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 2010  maggio 26 Mercoledì calendario

L’ETERNO SPETTACOLO DELLA BRITISH DEMOCRACY

Il discorso che la Regina tiene ogni anno a Westminster di fronte al Parlamento riunito per l’inizio dei lavori o per l’avvio di una nuova legislatura, è uno degli spettacoli più anacronistici del mondo. facile sorriderne, chiedendosi per quanto tempo ancora gli inglesi ci infliggeranno le loro polverose tradizioni. Eppure, dietro ai rituali che precedono lo «State Opening of Parliament» c’è l’essenza stessa della monarchia britannica, il compromesso che consente da 500 anni al sovrano di fare finta di regnare sui propri sudditi, e ai parlamentari di ribadire contemporaneamente la loro indipendenza dalla corona.
La diffidenza tra Buckingham Palace e Westminster è ancora reciproca. Poco prima dell’inizio della cerimonia, gli Yeomen of the Guard, i soldati di Elisabetta II a guardia della Torre di Londra nell’uniforme che non hanno cambiato dai tempi di Elisabetta I, perquisiscono le cantine del Parlamento alla ricerca di esplosivi. Lo fanno dal 5 novembre del 1605, quando congiurati cattolici cercarono di uccidere con una bomba il re protestante Giacomo I e la sua famiglia. E poiché non si sa mai, un membro del Parlamento viene ancora oggi condotto come ostaggio a Palazzo, per garantire che la Regina possa farvi ritorno incolume.
In un Paese dove non esistono costituzione e leggi scritte è importante avere buona memoria. Quindi nessuno ha dimenticato Carlo I e quel giorno del 1642, quando il re entrò come un forsennato nella Camera dei Comuni chiedendo l’arresto di alcuni cospiratori. Lo Speaker trovò il coraggio di cacciarlo e da allora si decise che nessun sovrano sarebbe mai più entrato nell’aula degli eletti dal popolo. Vi è ammesso solo il messaggero della Corona, il Gentleman Usher of the Black Rod, al quale viene però sempre chiusa simbolicamente la porta in faccia. Anche ieri ha dovuto bussare tre volte con il suo bastone nero per poter pronunciare davanti ai parlamentari la frase rituale: «La Regina ordina a questa onorevole Camera di presentarsi immediatamente davanti a Sua Maestà nella Camera dei Pari».
«Ordina» e «immediatamente» sono un verbo e un avverbio che i deputati mal sopportano. L’invito è sempre commentato con una irriverente battuta di spirito e il corteo che si muove verso la Camera dei Lord è volutamente lento, sbarazzino e ciarliero.
Ma nella sala dove li attendono Elisabetta e Filippo di Edimburgo nessuno fiata più. Lei è impassibile su un trono più alto di 6 centimetri di quello del marito, perché nessuno può superarla in altezza quando è seduta. Indossa la corona imperiale con uno dei più grandi diamanti del mondo, la Seconda Stella d’Africa (la Prima è nello scettro reale). Le perle che la adornano appartenevano a Elisabetta I e il rubino a Enrico V, che lo portava nel 1415 alla battaglia di Agincourt, quando arringò il malconcio esercito inglese: «Noi pochi, noi pochi felici, noi manipolo di fratelli...».
Nessuno può disturbare il discorso scritto dal governo che la regina legge fingendo che sia suo. Elisabetta deve tenere un tono di voce neutrale, per non manifestare apprezzamento o riserve sul programma del suo primo ministro. Quando la finzione è finita, risale sulla carrozza e, se è inverno, Filippo le rimbocca una coperta sulle gambe. Lo spettacolo del suo ritorno a Buckingham Palace lungo St James Park, scortata dalle scintillanti guardie a cavallo, è una delle cose più emozionanti che si possano vedere a Londra.