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 2010  maggio 24 Lunedì calendario

«NOI, EX RAGAZZI DELLA III C UN FUTURO OLTRE IL POSTO FISSO»

Se la foto di classe della III C del liceo classico Guglielmotti di Civitavecchia, fosse stata scattata ora, dieci anni dopo la maturità del 2000, conterebbe storie di ventottenni combattivi e non arresi alla retorica del declino. Racconterebbe vicende di espatriati, di pendolari, di post-ragazzi che non hanno il posto fisso, neppure lo immaginano e spesso non lo vogliono più, di giovani che talvolta vivono con i genitori ma non sono affatto ”bamboccioni” o convivono con il proprio partner ma non stanno in una situazione di stabilità economica che li spinge a mettere su famiglia e a fare figli. Erika Civero, laureata in grafologia, è finita in Argentina dove si occupa di turismo. Daniele Lucidi ha studiato il latino e il greco e monta infissi a Civitavecchia con l’impresa del padre. Michela Mellini la incontri nel treno dei pendolari, mentre va a Roma, dove fa la dentista e studia le bocche dei bambini. Valerio Stroppa fa l’ufficiale medico ed ha partecipato alla missione in Afghanistan. Federico Battilocchio e Maila Gatti erano compagni di banco in III C e adesso lui fa l’attore di professione e lei fa l’attrice per hobby e per lavoro si occupa dei volti malati e deturpati dei bambini del mondo. E poi, fra questi «Compagni di scuola» che sarebbero potuti stare - fatte le differenze generazionali - nella canzone di Antonello Venditti o nel film di Carlo Verdone, ecco Matteo Bianchini (agente immobiliare), Manuela Cerasa (commessa), Martina Zucconi (infermiera), Claudio Annibali (avvocato)....
Quelli della III C del 2000 hanno vite da non garantiti, e cercano di lottare per non avere un futuro dietro alle spalle. Rispetto a quando stavano al liceo Guglielmotti, sono cambiati loro, è cambiata la scuola, è cambista l’Italia. Ma c’è un tratto che unisce la loro generazione con quella dei ragazzi che adesso ci accingono a sostenere l’esame di maturità. I diciottenni di ieri e i diciottenni di oggi, ognuno a modo proprio, si trovano a misurarsi - in un corpo a corpo talvolta cruento e spesso vincente a dispetto di catastrofismi e facili sociologismi - con i medesimi problemi di un Paese che si trasforma ma non rinuncia a certi caratteri nazionali che lo storico Ferdinand Braudel definirebbe di «lunga durata». Ovvero il lavoro precario, il familismo amorale, la cultura del piagnisteo e quella della raccomandazione, il deficit di meritocrazia, l’”ascensore sociale” bloccato, la fuga all’estero per affermare i propri talenti, la svalutazione del titolo di studio a causa di una scuola e di un’università bisognose di un colpo di reni per rimettere in carreggiata il futuro dei giovani e di un intero Paese. Ed eccoli, quelli della III C del 2000, le cui vicende potrebbero valere come un’iniezione di fiducia per quelli che si sentono addosso quel misto di speranze e di horror vacui che è tipico della fase di passaggio dalla scuola alla vita adulta.

Valerio Stroppa



«L’Afghanistan m’è servito per capire l’Italia»

«Ora sono un ufficiale medico al policlinico militare del Celio. Dopo la maturità con la III C a Civitavecchia, sono andato all’accademia a Modena. Mi sono laureato, sono tornato nella mia città, sto facendo la specializzazione in ortopedia e intanto, nel 2008, sono stato in Afghanistan nel nostro contingente di pace. Laggiù, ne ho viste di tutti i colori». E viene da immaginarselo l’ufficiale Stroppa, cresciuto leggendo Euripide e Saffo e atterrato in quel Paese fatto di sabbia e di neve, con la morte che può incombere da un momento all’altro, e non sai da dove può arrivare e se ha preso di mira te o il tuo amico e compagno di brigata. «Quando stavo lì - racconta Valerio - rimpiangevo gli anni della scuola, certo, ma non potevo permettermi la spensieratezza di allora. Però, in Afghanistan, ho visto una bella Italia». L’Italia che Valerio e i suoi compagni di classe vivono qui e ora, è l’Italia che vediamo tutti. Quelli della ex III C sanno che la crisi economica c’è, ci fanno i conti tutti i giorni, la pagano sotto forma di insicurezza. «Ma non c’è crisi che debba scoraggiarti», osserva Stroppa. «Bisogna accettare i sacrifici, e andare avanti. Se una persona vale, riesce comunque ad emergere. Magari faticando di più rispetto a chi ha le conoscenze giuste e possibilità di essere raccomandati». Valerio è figlio di un impiegato e di una insegnante di italiano. «Io non credo - dice - che il cosiddetto ”ascensore sociale” sia bloccato. Nella foresta pietrificata che è l’Italia, purtroppo un Paese non ancora ”liquido” se vogliamo usare l’espressione del filosofo Bauman, possibilità di movimento esistono. Bisogna sforzarsi di cercarle. E sia pure con grande fatica, ci si può riuscire».

Maila Gatti



«Felice del mio contratto annuale»
Parla l’arabo. Fa una vita da pendolare fra Civitavecchia e Roma. Ha comparato, insieme al fidanzato, una casa per la quale sta pagando il mutuo. Ma non hanno i soldi per la ristrutturazione e ancora non la abitano. «Vivo per adesso con i genitori, e sono quindi una ”bambocciona proprietaria”», sorride Maila. E’ una delle ragazze della ex III C, che è stata una classe di figli della media e piccola borghesia. «Le rendite di posizione, di tipo familiare o professionale, a noi non ci riguardano», narra. E continua: «Io mi sono laureata in lingue orientali. Adesso ho un contratto annuale con Operation Smile». E’ un’organizzazione americana di medici volontari che operano bambini nati con malformazioni al volto. Maila coordina i progetti e organizza le missioni. «A un certo punto, sono andata a fare un colloquio per entrare in una compagnia di assicurazione. Mi sono girata verso la ragazza che avrebbe fatto il colloquio dopo di me. E le ho detto: ”Ma io, che ho studiato arabo e mi sono laureata, che cosa ci faccio qui?”. Lei mi ha risposto: ”Ti piacerebbe lavorare per una organizzazione umanitaria? Ti lascio il mio posto...”. E così è stato». E ora? «Questo direi ai ragazzi che stanno per fare la maturità: soltanto la passione può far superare l’angoscia del precariato».

Francesco Setaccioli



«Non credere
al catastrofismo»

«Ho preso al laurea breve in fisioterapia e adesso faccio l’osteopata». E con il liceo classico che c’azzecca? «Ho cominciato a scoprire il corpo umano, grazie al latino e soprattutto al greco. A scuola ho scoperto grandi maestri: il professor Ruiz, o la Centomini di matematica». Di insegnanti-mito, del resto, il liceo Guglielmotti ne può vantare non pochi: a cominciare da Maria Boncompagni, che a lungo è stata una delle grandi anime di questa comunità. Riecco Francesco: «Ho uno studio a Civitavecchia e un altro ad Aprilia, dove sono l’osteopata della squadra cittadina di pallavolo femminile, che sta in Serie A». Guadagni bene? «Non mi posso lamentare. Ma nel lavoro, vedo che il merito non viene sempre premiato. L’anti-meritocrazia e la raccomandazione sono regole vigenti, ma aggirabili. Basta avere più tigna di loro. Ho imparato sulla mia pelle che non ci sono crisi o recessioni economiche che possano abbattere la forza di un individuo che sa connettersi con gli altri».

Marco Cirilli



«Non basta l’aiuto
della famiglia»

Vive ancora con la famiglia, ma presto andrà via. Marco ha un posto fisso. Ed è uno dei pochi ad averlo. Fa assicuratore. S’era iscritto a Farmacia (sua madre è farmacista), ma poi ha imboccato un’altra strada. «Tramite amici di famiglia, ho trovato un’occasione per fare l’assicuratore». Qualche anno fa, Marco ha pensato di andarsene all’estero. «Ma poi mi sono detto: se parti, non torni. Perchè in Italia c’è poco che ti possa attrarre». A respingerti, c’è la cultura della raccomandazione? «C’è un senso generale d’immobilismo».

Maria Francesca Staiano



«Il mio futuro? Più facile all’estero che in Italia»
Nella ex III C, Francesca è stata una dei due - l’altro fu Valerio Stroppa - ad ottenere alla maturità cento centesimi. Ora sta in Cina. Per sempre? «Per un po’», risponde da Pechino. S’è laureata in diritto internazionale a Roma Tre. Poi il master e il dottorato. Quando il suo fidanzato ha avuto un contratto da docente all’università di Pechino, Maria Francesca ha detto: «Vengo con te». «Sto in Cina - racconta - e mi sembra di essere al centro del mondo. Studio il cinese. Cerco di aprirmi il maggior numero di strade possibili. In Cina, una persona dotata e brava viene corteggiata professionalmente. In Italia, questo non accade. Raccomandazioni, familismo, cordate accademiche che si fanno la guerra, e un giovane competente deve accontentarsi delle briciole. Il mio futuro lo vedo più facile altrove, piuttosto che in Italia». Consigli a chi fa la maturità? «Ragionare globalmente».
Federico Battilocchio



«Euripide m’ha
indicato la via»
Alla loro età, ventinove anni, Roberto Baggio aveva vinto il Pallone d’oro, Leopardi aveva scritto gran parte delle sue poesie e Giulio Cesare aveva fatto crocifiggere i pirati che lo avevano rapito. Ma la passione del ventinovenne Federico Battilocchio - che ora fa l’attore - è Euripide. «Preparavo una tesina con la prof. di greco - racconta - la quale m’ha fatto conoscere e amare Euripide. E l’ho recitato subito, già a diciassette anni, a Civitavecchia. Facevo la parte goduriosa di Dioniso nelle ”Baccanti”. E’ stata la mia prima prova sul palcoscenico e lì ho capito che da grande avrei voluto fare l’attore». Ha studiato recitazione con Pino Quartullo. Ha debuttato con ”Gli innamorati” di Carlo Goldoni, il mio ruolo era quello del cuoco Ciuccianespole e entravo in scena soltanto per dire una battuta, anzi due: ”’Gnor sì... ”Gnor no....”». Federico ha partecipato a un film da co-protagonista, con Laura Chiatti in «Mai più come prima» di Giacomo Campiotti, lavorato nella serie «La squadra» e in qualche fiction, oltre al palcoscenico. Ti è andata bene? «Non lo so. Come molte persone, spesso mi vengono i dubbi e penso di smettere. Poi la passione vince su di me e vado avanti. Anche se le paghe sono minime, per ora». Infatti, oltre a studiare economia aziendale, Federico lavora anche in un parco nazionale del Lazio. «Al liceo Guglielmotti», spiega, «lessi ”Aut-Aut” di Kierkegaard. Il quale faceva tre esempi: quello del prete, quello dell’avvocato e quello dell’attore. La morale era: scegliere una via e perseguirla fino in fondo, con grande abnegazione. Lui diceva di non fare più cose contemporaneamente, ma in questo non ho potuto seguire il suo consiglio. Ho una tripla identità: attore, studente e impiegato». E ancora: «Il consiglio che darei ai ragazzi che fanno la maturità è questo: fate cose non perchè instradati dalla famiglia. Perchè, quando non c’è una convinzione profonda, alle prime difficoltà che la crisi vi pone mollate subito. La vera forza per fronteggiare e battere la crisi è il puntare sul proprio talento e sulla consapevolezza delle proprie possibilità. Adattarsi allo schema italiano per eccellenza - parcheggio all’università e famiglia che cerca di piazzati da qualche parte - può essere comodo, ma è nefasto. Ciò determina un abbrutimento personale che si riflette sulla società. Da noi, purtroppo, la scuola non ti instrada verso un percorso professionale. Ti dà, quando va bene ed è sempre più raro, una preparazione onnicomprensiva ma non mirata. L’università è anche peggio: una giungla di disorganizzazione, un’area di sosta pagata da papà (il mio è direttore di cantiere alla Terna) in attesa del nulla».
Quel nulla gli ex allievi della III C hanno cercato di riempirlo con qualcosa di solido, di semi-solido, di reale o di possibile. E la battaglia continua.
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