Sissi Bellomo, Il Sole-24 Ore 27/5/2010;, 27 maggio 2010
EREDIT PESANTE PER LA FAME DI GREGGIO DELL’OCCIDENTE
Quando le acque del Golfo del Messico saranno di nuovo limpide e la marea nera non macchierà più le coste degli Stati Uniti, l’eredità di Macondo potrebbe ancora condizionare i mercati petroliferi, accentuando la nostra dipendenza dai paesi dell’Opec e aumentando la probabilità che il greggio riveda livelli da record, addirittura superiori ai 147 dollari al barile dell’estate 2008.
Il pozzo sottomarino, che porta il nome dell’immaginario villaggio descritto da Gabriel Garcia Marquez in «Cent’anni disolitudine»,continua a vomitare petrolio dal 20 aprile. E per ogni giorno che passa aumentano non solo i danni ambientali, ma anche le possibilità che l’amministrazione Usa adotti misure draconiane per limitare le estrazioni offshore, mettendo una seria ipoteca sulla futura capacità di soddisfare la domanda di greggio.
proprio dagli abissi sottomarini che doveva infatti arrivare una buona fetta della futura produzione petrolifera: secondo il Mineral Management Service addirittura il 60% delle risorse ancora da sfruttare negli Usa si trovano offshore. Fino a poco più di un mese fa nessuno metteva in dubbio che l’area di maggior crescita dell’offerta sarebbe stata proprio quella e il progresso tecnologico sosteneva le aspettative di un rapido sviluppo. Ora la prospettiva è drammaticamente cambiata: come minimo tutto procederà molto più lentamente e con costi molto più elevati del previsto.
Il presidente americano Barack Obama riceverà oggi dal dipartimento agli Interni un primo rapporto sulle operazioni nel Golfo del Messico e su questa base annuncerà le linee guida che ispireranno i prossimi interventi sul settore. Ma dalle anticipazioni è già chiaro che verrà prorogata la moratoria al rilascio di nuovi permessi di estrazione e che ci saranno regole molto più severe sulla sicurezza.
«L’incidente è davvero un grande ostacolo per la politica energetica statunitense», secondo Daniel Yergin, presidente del Cambridge Energy Research Associate ( Cera) e vincitore del Pulitzer per il libro «Il premio», che racconta la storia del petrolio.«Il disastro ”fa notare Yergin – è avvenuto appena due settimane dopo l’annuncio che ci sarebbe stata una graduale apertura alle possibilità di trivellazione al largo della costa orientale degli Usa. Ovviamente ora tutto è in sospeso». Il segretario agli Interni, Ken Salazar, ieri ha già fatto sapere che il permesso alle trivellazioni al largo dell’Alaska, richiesto da Royal Dutch Shell, dovrà sottostare a un ulteriore esame delle autorità.
Per sapere esattamente che cosa accadrà servirebbe la sfera di cristallo. Qualche ipotesi prova a farla l’economista Ed Morse, consigliere del governo Usa in materia energetica durante le amministrazioni Carter e Reagan, oggi managing director di Credit Suisse. «Nell’immediato ”spiega al Sole 24 Ore – potrebbero peggiorare le difficoltà di trasporto del greggio. In quell’area, tra Texas e Louisiana, passa la maggior parte dell’import petrolifero degli Usa: qualcosa come 6 milioni di barili al giorno, più delle importazioni totali della Cina per intenderci». Le conseguenze più serie potrebbero tuttavia verificarsi nel lungo termine: «Oggi dalle acque profonde si estraggono 3,5 milioni di barili di petrolio al giorno, di cui 1,6 negli Usa. Prima ci attendevamo che entro il 2020 gli Usa salissero a 3 milioni e che a livello globale si potesse arrivare a 7-10 milioni di barili al giorno. Ora non sappiamo bene che cosa succederà, ma se anche solo gli Usa rallentassero, salendo da 1,6 a 2 invece che 3 mbg, allora non si verificherebbe alcuna crescita nella produzione non Opec rispetto ai livelli attuali».
Qualcuno suggerisce che l’amministrazione americana difficilmente ucciderà la sua gallina dalle uova d’oro: nel 2009 grazie all’offshore nelle casse dello stato sono arrivati oltre 6 miliardi di dollari. Senza contare il fatto che le compagnie petrolifere sono da sempre tra i maggiori foraggiatori della politica Usa.
Il disastro nel Golfo del Messico sta tuttavia assumendo dimensioni talmente spaventose da non poter essere ignorato e le ripercussioni potrebbero sentirsi anche in altri paesi impegnati nelle trivellazioni offshore: in Brasile, ad esempio, dove sono stati individuati giacimenti potenzialmente ricchissimi, oppure in Canada, dove si progettava di estendere le esplorazioni al Circolo polare artico.
A essere messe in discussione non saranno tuttavia soltanto le sfide più estreme proposte dalle compagnie petrolifere, ma qualunque attività offshore. «Macondo – ricorda Yergin – non era uno dei pozzi più difficili del Golfo del Messico ». Soltanto pochi mesi prima la piattaforma Deepwater Horizon, esplosa e colata a picco mentre ne ultimava la trivellazione, aveva realizzato un’opera ben più ambiziosa: il pozzo sottomarino più profondo mai realizzato, oltre 10 chilometri sotto il livello del mare. Un record, grazie al quale la Bp aveva potuto vantarsi di aver identificato il giacimento gigante di Tiber.