Francesca Angeli, GIORDANO BRUNO GUERRI, il Giornale 25/5/2010, pagina 9, 25 maggio 2010
SCUOLA A OTTOBRE (2 ARTICOLI)
Rinviare l’inizio dell’anno scolastico ai primi di ottobre? Si può fare, dice il ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini, anche perché aiuterebbe il turismo. E scatena il putiferio.
Al momento di concreto non c’è quasi niente. Soltanto una proposta di legge di un articolo firmata dal senatore del Pdl, Giorgio Rosario Costa, che giace da due anni in commissione Istruzione a Palazzo Madama e non è stata neppure calendarizzata. Ma dato che il ministro si mostra favorevole all’ipotesi è ovvio che scattino le reazioni, in gran parte per la verità fortemente critiche anche all’interno della maggioranza. Non stupisce che la proposta venga bocciata subito dalla Lega. Il partito di Umberto Bossi che proprio in queste settimane fa pressione per allargare il federalismo anche al sistema scolastico non può accettare un ritorno al centralismo per quanto riguarda il calendario delle lezioni che è già di competenza delle Regioni.
Eppure le parole della Gelmini seguite da quelle del ministro del Turismo, Michela Vittoria Brambilla, lasciano intravedere una volontà politica in questa direzione. «Si può discutere della proposta di un rinvio dell’inizio dell’anno scolastico a ottobre - dice la Gelmini -. Sono molto aperta su questo tema perché effettivamente il nostro Paese vive di turismo e oggi le vacanze per le famiglie non sono più concentrate a luglio e agosto». Secondo il ministro dell’Istruzione «a settembre si possono avere migliori opportunità sul piano economico e uno slittamento dell’inizio dell’anno scolastico potrebbe aiutare le famiglie a organizzare meglio il periodo delle vacanze e dare anche un aiuto al turismo». Comunque la Gelmini si rimette alle decisioni del Parlamento. Pure la Brambilla si mostra convinta del fatto che il rinvio dell’inizio delle lezioni «avrebbe indubbiamente conseguenze positive sul settore, in particolare sul prodotto balneare, che rappresenta la prima eccellenza per il nostro Paese e che ha fortemente bisogno di sostegno». La Brambilla rileva che occorre tenere conto «delle esigenze di milioni di famiglie con genitori che lavorano».
Ed è proprio questa una delle preoccupazioni della Lega che boccia senza appello l’idea del rinvio. La senatrice della Lega, Irene Aderenti, ricorda prima di tutto che «la direttiva europea prevede 200 giorni e va rispettata» e che se si estende la proposta a tutto il territorio nazionale «si mettono in difficoltà le famiglie e i lavoratori dipendenti perché questi alla fine di agosto, in maggioranza, iniziano il lavoro». Oltretutto, conclude «le regioni formulano già il calendario regionale delle lezioni ed è meglio che continuino a farlo».
La proposta non piace neppure agli addetti ai lavori. Giorgio Rembado, presidente dell’Associazione nazionale presidi (Anp), giudica l’ipotesi del rinvio impraticabile e antistorica. «Il nodo dei 200 giorni di lezione minimi, indispensabili per rendere legale l’anno scolastico, si potrebbe cambiare solo attraverso una nuova legge - dice Rembado - e già oggi la maggior parte delle scuole non riesce a portare a termine il tetto minimo dei 200 giorni».
L’opposizione coglie l’occasione per esercitarsi al tiro al bersaglio contro la Gelmini. «Lo slittamento dell’inizio dell’anno scolastico è un altro modo per far cassa?», si chiede la capogruppo del Pd nella commissione Cultura della Camera, Manuela Ghizzoni. L’Italia dei valori per farsi notare come al solito la spara più grossa. «Il ministro Gelmini è come Maria Antonietta che al popolo affamato diceva di offrire brioches», dice Fabio Evangelisti, vicepresidente del gruppo Idv alla Camera.
Sono contrarie però anche le famiglie. Il rinvio a ottobre delle lezioni sarebbe una misura che «danneggia gli studenti» e anche i genitori, «che a settembre devono tornare al lavoro», dice Movimento italiano genitori, Moige.
Francesca Angeli
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A scuola in ottobre? Ma siamo matti? La mia generazione, insieme a tante altre, aveva proprio quella data fatidica e immutabile: il mitico 1° ottobre, tutti in grembiule, cartella, mamma e via. Poi, il buon senso didattico prevalse: a scuola si va per studiare, e più si studia meglio è. chiaro che si studia di più, quanti più giorni di scuola ci sono. Ora, nella proposta appena abbozzata, vedo che non si parla affatto di compensare riducendo le vacanze pasqualine e nataline, per non dire di quelle estive. Figurarsi. La proposta, infatti, non ha origine dal bene degli studi e degli studenti, bensì tiene conto soprattutto (o esclusivamente) dell’economia: meno scuola, più turismo, più denaro in circolazione. Nessuno nega che il turismo sia importante. Né tanto meno che abbiamo bisogno di fare cassa. Però, proprio a danno dello studio? O non si dice tutti i giorni che la formazione delle nuove generazioni è la speranza – e sarà la salvezza – del Paese? Che la scuola deve essere resa migliore, più formativa (quindi anche più dura), più articolata nello sterminato campo dello scibile? Invece no. Ecco che, all’improvviso, si baratta tutto ciò per un po’ di denaro, per la gioia (rispettabilissima) di albergatori, ristoratori, cincischiatori. Se è così, la previsione è facile: nei prossimi decenni avremo meno studenti, meno studiosi, e molti più albergatori, ristoratori e cincischiatori. Ubi maior.
Quanto allo sdegno didattico, politico e sociale posso fermarmi qui, anche se ci sarebbero molte altre tristi considerazioni da aggiungere. Passo piuttosto a un’altra considerazione, che sembra terra-terra e invece è alta-alta. Cosa sarà di quei genitori – e di quei bambini/ragazzi – che non possono permettersi né vacanze trimestrali né costosi accudimenti mercenari? Purtroppo la scuola è anche un comodo, quasi sicuro posteggio di minorenni per le famiglie, di gran lunga le più numerose, in cui i genitori lavorano. Avere la garanzia che il figlio va a scuola - nei casi peggiori fino alle 13, nei migliori fino alle 16 - significa poter lavorare (e guadagnare, produrre denaro) in pace, serenamente, per il bene della famiglia e di tutta la società. brutto vedere la scuola anche da questa prospettiva, ma tale è la realtà. Che facciamo, per spalmare e dilatare il turismo spalmiamo i figli fra baby sitter (non sempre affidabili e spesso costosissime), nonne spesso troppo giovani o troppo vecchie, zie indisponibili? Oppure lasciamo che le-speranze-del-nostro-futuro dilatino i loro occhioni fino alla demenza precoce davanti a un televisore divenuto di colpo mamma, padre, scuola, società e istruzione? Oppure: per creare più ricchezza, quante mamme saranno costrette a lasciare o a ridurre il lavoro, quanti padri si negheranno agli straordinari e al secondo lavoretto che aggiusta i bilanci? Dove sta l’arricchimento? Nel creare nuovi posti di lavoro (a chi non ha figli) grazie a quelli lasciati liberi da chi ha figli? Già non abbiamo una politica efficace di sostegno alle famiglie. Ora si rischia di punirle al motto «se fanno bambini e non se li possono permettere, si arrangino».
Mi sembra come la storia del tipo che, per fare dispetto alla moglie, si tagliò qualcosa. Eppure sono uno di quelli così fortunati che forse potrebbero – e ne sarei felice - passare tutto settembre guancia a guancia con il mio Nicola Giordano. Invece: che vada a scuola, il pupetto. Magari il 1° settembre. (Ti accompagna il babbo, ciccillo mio, e poi torna a lavorare.)
GIORDANO BRUNO GUERRI