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 2010  maggio 27 Giovedì calendario

IL DIRIGISMO ALGERINO LA MALEDIZIONE DEL PETROLIO

 molto tempo che non si parla più della situazione politica dell’Algeria. Ho cercato anche sull’archivio storico del Corriere, ma, a parte notizie di sequestri nel Sahel, non ho trovato nulla che spiegasse la «calma mediatica». stato raggiunto un equilibrio politico che ha interrotto la catena di attentati o altro?
Gaetano Berardi
berardi.gae@tiscali.it
Caro Berardi,
Il presidente Abdelaziz Bouteflika governa da 11 anni, ha vinto le elezioni della primavera dell’anno scorso con il 90% dei voti, rimarrà al potere fino al 2014 e non esiste sull’orizzonte della politica algerina, per il momento, una sola persona che possa aspirare alla sua successione. Per qualche settimana il Paese è stato scosso da una ondata di scioperi che hanno coinvolto quasi tutte le categorie sociali: ferrovieri, operai delle industrie metalmeccaniche, impiegati delle amministrazioni locali, insegnanti, medici e paramedici. Come in Egitto, dove nuove forme di protesta sociale hanno colto di sorpresa il governo del presidente Mubarak, esiste ad Algeri una evidente contraddizione fra l’apparente stabilità politica del sistema e l’onda crescente del malumore popolare. Bouteflika ha aumentato considerevolmente negli scorsi anni la spesa pubblica per l’edilizia popolare, i trasporti, gli acquedotti (300 miliardi di dollari fra il 1999 e il 2009), può vantare un prodotto interno lordo per abitante che è passato dai 1.380 dollari del 1999 ai 4.300 del 2009 e un tasso di disoccupazione sceso nello stesso periodo dal 33% all’11%.
Ricavo questi dati da un articolo di Cherif Ouazani apparso su Nouvelle Afrique dell’8 maggio. Ouazani osserva che i 300 miliardi di dollari degli ultimi dieci anni sono una somma tre volte più grande di quella stanziata dagli Stati Uniti nell’ambito del Piano Marshall: 15 miliardi del 1948, pari a 100 miliardi dei nostri giorni. Aggiungo che la spesa «assistenziale» del governo algerino, fra cui gli aumenti dei salari della funzione pubblica, rappresenterebbero un terzo del bilancio statale. Come spiegare, in queste circostanze, l’aumento della protesta popolare?
L’Algeria non ha mai smesso di essere un Paese dirigista, affascinato dai grandi piani economici e meno aperto di altri Stati maghrebini (Marocco e Tunisia, per esempio) all’economia di mercato. Dopo qualche promettente riforma negli anni Novanta, Bouteflika ha nuovamente ceduto alle tentazioni protezioniste del passato. Ha reso la vita difficile agli imprenditori stranieri, ha introdotto regole più severe sul controllo dei cambi e il commercio estero, ha scoraggiato gli investimenti internazionali. In altre parole prevale ancora una volta al vertice dell’Algeria la convinzione che le risorse petrolifere consentano al Paese di fare da sé. Il risultato di questa politica è generalmente una economia rigida, controllata dall’alto, appesantita da una burocrazia parassitaria e da una nomenclatura opaca, quindi priva delle occasioni e degli stimoli che creano dinamismo sociale. la «maledizione del petrolio», un morbo da cui sono afflitti molti Paesi medio-orientali.