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 2010  maggio 27 Giovedì calendario

Pechino – Nel video Jeff Savage ha una bandana in testa e un bastone in mano. Tra le camicie rosse che fino alla settimana scorsa occupavano il centro di Bangkok c’era anche lui, inglese quarantottenne che gridava di «sfasciare questo fottuto Central World»

Pechino – Nel video Jeff Savage ha una bandana in testa e un bastone in mano. Tra le camicie rosse che fino alla settimana scorsa occupavano il centro di Bangkok c’era anche lui, inglese quarantottenne che gridava di «sfasciare questo fottuto Central World». Poi il centro commerciale Central World è effettivamente andato in fiamme e Savage, invece, è finito in una galera thailandese. Per le sue frasi e i suoi comportamenti, captati da un video approdato su YouTube, Savage rischia anni di carcere, potenzialmente anche la pena di morte. Le autorità sono convinte che da tempo fosse organico alle camicie rosse pro-Thaksin Shinawatra (l’ex premier rimosso da un golpe nel 2006 e ora ricercato per terrorismo) e a lui non resta che entrare – suo malgrado – nella galleria degli occidentali rimasti sedotti da movimenti rivoluzionari. (Afp) JeffSavage ripreso rosseasfasciare aBangkok: centrocommercialeincitale camicie In azione Ribelli delle camicie rosse in una recente protesta a Bangkok JOHN, LORI, JEFF: GLI OCCIDENTALI SEDOTTI DALLE RIVOLTE «ESOTICHE»- Savage si è detto innocente e lo ha ripetuto in un’intervista al quotidiano britannico Guardian, nella quale parla di come stesse «usando il vecchio sarcasmo britannico, ero la caricatura dell’hooligan britannico allo stadio». Paradosso vuole che proprio nelle stesse ore in cui l’occidentale Savage sedotto da una ribellione esotica si ritrova nei guai, dall’altra parte del mondo’ in Perù’ un’americana venga scarcerata a 15 anni dalla cattura. Era stata accusata di far parte dei Tupac Amaru, formazione marxista attiva negli anni Novanta e protagonista di un clamoroso blitz all’ambasciata giapponese alla fine del 1996. Lori Berenson, oggi quarantenne, era passata attraverso diversi processi, si era sposata in carcere con un compagno e ha avuto un figlio. Rampolli talvolta privilegiati di un Occidente che li ha esposti alla seduzione di movimenti rivoluzionari (la Berenson è figlia di professori e per il Perù lasciò il prestigioso Mit, il Massachusetts Institute of Technology), personaggi come lei hanno in John Reed una sorta di patriarca informale. Americano, anche lui proveniente da un’agiata famiglia dell’Oregon, Reed (1887-1920) si buttò nella Rivoluzione d’Ottobre senza mai abbandonare una prospettiva americana per la causa comunista. E se la rivoluzione russa ha in Reed l’esempio dell’occidentale che sposò una causa epocale, la Cina non è da meno. Edgar Snow (1905-1972) visse e raccontò l’epopea dell’avvicinamento di Mao Zedong, visitandone le basi in una Cina in piena guerra civile e facendo convivere resoconto giornalistico e fascinazione rivoluzionaria («Stella rossa sulla Cina» il suo titolo capitale). Norman Bethune, medico comunista canadese (1890-1939) passò dalla Guerra di Spagna a quella della Cina contro il Giappone e si immolò alla causa insieme con l’Esercito di liberazione popolare di Mao. Di lui restano il nome cinese, Bai Qiuen, un’iconografia da padre nobile e qualche commemorazione. Vive, e fa la spola fra Usa e la Cina, Sidney Rittenberg, americano iscritto al Partito comunista cinese, anni di galera dopo aver lambito il potere della Cina rossa. L’Asia resta fitta di casi analoghi. James Dresnok è uno dei quattro americani che nei primi anni Sessanta attraversarono la zona demilitarizzata del 38° parallelo e abbandonarono il cosiddetto «mondo libero» per chieder asilo in Corea del Nord. Solo Dresnok vive ancora a Pyongyang e la sua epopea è diventata un documentario di Daniel Gordon, «Crossing the Line», e la sua lealtà (e gratitudine) alla Corea comunista gioca a intaccare la consuetudine e certe saldezze dell’Occidente che ha lasciato per sempre. Tutt’altro scenario quello dell’Afghanistan post-11 settembre. John Walker Lindh, nel 2002 condannato a 20 anni di carcere per aver sostenuto le attività di Al Qaeda e degli «studenti coranici», era stato «il talebano Johnny», non unico ma tra i più noti occidentali finiti nell’Internazionale della jihad armata. Per alcuni, ma non per tutti, l’opzione avventura più rivoluzione ha significato una vita ulteriore (ed edulcorata) da personaggi letterari o cinematografici, vedi il Warren Beatty di «Reds» per Reed o il Dresnok che fa se stesso nel documentario o ancora l’italiano Vitaliano Ravagli, finito negli anni Cinquanta dall’Emilia Romagna alle giungle dell’Indocina a combattere da comunista e infine nelle pagine di «Asce di guerra» (del 2000 la prima edizione), scritto insieme con il collettivo Wu Ming. Nella prigione di Bangkok, il copione che attende Jeff Savage non ha nulla di romantico né di epico, però. roba da avvocati, e chissà con che finale.