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 2010  maggio 27 Giovedì calendario

IL CONDUTTORE E IL SUO POPOLO

«Ho quarant´anni, quattro figlie e la sensazione di essere preso per il culo». Sono passati più di trent´anni da quando Beppe Viola, grande giornalista della Rai, mandava una memorabile lettera di protesta a Biagio Agnes. Dopo avere ripercorso una lunga catena di episodi di emarginazione professionale, la lettera annunciava un periodo di ferie per imparare, a spese proprie, l´inglese; noi la conosciamo solo perché Viola l´ha poi pubblicata in un suo libro umoristico (dove non stona certo fra gli altri capitoli).
Se quella volta Viola non ha fatto le proprie rimostranze direttamente in video non è soltanto perché era poco noto, al di fuori di una porzione (cospicua ma non certo oceanica) di amateur. anche perché allora non si faceva. Oggi, invece... Contratti, contatti, resa pubblicitaria, libertà, esclusiva, censura, trattamenti di fine rapporto, lanci da tg: tutta la logistica, anche un po´ repellente, dei programmi di informazione diventa oggetto della loro medesima informazione. «Porterete pazienza», ci ha chiesto Bruno Vespa, introducendo la propria risposta a Santoro. Ha fatto bene, perché di pazienza ce ne vuole proprio tanta.
Tutto ciò non càpita soltanto per la temperatura oramai rovente raggiunta dalla battaglia sull´informazione; né per la circostanza, pure folkloristicamente pertinente, per cui Rai è, ora più che mai, anagramma di "ira". Non si sarebbe arrivati al punto attuale se il tradizionale "conduttore" non si fosse trasformato con il tempo in una figura ben più articolata, ben più intensamente sovraesposta nell´immagine (e proporzionalmente sottoesposta nelle sue intenzioni reali, nelle sue motivazione soggettive).
 una storia che deve essere incominciata la prima volta che un piccato comunicato sindacale ha difeso una redazione di tg facendo riferimento all´ineffabile "professionalità" dei suoi componenti; è poi proseguita lungo il rapido declivio del rapporto tra il conduttore e quello che oramai chiama esplicitamente "il mio pubblico" (lo fa Santoro, lo fa Vespa). Fiducia, poi fedeltà, quindi fede: è questo che ogni conduttore ha via via pensato di suscitare, emergendo dal semianonimato dei titoli di coda grazie agli espedienti espressivi del volto oramai consueto, che inquieta e rassicura la popolazione dei divani; dei ticchi altrettanto riconoscibili, dei gesti di impazienza, dei rimbrotti ai collaboratori. Il conduttore non svolge più una funzione, ma la celebra. Prima che una trasmissione, conduce, innanzitutto, sé stesso; in secondo luogo, uno staff-corte di fedelissimi (come quegli allenatori che si portano dietro preparatori atletici e allenatori di portieri); in terzo luogo, conduce un panel di ospiti abituali, personaggi e testimonial che lo aiuteranno a consolidare il proprio racconto della realtà sino a scambiarlo con la realtà del racconto.
Quando Santoro dice che «Anno Zero è la perla del servizio pubblico» sta sostituendo la sua trasmissione all´Italia, sé stesso al popolo italiano. Quando fa condurre la sua trattativa politico-deontologica al più scaltro fra gli agenti di spettacolo mette però le cose in chiaro. Ammesso che in Italia continuerà a essere praticato, il giornalismo televisivo troverà sempre un limite intrinseco nelle proprie, forse inevitabili, ricadute divistiche. Ma fin quando ci sarà Berlusconi con cui prendersela si andrà avanti, presumibilmente, così. E anche senza avere necessariamente proprio quell´età o quel numero di figlie, caro Beppe Viola...