Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  maggio 28 Venerdì calendario

FALLA GOLFO DEL MESSICO

(Riassunto + pezzo del Corriere) -

Top Kill, l’operazione della British Petroleum avviata per arrestare la marea nera nel Golfo del Messico, è stata interrotta a 24 ore dall’inizio. Il greggio ha ora raggiunto una superficie di 150mila chilometri quadrati (quasi la metà della penisola italiana).

I tecnici della compagnia hanno notato che i liquidi versati per arrestare il petrolio (22 tonnellate di fango e liquidi densissimi) stavano schizzando via insieme al greggio. Lo stop alle operazioni è stato definito «non grave e temporaneo». Per stabilire se l’intervento è efficace o no serviranno almeno due giorni. Secondo Tony Hayward, numero uno di Bp, il rischio principale dell’operazione è che il liquido iniettato ad alta pressione nella falla possa danneggiare il già compromesso dispositivo che avrebbe dovuto prevenire la fuoriuscita di greggio in caso di incidente.

L’istituto geologico americano (Usgs) ha fatto sapere che la perdita nel Golfo del Messico è il più grande disastro ambientale della storia americana, peggiore dello svuotamento della petroliera Exxon Valdez del 1989 in Alaska (allora finirono in mare 41 milioni di litri di greggio). Le stime più verosimili sostengono che dalla falla siano usciti tra i 12 e i 19mila barili di petrolio al giorno (corrispondenti a 2-3 milioni di litri), contro i 5mila dichiarati dalla Bp e all’inizio avallati dal governo Usa. Nella migliore delle ipotesi in 36 giorni sono stati sversati in mare 432mila barili, circa 68 milioni di litri.

Le autorità Usa hanno allargato di 20mila chilometri quadrati l’area del Golfo in cui è vietata la pesca, la Guardia Costiera ha richiamato a terra le 125 barche da pesca impegnate nelle operazioni di pulitura del greggio dopo che alcuni membri degli equipaggi hanno accusato vertigini, mal di testa e dolori al petto.

I danni economici della catastrofe potrebbero aggirarsi intorno ai 100 miliardi di dollari. Per bloccare la falla e la marea di petrolio diretta verso le coste, Bp ha già speso mezzo miliardo. L’intero risanamento ambientale dovrebbe ricadere sulle sue spalle.

Ieri Washington Post e New York Times hanno denunciato che Elisabeth Birnbaum, responsabile federale del Minerals management service (Mms), il ministero che dà il via libera alle trivellazioni petrolifere, e i suoi collaboratori avrebbero ignorato per anni gli avvertimenti sui rischi ambientali nel Golfo del Messico dei consulenti scientifici del governo. I funzionari avrebbero aggirato documentazioni pur di rispettare le scadenze federali per la concessione delle licenze e riscuotere gli incentivi, sia durante l’amministrazione Bush che in questa del presidente Obama. Birnbaum è già stata licenziata, altre teste potrebbero presto saltare.

Obama oggi andrà in Louisiana per verificare le operazioni di contenimento e verificare l’estensione della marea di petrolio.


-----

NEW YORK’ «Quel getto di petrolio è il mio ultimo pensiero quando vado a dormire e il primo quando mi alzo. Stamattina, mentre facevo la barba, mia figlia Malia si è affacciata in bagno e mi ha chiesto: papà hai tappato quel buco?». Bp e Coast Guard ritengono che il nuovo tentativo di chiudere la falla nella tubatura spezzata soprannominato «top kill» stia funzionando, ma la certezza che il getto di petrolio che sgorga dal fondo del Golfo del Messico verrà arrestato ancora non c’è. E Barack Obama, incontrando la stampa alla vigilia del suo nuovo viaggio in Louisiana, non ha alcuna voglia di celebrare: le ultime stime ufficiali confermano che la Bp ha fortemente sottostimato la quantità di greggio finita in mare che, nella migliore delle ipotesi, è doppia rispetto a quella perduta nel 1989 in Alaska dalla petroliera Exxon Valdez. Rispondendo alle domande insolitamente aspre dei cronisti, Obama cerca così, soprattutto, di dimostrare di non aver mai sottovalutato la portata catastrofica dell’incidente.
Insomma, nel giorno in cui è stato forse trovato il modo di tappare il «maledetto buco» (fango, detriti e barite pompati nelle valvole e verso il giacimento stanno cominciando a creare una barriera, ma c’è sempre il pericolo che la forte pressione provochi altre perdite prima della definitiva cementificazione del pozzo), il presidente usa ancora una volta immagini della sua vita familiare e la sua stessa origine hawaiana («un luogo dove l’oceano è considerato sacro») per convincere l’opinione pubblica di averle provate tutte per contenere quello che definisce il più grave disastro ambientale della storia americana. Però, citando le parole della figlia, dimostra anche di comprendere la rabbia e la frustrazione della gente che considera il governo in qualche modo corresponsabile della tragedia.

Così, alla fine, il messaggio che arriva all’America è quello di un’assunzione di responsabilità della Casa Bianca per quello che sta avvenendo. Bp deve chiudere la falla e pagherà i danni provocati, ma d’ora in poi in prima linea ci sarà il governo: coordinerà gli sforzi per ripulire il Golfo del Messico, aiuterà chi’ dai pescatori agli albergatori – sta perdendo il lavoro a causa dell’«oil spill», ha deciso di bloccare l’autorizzazione di nuove prospezioni in mare fino al 2011, ha sospeso alcune trivellazioni che stavano per iniziare in Alaska, nel Golfo del Messico e al largo della Virginia e ha annunciato che imporrà standard di sicurezza più elevati alle compagnie petrolifere che operano «offshore».


Obama sta già rivoluzionando la MMS, l’agenzia federale che dovrebbe garantire che le trivellazioni vengano fatte in condizioni di massima sicurezza e che, invece, si è rivelata corrotta e connivente con le multinazionali del greggio. Dieci mesi fa la Casa Bianca aveva cercato di cambiare le cose sostituendo i manager dell’era Bush e affidando l’«authority» a Elizabeth Birnbaum. Ieri la Birnbaum si è dimessa. Il presidente non ha detto se è stata licenziata perché ha fallito, ma ha ammesso che, nonostante le buone intenzioni, cambiare la cultura delle «relazioni amichevoli» della Mineral Management Service coi petrolieri si è rivelato più difficile del previsto.

Vista dal punto di vista del funzionamento del sistema capitalista, si è creata una situazione quasi paradossale: il presidente attaccato per il suo presunto «statalismo» impotente perché in questa vicenda lo Stato’ che non dispone delle tecnologie per effettuare riparazioni nei fondali marini – dimostra i suoi limiti. E i repubblicani, che hanno sempre rivendicato lo «Stato minimo» e anche controlli minimi sulle imprese per non appesantire i loro costi, oggi lesti a lamentare l’impotenza del governo e a fare paralleli col fallimento di Bush nel dopo-uragano Katrina. Simbolo di questo paradosso è il governatore della Louisiana, Bobby Jindal. L’arciconservatore che un anno e mezzo fa, replicando ufficialmente a nome dei repubblicani al discorso di investitura di Barack Obama, aveva sostenuto che «la forza dell’America non risiede nel suo governo ma nello spirito d’intrapresa dei cittadini», adesso lamenta che lo Stato sta facendo «troppo poco, troppo tardi», chiede più mezzi e propone interventi colossali come la costruzione di una barriera di isole artificiali per proteggere le coste della Louisiana dalla marea nera.

Obama avrebbe potuto rispondere polemicamente, ma il clima di emergenza – con le immagini del greggio ormai arrivato a terra e che sta contaminando larghi tratti di mare in modo irrimediabile – lo ha spinto a mostrare il volto preoccupato e conciliante di un presidente che oggi accetterà, almeno in parte, il piano-Jindal e che sul parallelo con la risposta all’uragano Katrina si rimette al giudizio dell’opinione pubblica. Dopo aver fatto notare che nel Golfo lo Stato sta combattendo l’«oil spill» con 20 mila uomini, 1.300 imbarcazioni e mille chilometri di barriere galleggianti.


************

AGGIORNAMENTO DEL 31/05/2010

Top Kill, l’ultima manovra per fermare la marea nera nel Golfo del Messico, non ha funzionato ed è stata accantonata: lo ha annunciato Bp, che è passata a un’altra opzione. Il Chief operating officer di Bp, Doug Suttles, ha annunciato che l’operazione Top Kill è stata abbandonata dopo aver pompato da mercoledì 35mila barili di fanghi nel pozzo danneggiato.

Obama: un fallimento che fa infuriare. «Siamo molto delusi da questo annuncio» ha detto Mary Landry, controammiraglio della Guardia costiera, aggiungendo che il governo federale ha dato a Bp luce verde per il nuovo tentativo. Dopo l’annuncio della Landry, si è fatto sentire Obama: «E’ un fallimento che infuria e che spezza il cuore» ha detto il presidente Usa.

Bp passa adesso a una nuova manovra per cui si è data quattro giorni, forse più, di tempo: si chiama Lower Marine Riser Package (LMRP). Si tenterà di resecare il tubo danneggiato 40 giorni fa all’altezza della supervalvola e di "incappucciarla", poi collegare questo cappuccio a un nuovo tubo attraverso il quale aspirare il grosso del petrolio e del gas fino alla nave di appoggio in superficie. «Ma è una manovra non priva di rischi, ed ecco perchè non è stata tentata prima» ha detto Obama da Chicago.