EMILIANO GUANELLA, La Stampa 25/5/2010, pagina 12, 25 maggio 2010
BUENOS AIRES DUE SECOLI VISSUTI PERICOLOSAMENTE (2 ARTICOLI)
Duecento anni sulle spalle e si sentono davvero. L’Argentina festeggia oggi la prima dichiarazione di indipendenza dalla Corona Spagnola, del 25 maggio del 1810, quando un gruppo di aristocratici locali approfittò dell’invasione napoleonica della Spagna per tagliare i ponti con i Borboni.
I festeggiamenti ufficiali, in un clima che è davvero difficile definire di unità nazionale, organizzati in pompa magna dal presidente Cristina Fernandez de Kirchner, sono stati snobbati dai governatori e politici dell’opposizione. Allo stesso tempo, la Fernandez ha disertato la riapertura ufficiale del glorioso Teatro Colon, perché a fare gli onori di casa è il sindaco di Buenos Aires e leader del centrodestra Maurizio Macri. Si va verso la grande battaglia delle presidenziali del 2011, quando l’ex presidente e attuale «primo consorte» Nestor Kirchner cercherà di tornare in sella, dopo una staffetta con la moglie. Un clima che gli analisti definiscono di pre-crisi, leggendo fra le righe delle statistiche ufficiali, anche sul versante economico. Nonostante per il 2010 si preveda una crescita del Pil intorno al 6-7%, le note dolenti vengono sul fronte dell’inflazione galoppante, della crescente disoccupazione e della difficoltà riscontrata dal governo nel tornare, dopo la débâcle del 2001, sui mercati finanziari internazionali.
L’ultima offerta sui tango-bonds in default, molti dei quali ancora in mano a risparmiatori italiani, sta andando peggio del previsto. La svalutazione della moneta brasiliana, il real, non può che indebolire il già fragile sistema delle esportazioni argentine di fronte al maggior concorrente su scala regionale. Cristina Fernandez, eletta tre anni fa sull’onda della popolarità del marito, non ha saputo conquistare la simpatia degli argentini, a cui sembra non piacere lo stile da scontro perenne.
La «presidenta», sabato scorso, ha dato forfait senza avvisare alla parata ufficiale organizzata per festeggiare il Bicentenario. «Emerge chiaramente - ha scritto Eduardo Van der Koy sul quotidiano Clarin, schierato contro il governo - un’incapacità profonda nel creare spazi di dialogo». Uno stile che richiama la tradizione peronista, ma che trova oppositori anche dentro il partito, come Eduardo Duhalde, nemico giurato, che sta scaldando i muscoli per il 2011.
Per celebrare il Bicentenario il governo ha messo in moto un’operazione mediatica improntata fortemente sul patriottismo. Uno spot trasmesso a tamburo battente mostra una serie di argentini famosi in tutto il mondo, dai padri della patria San Martin e Belgrano ai premi Nobel Leloir e Millstein, da Borges al cardiochirurgo René Favaloro, da Ernesto Che Guevara alla compianta Mercedes Sosa. «Siamo stati capaci - recita la voce fuori campo - siamo ancora capaci di fare grande cose». La stampa locale ha tracciato invece la radiografia dei pregi e difetti nazionali: l’allegria, l’emotività, il valore dell’amicizia contro l’improvvisazione, la superbia, lo scarso rispetto per le regole.
sceso in campo anche uno dei simboli incontrastati del Paese, Diego Armando Maradona, allenatore della nazionale, che ha accettato di giocare un’amichevole in casa contro il Canada. Tra le varie attività in programma in questi giorni anche una sfilata delle differenti collettività di emigrati che hanno formato il Paese. I gruppi più numerosi sono stati quelli dei Paesi vicini come Bolivia, Uruguay e Paraguay assieme al settore dei discendenti di spagnoli e di italiani, di gran lunga i più applauditi. Un commentatore televisivo ha ricordato allora una famosa frase di Borges: «A volte - diceva il grande scrittore - sento di non poter dire di essere davvero argentino perché nelle mie vene non scorre nemmeno una goccia di sangue italiano».
EMILIANO GUANELLA
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Clicca sull immagine per ingrandirla Uno dei primi italiani ad arrivare sul Rio della Plata, anche se oggi in pochi se lo ricordano, è Virginio Bianchi, esule politico genovese, che sbarca a metà dell’Ottocento portandosi appresso una bandiera italiana issata durante le Cinque Giornate di Milano. uno dei primi tricolori al mondo, conservato nella sede centrale dell’Unione e Benevolenza, associazione di mutuo soccorso che Bianchi contribuisce a fondare.
Buenos Aires è l’«Altra America», alternativa valida agli Stati Uniti, che nel frattempo irrigidiscono le norme immigratorie. L’Argentina, al contrario, spalanca le sue porte. La «Conquista del deserto», la campagna militare verso la Pampa e l’immenso Sud patagonico, spazza via gli indios e scopre un territorio enorme, terre fertili. l’epoca dei pionieri. Nei conventillos di Buenos Aires si mischiano i destini di braccianti calabresi, contadini della Galizia o anarchici baschi, prostitute francesi. qui che nasce il tango, pensiero triste che si balla. qui che nel 1905 cinque ragazzi «tanos», nomignolo usato ancora oggi, decidono di fondare la squadra di calcio del Boca Juniors. Per non litigare sui colori della maglietta decidono che saranno quelli della prima barca che entrerà in porto: arriva un mercantile svedese, il Boca sarà giallo e blu.
Il flusso migratorio dal 1869 al 1914 è impressionante. Più di cinque milioni di persone, di cui oltre due milioni sono italiani. Sparsi in tutto il Paese, dalla capitale alle pianure di Cordoba, con colonie di piemontesi dove ancora oggi si fa la bagna càuda, Santa Fe, Rosario, Mendoza. Non c’è città senza la sua associazione di italiani o le feste patronali, ma non nascono Little Italy, come succede negli Stati Uniti, per una semplice ragione; gli italiani, in realtà, sono ovunque. Si mettono in politica, dagli anarchici di Severino di Giovanni, ai socialisti della Boca, fino alle masse dei «descamisados» di Juan Domingo Perón. Organizzano anche un campionato di calcio parallelo a quello ufficiale, con il Torino, il Genoa, l’Inter ma il governo lo chiude dando un posto in serie A allo «Sportivo italiano», maglia azzurra e scudo tricolore, che esiste ancora oggi.
Le relazioni fra Roma e Buenos Aires conoscono momenti altalenanti. Perón è allievo di Mussolini e dal fascismo eredita le corporazioni, l’assistenzialismo guidato dalla popolarissima moglie Evita Duarte. Di origini italiane sarà uno dei presidenti più progressisti del Paese, Arturo Frondizi ma anche molti dei gerarchi del regime, da Videla a Massera a Bignone. Durante l’ultima dittatura la loggia P2 è presente e ben installata nel Paese. Molti desaparecidos sono di origini italiane: per questo a Roma si è tenuto recentemente uno dei processi esemplari contro i militari, con diverse condanne in contumacia.
La crisi economica del 2001 fa crescere le code ai consolati, ci si inventa persino un sorteggio per consegnare i turni ed evitare scene da assalto alla diligenza. Sono seicentomila gli italiani iscritti nelle anagrafi (e con diritto di voto) ma in milioni possono aspirare alla cittadinanza. Figli, nipoti e bisnipoti in cerca dell’agognato passaporto comunitario, lo stesso che permette a molti calciatori di ottimo livello di giocare da noi, ultimo fra tutti Diego Milito, nonni calabresi.
La questione dei tango bonds, i titoli in default comprati da molti risparmiatori italiani, raffredda le relazioni fra il secondo governo di Berlusconi e quello di Nestor Kirchner. Ultimo screzio, la decisione del sottosegretario al commercio Guillermo Moreno di proibire l’importazione di prodotti come la pasta italiana o l’olio extravergine, con un discreto mercato fra i nostri emigrati. Gli stessi che, come cantava Ivano Fossati, camminano con quella espressione radiofonica di chi sa che la distanza atlantica è grande e la memoria cattiva e vicina.