dello sforzo che si chiede al Paese. Di qui le proposte
di taglio ai costi della politica, come quella del ministro Roberto Calderoli, di ridurre gli stipendi di parlamentari e ministri, o le ipotesi di tagli anche più sostanziosi agli stipendi dei grandi manager pubblici.
In effetti sia i nostri politici sia i nostri manager pubblici hanno sovente emolumenti scandalosi: stipendi, indennità, diarie, gettoni, rimborsi, pensioni, premi, liquidazioni. Quindi una robusta sforbiciata appare più che ragionevole. Bisogna aggiungere, tuttavia, che sarebbe sbagliato illudere l’opinione pubblica che un giro di vite sui costi della
politica possa aiutare sensibilmente la manovra da 25 miliardi che Giulio Tremonti sta per varare. Per capire perché basta confrontare alcune cifre. Le retribuzioni di parlamentari e ministri sono pari a circa 200 milioni di euro, il costo globale del ceto politico, compresi amministratori locali, consiglieri, consulenti, portaborse è pari a circa 4 miliardi
di euro. Se anche si riuscisse a imporre un taglio del 5 per cento su tutti gli emolumenti dei politici e dei loro clienti, si potrebbero ricavare al massimo 0,5 miliardi (500 milioni) in 2 anni, ossia il 2 per cento della manovra da 25 miliardi che ci attende nel 2011-2012. Il restante 98 per cento lo dovremo pagare noi. I veri costi della politica non sono quelli diretti (emolumenti dei politici e dei loro satelliti) ma quelli indiretti, ossia lo sperpero di denaro pubblico che il malgoverno dei politici ogni anno infligge all’Italia: circa 80 miliardi di euro, secondo una stima prudente.