Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  maggio 25 Martedì calendario

LA GUERRA DEGLI SCACCHI, TRA DITTATORI E MARZIANI

"Gens una sumus" è il motto della Fide. Altro che. La battaglia per la presidenza della Federazione mondiale scacchi è una commedia che fino a qualche giorno fa si limitava a essere surreale, ma ora si sta colorando di giallo. Personaggi e interpreti: Kirsan Iljumzhinov, presidente della Calmucchia ma anche della Fide. Garry Kasparov e Anatolij Karpov - chi non li conosce? Arkadij Dvorkovich, consigliere economico di Dmitrij Medvedev. Banchieri americani, agenti di polizia russi e...beh sì, anche un gruppetto di omini verdi, marziani insomma. L’azione si svolge tra il Cremlino, le steppe calmucche e www.karpov2010. org, sito dello sfidante. Fanatico degli scacchi, Iljumzhinov è al comando della Federazione da 15 anni e tempo fa Karpov - campione mondiale dal 1975 al 1985 e dal 1993 al 1999 - ha deciso che è venuta l’ora di cambiare. Ammiratore di Saddam Hussein, Iljumzhinov è onnipotente nella sua repubblica di steppe tra il Volga e il Caspio, terra di poveri pastori a cui nel 1993 un intraprendente milionario promise sviluppo, un telefono e cento dollari a famiglia. Loro, unico popolo buddista in Europa, lo elessero presidente, ma invece del benessere ebbero gli scacchi. Scacchiere bianche e nere per le strade della capitale, Elista, le regole del gioco materia obbligatoria a scuola, un bel villaggio olimpico in periferia Chess City - costato 60 milioni di dollari. Secondo Karpov, la presidenza Iljumzhinov ha screditato la Fide, confinando gli scacchi alle steppe del Caucaso. La sfida è stata lanciata in marzo: si voterà in settembre. Per vincere, un candidato deve assicurarsi il maggior numero di sostegni dalle federazioni nazionali, tra cui la propria. Stati Uniti ed Europa sono con l’ex campione del mondo, che pur di vincere ha chiuso un occhio sul passato abbracciando l’eterno rivale, Garry Kasparov, passato ora alla politica e all’opposizione a Putin, altro elemento importante. A una serata di gala a New York, con più di cento banchieri di Wall Street amanti degli scacchi, i due sono riusciti a raccogliere un mucchio di dollari mettendo all’asta una partita contro Kasparov.
Ma in Russia le cose si sono complicate. Entra in scena Arkadij Dvorkovich, uomo di Medvedev, considerato un liberale. Ultimamente, invece delle riforme economiche si è messo a sostenere a spada tratta Iljumzhinov. Una mossa inspiegabile, all’apparenza. Il presidente della Calmucchia non è certo un democratico, e nella repubblica delle steppe i russi sono considerati cittadini di serie b. Finora Iljumzhinov è sempre riuscito a restare in sella, malgrado lo si desse per spacciato fin dai tempi di Eltsin. Ma ora i leader delle regioni non si eleggono più, la riconferma del khan degli scacchi - in ottobre- spetta a Medvedev. Si potrebbe supporre che il Cremlino intenda scaricarlo, e come premio di consolazione lasciargli la Fide. Fatto sta che Dvorkovich- capo del board di supervisione della federazione russa - per l’occasione ha tolto i panni del liberale ed è tornato ai vecchi metodi sovok, di sapore sovietico come una vecchia fotografia di Fischer e Spasskij davanti alla scacchiera. Il 14 maggio, a sorpresa, la federazione aveva appoggiato la candidatura di Karpov. Dvorkovich non ha accettato la decisione, affermando che alla seduta non c’era il quorum necessario, e che sul voto prevaleva la propria raccomandazione, a favore di Iljumzhinov naturalmente. Finché ieri gli uffici della federazione sono stati chiusi, i funzionari cacciati via, i conti bancari congelati. Scacco matto?
Per completare il quadro, bisogna fare un passo indietro. Anzi, due. Il 26 aprile Iljumzhinov era ospite del talk-show di Vladimir Pozner. Una vecchia volpe del giornalismo russo, figlio di una spia, cresciuto in America. Indimenticabile la sua espressione mentre l’ospite si è messo a raccontare di una sera di tanti anni fa. Il 18 settembre 1997, Iljumzhinov si stava appisolando sul divano quando dalla finestra degli omini verdi in scafandri gialli gli hanno fatto cenno di seguirlo sulla loro astronave. «Ho chiesto perché non si fanno vedere in tv per rivelarsi agli umani - ha raccontato tranquillo il calmucco - hanno risposto che non sono ancora pronti».
Qualche giorno dopo Andrej Lebedev, deputato del partito di Zhirinovskij, ha mandato una lettera a Medvedev, preoccupato per la possibilità che Iljumzhinov avesse rivelato agli alieni segreti di stato. Forse la chiave della storia è proprio qui. Il presidente calmucco ha avuto contatti con agenti di qualche potenza straniera, devono aver pensato al Cremlino. Meglio tenerselo buono.