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 2010  maggio 27 Giovedì calendario

POCHE GAG E INNI ALLA DIETA NASCE L’AUSTERITY AZZURRA

L’austerity azzurra, ultima prodigiosa incarnazione dello Zelig berlusconiano, nasce poco dopo le sei di sera a Roma, nella sala stampa di Palazzo Chigi. A farle da ostetrica, la Verità del Tiepolo (quella cui, a questo punto bisogna ammettere con una certa lungimiranza, ignoti funzionari avevano provveduto a coprire le vergogne). L’austerity azzurra nasce di fronte ad una nutrita platea di giornalisti e cameraman: in prima fila c’è Paolo Bonaiuti che annuisce vigorosamente. Il parto dell’austerity azzurra dura un’oretta abbondante, e alla fine i genitori Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti appaiono provati ma tutto sommato soddisfatti.
Parla per primo Berlusconi: sette cartelle in un quarto d’ora filato (Aldo Moro, per fare un paragone, viaggiava a velocità più che dimezzata). Parla e sfata il principale tabù degli ultimi giorni. Il tabù dei sacrifici. Quella parola agli antipodi della mistica berlusconiana che in parecchi fiuravano che il Cavaliere mai e poi mai avrebbe pronunciato, invece dalla bocca del premier è uscita. Ore 18 e 36: «I sacrifici richiesti sono indispensabili per difendere la nostra moneta». E il passo è fatto.
E il resto del discorso del premier è incentrato sullo stesso registro: rigore e serietà impone la manovra, e dunque rigore e serietà bisognerà usare nel presentarla. un Berlusconi inedito quello che parla di «provvedimenti inevitabili», di «atto di responsabilità», di come «siamo tutti sulla stessa barca» e di «Italia che ce la farà». Solo alla fine della conferenza stampa, al momento delle domande dei cronisti, il premier cederà alla sua fisiologica voglia di sghignazzo improvvisando un siparietto con Luca Telese del Fatto su quanti soldi i due abbiano in tasca (per la cronaca, Berlusconi batte Telese zero a cinquanta, nel senso che il cronista rivela di avere con sé un bigliettone e il premier gli risponde di «vivere di carità pubblica» da un bel pezzo). Per il resto, nisba. Sacrifici, rigore e responsabilità.
Dopo Berlusconi, tocca a Tremonti. Che, definitivamente archiviate nel faldone ”vita precedente” tutte le suggestioni da finanza creativa, della linea rigorista è ormai il massimo interprete su scala nazionale. Parlerà tre quarti d’ora, scandendo con tono professorale la manovra misura per misura. E le sue parole faranno sembrare quelle del Cavaliere, ancorché irrituali, appena un’aperitivo. «Abbiamo solo fatto il nostro dovere, non c’erano alternative»; «I tagli riguardano pure i veterani di Garibaldi»; «Abbiamo eliminato ventisette enti, e ne cancelleremo degli altri»; «I grandi numeri si fanno con i piccoli numeri». Ad un cronista che insiste con pervicacia su un punto, Tremonti risponde sorridendo ma nemmeno troppo che «se vuole litigare allora andiamo a litigare fuori». E sembra quasi di rivedere il mitologico Giulio di Corrado Guzzanti, quello del «povca puttana e povca tvoia».
Un’ora e spiccioli, e l’austerity azzurra è nata. Finite le domande, Berlusconi e Tremonti raccolgono cartelline e fogli, si alzano e fanno per andarsene. Scatta il rompete le righe anche in platea, con i giornalisti che si alzano all’unisono. L’immagine della diretta televisiva inizia a sfumare verso il nero, e le schiene dei cronisti sono l’ultima cosa che si vede. Senonché, proprio all’ultimo secondo di segnale, si leva un vocione chissà da dove, chissà di chi che prorompe in un perentorio «Seduti!». C’è l’austerity. Dove credevate di andare?