Gianluigi Nuzzi, Libero 25/5/2010, 25 maggio 2010
CESARE BATTISTI
In ognuno di loro deve o doveva esserci un Cesare Battisti. Altrimenti, non spieghi ”l’apologia della ribellione”, il disconoscere ogni tavola del diritto degli altri e soprattutto quell’asfissiante rete di solidarietà e disinformazione tra intellettuali, registi, politici e scrittori che da Roma a Parigi e Rio trasforma agli occhi del mondo Battisti, il pluriomicida dei Proletari armati per il comunismo, da killer avitti ma sacrificale dell’Italia borghese. su questa traccia che Giuseppe Cruciani, con lo stile irriverente della sua ”Zanzara” di Radio24, apre finalmente la botola sullo scempio ai danni della storia consumatosi per consentire a Battisti di sottrarsi all’ergastolo col suo ultimo libro Gli amici del Terrorista. Chi protegge Cesare Battisti? (Sperling&Kupfer, pp. 256, euro 17, in uscita oggi).
Un circo di mistificazione, una lobby trasversale di nostalgici, rancorosi, lunari comunisti, ignoranti ma influenti che sono riusciti a piegare il dovere alla verità di tutti noi, al diritto di Battisti a essere semplicemente sé stesso: un omicida in fuga. Chiusi nella gabbia del reducismo, dell’autocertificazione frettolosa di aver vissuto la primavera della vita nel giusto, accecati dalla dietrologia del doppio Stato, ecco che la rete copre di clamorose balle la verità emersa da 9 processi, dal lavoro di 70 giudici. Battisti è condannato definitivamente per quattro omicidi, tre ferimenti e una serie infinita di rapine a uffici postali, banche, ville.
Cruciani risale con un disagio intimo il fiume dei fatti, trasformato in palude dagli amici di Battisti per mimetizzare il vero con il verosimile e trasformare il falso in credibile. Individua una a una le grandi bugie costruite sul terrorista. Le smonta con la forza degli atti giudiziari. Si dice che Battista è vittima di una cospirazione o di un macroscopico errore giudiziario indicando che è stato condannato per due omicidi avvenuti a mezz’ora di distanza l’uno dall’altro. Uno a Milano, l’altro in provincia di Venezia. In realtà «questa circostanza non si ritrova in nessun atto delle inchieste». Invece è vero che Battisti è stato condannato per il concorso morale nell’omicidio del gioielliere Pierluigi Torregiani e per aver fatto parte del commando che ammazzò il macellaio Lino Sabbadin avvenuti nel febbraio del 1979. Entrambi avevano reagito a delle rapine con le armi e i terroristi pianificarono la folle doppia esecuzione ritenendoli «agenti del capitalismo». Un macellaio tra stufati, fese e trippa, 007 del capitalismo sul territorio. Dai processi emerge invece che Battisti «è sempre presente in quasi tutte le azioni del Pac, almeno quelle più importanti, rapine, gambizzazioni, omicidi». Era tra quei quattro o cinque che pianificavano le azioni più clamorose, un unico volantino rivendicò entrambi gli omicidi, testimoni e pentiti lo indicano con un ruolo centrale nella doppia esecuzione. In azione in Veneto, promotore a Milano.
Le accuse di Barbetta
Altro alibi è la tesi che le accuse arrivino da un solo pentito. Preambolo per ritenerle false, frutto di calunnia. In realtà a puntare l’indice non c’è solo Pietro Mutti, operaio Alfa e fondatore dei Pac. Sull’omicidio del macellaio Sabbadin, ad esempio, pesano le parole anche di Sante Fatone e Diego Giacomini con chiamate in correità dirette e non de relato come sostiene chi lo difende. Per non dimenticare l’omicidio di Antonio Santoro, capo delle guardie carcerarie di Udine. Qui incidono anche le accuse di Maria Cecilia Barbetta, terrorista molto vicina a Battisti: «Nel parlarmi dell’effetto che faceva uccidere una persona (peraltro con la mia più grande meraviglia perché per la prima volta lo sentivo parlare con esaltazione di fronte a fatti così gravi) fece riferimento all’omicidio Santoro e indicò lui stesso come uno degli autori».
A sinistra c’è anche chi si spertica sostenendo che i processi sono stati celebrati in assenza di Battisti senza possibilità di difesa. Cruciani riprende l’illuminante sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, già nel 2006 aveva azzerato questa tesi: «Battisti era perfettamente informato delle accuse contro di lui e anche dello svolgimento dei processi davanti alla giustizia italiana, nonostante la fuga. (...). Ha deliberatamente scelto di non presentarsi dopo l’evasione del 1981. (...). stato assistito da alcuni avvocati che lui stesso ha scelto durante i procedimenti giudiziari». Che poi non fossero processi sommari lo racconta la storia di Marisa Spina che sempre il pentito Mutti indicò far parte del commando che ammazzò Santoro. Il processo è stato celebrato con lei latitante ma la corte l’ha assolta non trovando riscontri alle parole del collaboratore.
Insomma, fa sorridere chi sostiene, come il manifesto di Carmilla, che Battisti è uno «scrittore capace di affrontare di petto il passato». Al contrario, fugge. Così nel libro si intrecciano la ricostruzione della selvaggia guerriglia del gruppo eversivo di Battisti negli anni ”70 con le operazioni di inquinamento avviate, appunto, dagli amici del Terrorista e ancora in corso. Un’unica storia iniziata trent’anni fa, forse ancor prima con la capacità dell’autore di riposizionare i piombi di questa brutta pagina, del profilo di Battisti che da «malavitosetto romano dall’intelligenza vivace», come lo liquidò un altro personaggio di spicco dell’eversione quale Arrigo Cavallina, entrò nei Pac forse per riciclarsi come hanno sostenuto a più riprese i magistrati. Confondendo sempre la sua figura come quando da ragazzo si finse demente per evitare di fare il militare in una città che non amava. Battisti non è un eroe romantico, ma un delinquente dall’impressionante escalation criminale.
Tutti capi e gregari
In pochi anni passa dalle rapine alle esecuzioni. Si infila nelle grotte di Avesa vicino a Venezia, prova le armi per colpire senza errore. Pianifica rapine alle poste. Individua con i suoi compari improbabili obiettivi di lotte politiche. Tra il giugno del 1978 e l’aprile successivo, nemmeno un anno, quattro omicidi, tre ferimenti, un sequestro. Sangue che lo consolida in quel ruolo di «militante carismatico e ascoltato» nei Pac, 40 persone tra Lombardia e Veneto che si autofinanzia con una ventina di rapine tra inizio 1978 e l’estate del 79. Una «struttura orizzontale ove
ognuno è capo e gregario». Un gruppo terroristico grezzo nella politica e impreciso negli omicidi. Come nell’aprile del 1979 quando muore l’agente Andrea Campagna. Battisti lo uccide perché il compagno Giuseppe Memeo, detto il terun, lo ritiene responsabile delle retate compiute in seguito all’omicidio Torregiani: «In realtà Campagna faceva semplicemente l’autista, ma ebbe la sfortuna di essere ripreso dalla tv il giorno dopo gli arresti di alcuni membri del Collettivo di Zona. Bazzecole per i Pac è uno sbirro che presidia il territorio e per questo va eliminato». Né si pensi ai combattenti di una guerra civile, permeati di ideologia. Dopo aver ammazzato la guardia carceraria Santoro i terroristi andarono in vacanza con l’ombrellone. «Le giornate si svolgevano», ricorda la Barbetta, «come una normalissima vacanza di mare sulla spiaggia, sugli scogli. Ricordo che allora Arrigo Cavallina, in modo particolare si lamentava del fatto che fosse una vacanza troppo rilassata e basta, che nessuno leggesse, che nessuno si istruisse, ponesse o discutesse qualche problema».
Oggi la verità processuale è sbriciolata in un’operazione che pare pianificata. Nel febbraio del 2004 vengono raccolte 1.500 firme per un appello a sostegno di Cesare Battisti, figura fino allora sconosciuta al grande pubblico e da poco arrestato a Parigi dopo una latitanza iniziata nel 1981. A sostegno troviamo il 25enne studente di filosofia Roberto Saviano che poi chiederà di ritirare la firma: visto che «era finita lì tra le infinite richieste che come catene di Sant’Antonio arrivano nelle caselle email da amici e conoscenti a perorare le più diverse cause. Neanche ero nato quando i Pac venivano fondati e andavano in giro ad ammazzare».
Quando però Cruciani scambia con lui delle email per il libro e gli chiede se è per l’estradizione o meno, Saviano diventa improvvisamente democristiano: «La vicenda Battisti ha molte contraddizioni processuali e indubbie ambiguità. Va risolta attraverso il diritto». Contraddizioni? Ambiguità? In tanti lo difendono, Cruciani li indica tutti per nome e cognome. Ne recupera la storia, le posizioni, dal produttore Marco Müller al premio Strega Tiziano Scarpa, dal giornalista Sandro Provvisionato, per il quale si sta consumando una vendetta, al verde Paolo Cento, che ammette di utilizzare la vicenda Battisti a pretesto per discutere di amnistia. Eh sì, perché in fondo il progetto è questo. Normalizzare la storia di Battisti, rilanciare la tesi che è stata una guerra civile, equiparando Stato ed eversione per poi introdurre una bella amnistia, unica via per chiudere con quegli anni.
Applausi per l’autore
La storia dell’intellighenzia di sinistra viene servita in salse multi gusto. C’è Giovanni Russo Spena che indica Battisti come innocuo «eversore attempato», Graziella Mascia lo plaude come scrittore, Rossana Rossanda lo vuole libero perché in Francia ha condotto una vita esemplare e quindi non c’è più necessità della pena. Piero Sansonetti denuncia il «caso clamoroso con negazione del diritto» con un’evidente contraddizione visto che fu Battisti a «scappare dal carcere con il mitra in mano» come gli ricorda Cruciani.
Ecco Gianni Minà che plaude il Brasile dal quale l’omicida riceve lo status di rifugiato politico, mentre lo scrittore Massimo Carlotto intravede scenari cupi: «Caso Battisti punta diamante del progetto di criminalizzazione preventiva dei movimenti. Un clima pesante, da regime». La storia farebbe solo sorridere di amarezza se questo vento non coinvolgesse anche la Francia e, a cascata, il Brasile. Nomi di pregio scendono in campo: il filosofo Bernard-Henri Lévy, Fred Vargas, Daniel Pennac che lo va a trovare in carcere, Valerio Evangelisti, autore di fantasy, che lo idealizza: «Adesso forse è là, in qualche Paese remoto, che scappa come un furetto, spaventato e astuto come sempre». Con Giuseppe Genna si raggiunge l’apoteosi: la fuga in Brasile? «Catapulta l’uomo nella leggenda e aggiunge un capitolo di pura letteratura civile ed epica alla nostra storia nazionale».