Massimo Tosti, ItaliaOggi 26/5/2010, 26 maggio 2010
LA LIBERT DI STAMPA UGUALE AL DISPREZZO DELLA PRIVACY?
Forse è colpa della globalizzazione, di internet, di facebook, delle telecamere presenti in ogni angolo di strada, dei cellulari che hanno promosso tutti i comuni cittadini a fotoreporter (in grado di impicciarsi, senza scrupolo, dei fatti altrui). O, forse, non servono attenuanti per spiegare il trionfo del pettegolezzo in tutte le forme della vita civile (o incivile, dipende dai gusti): dallo spettacolo, alla politica, allo sport, alla vita di condominio, dove le pareti sono sempre più sottili e le orecchie sempre più lunghe.
Fatto è che, ormai, soltanto il buco della serratura (in qualunque foggia informatica) è considerato come una degna fonte di notizie.
Era commovente, ieri mattina, la foto di gruppo scattata (ufficialmente, non clandestinamente) al Forum Roma-Milano sull’informazione al quale erano presenti, tutti (o quasi) insieme, appassionatamente, i direttori dei giornali italiani. Tutti insieme (di destra, di sinistra e di centro, dei giornali indipendenti e di quelli di partito, di quelli sovvenzionati e di quelli sull’orlo del collasso economico) per protestare contro la «censura» e il disegno liberticida del governo che vorrebbe strangolare la libertà di stampa.
L’oggetto dell’allarme è il disegno di legge sulle intercettazioni telefoniche che lunedì prossimo approderà nell’aula di Palazzo Madama dopo la maratona in commissione e a un anno (giorno più giorno meno) dal voto della Camera dei Deputati.
Singolare anche questo: che un governo tirannico (che gode oltretutto di una maggioranza rilevante nei due rami del parlamento) impieghi un tempo così lungo per mettere il bavaglio a giornali e giornalisti.
Ieri il presidente della Rai (che è un giornalista) ha dichiarato che «il Paese migliore è quello che non ha leggi sulla stampa» (un concetto degno di Bertolt Brecht). Ha sicuramente ragione: e allora cominciamo con l’abolire la legge che quasi mezzo secolo fa ha istituito l’Ordine dei giornalisti, con la quale si è costituita una casta, non irrilevante dal punto di vista numerico, visto che gli iscritti hanno ormai trionfalmente superato le centomila unità. Tutti insieme hanno sbandierato il mitico articolo 21 della Costituzione («Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure»). Nessuno si è ricordato di recitare l’articolo 15: «La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili». Nessuno ha ricordato che, da sempre, esistono norme che puniscono la violazione del segreto istruttorio. Nessuno ha avvertito la spiacevole sensazione di vivere in un paese nel quale prima della libertà di stampa è a rischio la libertà individuale. Ci stiamo abituando a vivere in un clima molto simile a quello del Paese raccontato da George Orwell in «1984» (che non era un modello invidiabile di libertà).
Ognuno è spiato e ciascuno fa del suo meglio per spiare gli altri, garantendosi così qualche vantaggio da sfruttare al momento opportuno. vero che tutto questo accade con la mediazione della giustizia, che intercetta per indagare e accertare fatti delittuosi, ma che poi si distrae quando i colloqui degli intercettati (anche quelli che non hanno commesso delitti o infrazioni) finiscono sulle colonne dei giornali, per la gioia dei voyeur.
Siamo sicuri che la libertà di stampa debba necessariamente convivere con il disprezzo per la privacy? Siamo sicuri che per accertare le colpe della casta (quella dei politici, non quella dei giornalisti) sia indispensabile pubblicare sui giornali gli appuntamenti per i massaggi (di qualunque natura essi siano)? E fra quanto tempo i giornalisti si trasformeranno in hacker per leggere le e-mail? Non serve più violare la corrispondenza epistolare tradizionale, perché ormai non la usa più nessuno. Altrimenti basterebbe accordarsi con il postino invece di cercare qualche complice nei tribunali.