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 2010  maggio 27 Giovedì calendario

BENVENUTI A WELLYWOOD

«Hollywood così come Dio intendeva che fosse»: cioè superbamente professionale, altamente creativa ma anche sobria, umanamente ricca, godibile; non acerbamente individualista, né avida, superficiale, iper-competitiva o smodatamente tronfia di sé. Il "paradiso" per cineasti di cui parla il regista messicano Guillermo del Toro evidentemente non si trova in California ma – letteralmente – agli antipodi, in un altro emisfero, tanto geografico quanto culturale: e cioè a Wellington, capitale della Nuova Zelanda. lì che, per una serie d’insospettate sinergie, sta nascendo una dinamica industria cinematografica alternativa al monopolio hollywoodiano, in sintonia con i nuovi tempi digitali ma anche più rispettosa degli aspetti umani e artigianali di un’arte filmica che è anche mestiere e abile lavoro di squadra. Benvenuti a "Wellywood", dunque, come ormai amano definirla i suoi abitanti, lontana dai clamori del più vasto mondo ma sempre più inserita nei circuiti globali della creatività cinematografica.
Non a caso è proprio qui che lo stesso del Toro si è trasferito – armi, bagagli e famiglia al seguito – per dirigere l’ «Hobbit», la duologia ispirata all’omonima opera di J.R.R. Tolkien (in uscita nel 2011 e 2012) il cui produttore esecutivo non poteva essere che l’amico e regista Peter Jackson, sorto alla celebrità mondiale con la trasposizione per grande schermo della trilogia de «Il Signore degli Anelli», sempre di Tolkien. Per molti aspetti Jackson è il deus ex machina nell’ascesadi Wellingtona nuova mecca della cinematografia internazionale, per coincidenza geografica proprio a metà strada tra Hollywood e la sua omologa indiana, Bollywood. Non solo Jackson ha infatti aperto studios talmente grandi da venir definiti "jumbo" e fondato una casa di produzione di effetti speciali come Weta Digital, ma ha contribuito alla creazione di un network di "sister companies" che ora attirano talenti, tecnici e creativi dagli hot spot del mondo a Miramar, il quartiere verde e tranquillo in cui si concentrano, perfettamente mimetizzate all’interno del contesto, gran parte delle attività dell’industria cinematografica locale.
Di qui il boom che l’industria cinematografica sta vivendo a Wellington e che sta trasformando la città in un covo di talenti e di creatività sperimentale, alimentando di riflesso la già vivace scena notturna di bar, pub ristoranti e night club (la città conta per persona più locali che New York).
Non solo la varietà scenografica della capitale neozelandese (dai verdi quartieri in collina con vista sull’oceano ai vivaci bar di Cuba Street) si presta a fare da quinta per produzioni di ogni genere ma l’intera cittadinanza è in qualche modo coinvolta in questo processo di mutazione urbana: «Un solo grado di separazione», tiene a precisare Delia Shanly, direttore di Film Wellington, l’organismo che aiuta le produzioni straniere a organizzare il proprio lavoro sul posto, dalla ricerca della location più appropriata alla gestione delle pratiche burocratiche, «Voglio dire – continua – non c’è amico, conoscente, famiglia che non abbia qualcuno in qualche modo connesso alla locale industria cinematografica ». In effetti in qualche modo l’intera città si sta adattando a divenire un gigantesco studio cinematografico a cielo aperto. «Qui trovano tutto quello di cui hanno bisogno: scenari metropolitani con lo skyline dei grattacieli o le banchine del porto e, a pochi minuti dal centro città, la "wilderness", paesaggi naturali incontaminati, e spiagge, coste scoscese, vulcani», dice Delia riferendosi a tutti gli spot televisivi e i lungometraggi che sempre più americani, inglesi, cinesi, coreani, persino australiani, vengono ora a filmare nella sua città».
Altro particolare non trascurabile, a Wellington si può godere una qualità della vita – e del lavoro – che molti trovano insuperabile. «Niente criminalità, niente corruzione, niente bustarelle e lingua inglese parlata da tutti: il che ci rende competitivi anche nei confronti di Sudamerica e Sudafrica», precisa Delia. Se solo la Nuova Zelanda non fosse così lontana... Ma il produttore Usa Berry Osborne (a lui si devono la «Trilogia» ma anche film come «Matrix», «Little Fish», «Rapa Nui») non si è fatto certo scoraggiare da un dettaglio che molti trovano ormai sempre meno rilevante: anzi, a Wellington si è pure comprato casa.
Detto ciò, il punto di vista di Peter Jackson (l’anno scorso è uscito il suo nuovo film, «Lovely Bones») sul futuro di Wellington come una delle nuove, emergenti capitali del cinema non sarebbe comunque andata molto lontano se non fosse stata sostenuta da un’intelligente serie di investimenti governativi. La stessa Film Wellington ha visto la luce undici anni fa sull’onda di un’iniziativa di promozione dell’industria cinematografica volta a dare un futuro alla città, allora in progressivo declino. «Praticamente è nato tutto a tavolino, dopo che era stato fatto uno studio di fattibilità – racconta Delia ”. Ai tempi Peter Jackson era ancora un regista di horror splash e la Trilogia era di là da venire.Io sono arrivata molto dopo, ho appena fatto in tempo a seguire la produzione del remake di King Kong». « la politica di incentivi, soprattutto quelli che consentono alle co-produzioni straniere di rientrare di una buona fetta di costi grazie ai finanziamenti concessi dallo Stato neozelandese, che ha favorito il boom dell’industria cinematografica della città, che ora conta oltre duemila piccole-medie imprese ad essa collegate», puntualizza l’avvocato Michael Stephens, grande appassionato di cinema e uno fra più attenti promotori dell’industria cinematografica locale.
 in virtù di tutto ciò che il modello Wellywood sta cominciando ad attirare crescente interesse: «I miei connazionali – dice George Miller, il regista australiano di «Babe», «Alien», «Le streghe di Eastwick» – dovrebbero venir qui a studiare il segreto di questa città che, per quanto sia dieci volte più piccola di Sydney, ha una concentrazione sbalorditiva di talenti cinematografici».