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 2010  maggio 26 Mercoledì calendario

IL COMPLESSO DI BONDI: RIVINCITA A OGNI COSTO SU ARTISTI E INTELLETTUALI

Elio Germano è solo l’ultima stazione di un lungo viaggio che parte da lontano. ”Mi è dispiaciuto che la sera del premio a Cannes abbia colto l’occasione per polemizzare con il suo Paese. legittimo, ma credo sia stato inopportuno”. Nella valigia di Sandro, ministro per caso, fustigatore per scelta, pasdaran per contratto, la trinità è un obbligo. In guerra scherzare è un po’ morire e il destino non si sceglie. All’attore italiano, però, è toccata quasi una carezza. Si era congratulato con tutti i film finanziati dal ministero ”pr ima che il Festival di Cannes iniziasse”, fa sapere, evitando però di materializzarsi dopo, al pari di una Giorgia Meloni qualunque che al ventinovenne romano, dalla trasmissione radio che conduce, ha concesso platea, ascolto e occasione di precisare il senso della sua dichiarazione di domenica. Germano non vale una rissa, neanche un guanto di sfida. Niente a che vedere con Umberto Eco. Nel Pantheon al contrario di Bondi, Eco rappresenta la sintesi del pensatore da salotto e (naturalmente) da apparato. Lui li conosceva bene, (Politburo e disprezzo) perché come ebbe a dire un giorno ”Solo chi è stato nel Pci, sa cosa vuol dire essere additati al pubblico ludibrio”. Era una calda serata milanese del 2008 comunque e al termine di un incontro siberiano, Eco aveva visto planare sulle pagine l’ira funesta del Pelide Sandro: ”Il professor Eco non si è neppure alzato e, restando seduto, ha faticato a darmi la mano, ritraendola immediatamente, forse per paura che lo infettassi. Un gesto senza senso della m i s u ra ”. Il complesso di Bondi, la necessità della sua rivincita intellettuale verso un universo che non ne capisce l’ecumenismo e al tempo non ne seppe valorizzare le propensioni, è una fotografia fissata a metà degli anni ’70. All’epoca, Sandro era un militante della Fgci. Batteva casa per casa. Ballatoi, ammezzati, periferie. E Bondi con la mazzetta sotto il braccio e la timidezza a imperlarne la fronte. ”Signora, l’Unità, un contributo?”. Non sempre le risposte erano positive e da allora, l’uomo che un giorno, dopo aver attraversato Damasco e tutte le vie del comunismo italiano, finì ad Arcore (prima a rispondere alle ammiratrici del capo siglando le missive S. B., poi direttamente in Parlamento, poi ancora a giurare, tra gli affreschi del Quirinale) e poi nel Paradiso in cui tutto si confonde: ”Berlu - sconi è candore e purezza”, ”Dell’Utri ricorda un frate agostiniano”, non si è più dato pace. Nella nuova veste, l’ex sindaco di un paesino delle Apuane, figlio unico di Renzo e Maria, (operaio e casalinga), natali umili, finta pacatezza pronta a infiammarsi per difendere amici, sodali, colleghi di partito, palesa fatica, solo dissimulata dalla poesia, che, (Bondi non può farne a meno) sgorga felice a fissare straordinari, momenti di involontaria comicità. Le quartine sono come la tirata politica. Quando si parte, non si sa dove si fa a finire: ”La mia fede è la tenerezza dei tuoi sguardi/ La tua fede è nelle parole che cerco”, sobria chiosa della composizione in onore di Fabrizio Cicchitto che non si sa come l’abbia presa davvero. E ancora, controllate parole a irradiare di luce Marinella, la segretaria del padrone: ”Muto segreto/ inconfessata attesa/ desiderata armonia/ inavvertita fortezza/ sospirata carezza d’amo - re ”. Distinguere amici e nemici, sembra diventata la sua principale occupazione. Sogna di tagliare i fondi al Cinema e mentre minaccia, non si trattiene. Scorge freddezza da parte degli artisti riuniti al Quirinale e prorompe dalle pagine compassionevoli de Il Foglio: ”Davanti a tutto quel genuflettersi e inchinarsi di attori e attrici, di artisti e commedianti (...) quasi quasi mi dispiaceva di aver previsto leggi che non contempleranno più la posa prona, il servaggio, l’accattonaggio dell’artista al politico. (...) E invece io negli occhi di quei tanti artisti schiavi e proni leggevo solo il disprezzo e l’irrisione verso chi ”come me – crede sinceramente nel valore della cultura(...)”. Per poi considerare la missione secondo stilemi medievali: ”Qua - si quasi mi sarei dovuto pentire di aver reintegrato il Fus, piuttosto che destinare quei fondi al patrimonio storico. A che serve, pensavo, dare loro soldi e ragioni, se ad animarli non è il fuoco dell’arte, ma un pregiudizio politico ostinato,se è soltanto un cieco odio atavico che li strugge, perché non trova più il modo per esprimersi, ma fiacca le energie necessarie alla creazione di un capolavoro?”. Un incubo autoreferenziale, solo attenuato dall’ironia, che Bondi si illude di dominare, salvo poi cedere alla tentazione e inventare per Panora ma (in coppia con la compagna Repetti, parlamentare del Pdl) un’indimen - ticabile intervista a due voci, uno cinguettio in forma di sketch che pare nascere dai detestati fratelli Guzzanti e invece (sorpresa) è da attribuire a Bondi stesso. Nella cosmogonìa bondiana, Sandro è l’esule, il reietto, il perseguitato che in una giungla di ingrati, (al vate di Arcore) prova a portare alla luce frammenti di verità. Gli altri, è ovvio, bersagli da inquadrare in una furia iconoclasta che non conosce limiti, confini, senso del ridicolo. Nanni Moretti? ”Mi sgomenta la sua miseria umana e morale”, Il mite Fassino: ”Le sue parole sono cariche di violenza in puro stile comunista”, D’Alema: ”Un povero ciabattino che si guarda le scarpe”, Veltroni: ”Provo una pena profondo per chi nega il suo passato”. Ecco un moderato. Un poeta.