Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  maggio 27 Giovedì calendario

DOMANDE E RISPOSTE: PROVINCE, SERVE DAVVERO RIDIMENSIONARLE?

Perché fa discutere la decisione del governo di abolire alcune Province?
Perché i criteri adottati possono apparire arbitrari. Soprattutto se appare chiaro il dato matematico (almeno 220mila abitanti) e se il governo non può intervenire sulle decisioni in materia delle Regioni a statuto speciale, pena violarne l’autonomia sancita dalla Costituzione, non è chiaro il motivo che «salva» le Province confinanti con Stati esteri. Inoltre, visto che il taglio ha soltanto motivi economici, non si comprende perché non venga tenuto conto dei bilanci delle Province, di chi ha i conti in rosso e chi no. Da qui le proteste di chi è stato «tagliato»..
L’abolizione di queste Province produce comunque un risparmio?
Sì, però visto che si tratta di nove sulle 110 esistenti, non può essere molto consistente. Molto diverso sarebbe se si abolissero tutte le Province, il cui costo - secondo calcoli dell’Istat del 2006 - è di 13,5 miliardi di euro. Un costo «puro», eliminabile semplicemente passando le competenze ad altri enti e ricollocando i 63mila dipendenti.
Allora perché non si fa davvero un taglio drastico?
E’ una questione annosa che ha radici fin dalla Costituente. Basti pensare che la «commissione dei 75» che aveva il compito di redigere il testo della Costituzione propose così il primo articolo del Titolo V (dove viene definito l’ordinamento degli enti locali): «La Repubblica si riparte in Regioni e Comuni». Le Province invece si salvarono mentre per le Regioni bisognò aspettare parecchi anni. Non solo: nel 2001 è stato modificato l’articolo 114 della Costituzione e sono state inserite anche le Città metropolitane, rimaste però solo sulla carta. Le Province, invece, sono sempre lì, sulla Carta e nei fatti anche se il dibattito politico sulla loro abolizione continua imperterrito.
Era già successo che alcune Province venissero ridimensionate o abolite?
No, mai. E’ avvenuto esattamente il contrario: le Province sono sempre e costantemente aumentate. Prendendo come punto di partenza il 1870 con la «presa di Porta Pia» e l’annessione di Roma al Regno d’Italia le Province italiane erano 69. Aumentano dopo la prima guerra mondiale, grazie all’ingresso di Trentino-Alto Adige e della Venezia Giulia ma è il fascismo con il decreto del 1927 («Riordimento delle cricoscrizioni provinciali») che ne istituisce 17 in un solo colpo a farle lievitare. Quando nasce la Repubblica Italiana le Province sono 91.
E come si arriva alle 110 di oggi?
Un primo aumento arriva tra il ”68 e il ”74, ma si tratta di sole tre province (Pordenone, Isernia e Oristano). Un incremento ben più consistente arriva nel 1992, paradossalmente proprio quando comincia ad infervorarsi il dibattito sui «costi della politica» e degli enti: si istituiscono infatti otto nuove province: Verbano-Cusio-Ossola, Biella, Lecco, Lodi, Rimini, Prato, Crotone, Vibo Valentia. E ancora, nel 2004, arrivano Monza e Brianza, Fermo e Barletta-Andria-Trani. Un elenco cui si devono aggiungere quattro Province autonomamente istituite dalla Sardegna.
Le nove Province che il governo dovrebbe abolire stanno tutte in questi ultimi elenchi?
No. Ce ne sono cinque (Biella, Fermo, Isernia, Crotone e Vibo Valentia); due invece (Rieti e Matera) risalgono al 1927. Massa Carrara e Ascoli Piceno hanno radici ben più antiche e la loro vicenda, adesso, sembra quasi paradossale: della prima, appena un anno fa, si era occupato il ministro Calderoli per ristabilirne il nome corretto (non Massa-Carrara bensì Massa e Carrara). Ascoli, invece, paga il «divorzio» di Fermo: stavano insieme nella stessa Provincia e adesso potrebbero non esserlo più nessuna delle due.
Ma se adesso può apparire arbitrario il motivo per abolirle, quale è stato il criterio per istituire le varie Province?
Non è mai esistito un criterio codificato. Esiste un retaggio di tipo storico che affonda radici nei secoli: l’Italia è stata divisa in staterelli che in modo naturale si sono poi trasformati in Province. E non si tratta solo di città che sono state anche delle potenze, come Genova, Venezia o Firenze. Basti pensare a luoghi come Verona, Mantova, Parma, Lucca, Urbino, Lecce. Poi c’è stato un aumento della popolazione in alcuni luoghi vertiginoso, dove è parso necessario dividere le amministrazioni; e ci sono Province meno abitate ma assai vaste (Cuneo, ad esempio).
C’è almeno omogeneità nella distribuzione delle Province?
Assolutamente no. Basti pensare che se la Lombardia ne ha dodici, ma con i suoi quasi dieci milioni di abitanti è di gran lunga la regione più popolosa, la Toscana, che di abitanti ne ha un terzo, ne conta dieci. Di converso una regione come la Campania ne conta solo cinque, al pari delle Marche che hanno un quarto dei suoi abitanti. E in tale disomogenietà non ci sono solo motivi storici; ci sono anche molti intrecci politici.