Armando Massarenti, Il Sole-24 Ore 23/5/2010; Arnaldo Benini, Il Sole-24 Ore 23/5/2010; Paolo Legrenzi, Il Sole-24 Ore 23/5/2010;, 23 maggio 2010
DECIDIAMO NOI O IL NOSTRO CERVELLO?
Commentando il romanzo Jacques il fatalista
e il suo padrone, Italo Calvino nel 1984 scriveva che «Diderot aveva intuito che è proprio dalle concezioni del mondo più rigidamente deterministe che si può trarre una carica propulsiva per la libertà individuale, come se volontà e libera scelta possano essere efficaci solo se aprono i loro varchi nella dura pietra della necessità». E aggiungeva che «questo era stato vero nelle religioni che più innalzavano il volere di Dio su quello dell’uomo, e sarà pure vero nei due secoli che seguiranno quello di Diderot e che vedranno nuove teorie tendenzialmente deterministe affermarsi, nella biologia,nell’economia e società,e nella psiche ». Tra i risultati recenti vi sono quelli da cui prende le mosse il volume curato da De Caro, Lavazza e Sartori Siamo davvero liberi?, che contiene una varietà di posizioni filosofiche sul libero arbitrio, riattualizzate alla luce delle neuroscienze, a partire dagli esperimenti di Benjamin Libet. «Il risultato controintuitivo, e secondo molti rivoluzionario, dei suoi esperimenti – scrivono i curatori ”emerge dalla comparazione del tempo soggettivo della decisione con quello neurale: si rileva infatti che il potenziale di prontezza motoria, che culmina nell’esecuzione del movimento, comincia nelle aree motorie prefrontali del cervello molto prima del momento in cui al soggetto sembra di aver preso la decisione».
Se pensiamo di vivere in un universo deterministico, in cui nulla è casuale e, conoscendo le leggi di natura, possiamo prevedere con precisione ogni evento futuro che ci riguarda, ha ancora senso dire che siamo moralmente liberi di scegliere e che, dunque, siamo responsabili delle nostre azioni? E ha senso il nostro biasimo morale verso i comportamenti che giudichiamo disdicevoli? E che dire se è tutto già scritto nei nostri neuroni, e se, come sembra dimostrare Libet, sono loro a decidere? Una bella risposta la si trova nel saggio di Adina L. Roskies, secondo la quale, anche qualora riuscissimo a stabilire se i processi decisionali sono deterministici oppure indeterministici, ciò alla fine risulterebbe irrilevante per la questione del libero arbitrio. In un esperimento condotto insieme a Shaun Nichols, ha dimostrato che, se si chiede di dare giudizi su libertà e responsabilità a dei soggetti sperimentali, questi tendono ad attribuirsela anche se gli si dice che il loro mondo, quello in cui vivono, è deterministico. Tendono invece a negare tale libertà e necessità se quel mondo, ugualmente deterministico, è descritto non come il loro, ma come un altro mondo, un mondo possibile frutto della fantasia. Proprio come Jacques nel romanzo di Diderot, che mostra di avere i piedi per terra assai più del suo padrone e, benché fatalista, tende a prendere lui l’iniziativa. Si ritaglia insomma una libertà possibile, sulla scia di Leibniz o Spinoza, in un mondo fatto di dure necessità.
Che è poi il mondo reale in cui viviamo noi, nel quale dunque ha senso porsi una serie di domande morali come quelle del convegno torinese «Secondo natura? Scienza, diritto e morale tra determinismo e libertà», che il 3 e 4 giugno vedrà confrontarsi cattolici, laici e protestanti, allo scopo di riflettere sulla possibile elaborazione di un nuovo quadro normativo in grado di rispondere ai problemi etici, giuridici e scientifici posti da innovazioni tecnologiche – dagli Ogm alla pillola RU486 – e da nuovi orientamenti sociali – dal testamento biologico ai matrimoni gay. Tutti temi per i quali è necessario sapere come stanno le cose, e partire dai fatti, se si vuole agire e deliberare da uomini liberi e responsabili. Armando Massarenti • SE LA LIBERT RESTA UN MISTERO - I
l dilemma circa la libertà dell’arbitrio non riguarda più solo religione e filosofia, ma anche le scienze naturalistiche. Gerhard Roth, neurobiologo di formazione filosofica noto per i suoi studi sui meccanismi della volontà, ha ripetuto poco fa che la libertà dell’arbitrio e la responsabilità sono illusioni tenaci e assurde. Nello stesso tempo uno dei maggiori scienziati cognitivi contemporanei, Wolf Singer, fisicalista senza compromessi, riprendendo l’ottocentesco
Ignorabimus di Emil du Bois-Reymond, ha riproposto il problema metodologico cruciale delle neuroscienze cognitive, già presente nelle riflessioni dei pionieri: come possano i meccanismi cerebrali della conoscenza capire sé stessi, dal momento che sono l’oggetto del loro stesso studio? Fin quando questa incertezza non sarà superata (posto che lo possa essere), su che cosa si basa la certezza di Roth e della maggioranza dei neuroscienziati? E di quelli che dissentono? Le neuroscienze forniscono un’enorme mole di dati, ma non spiegano che cosa sia l’autocoscienza e quindi come funzionino i meccanismi della volontà. Si citano ampiamente (anche nel libro di cui si parla qui) i lavori storici di Benjamin Libet e dei suoi allievi, che tante cose sembrano dimostrare nel senso di un determinismo assoluto (e quindi della volontà non libera), ma che non spiegano,loro come gli altri,che cosa ponga in movimento l’attività neuronale che porterà ad una decisione.
Nella raccolta, molto ben assortita, di saggi a cura di M. De Caro, A. Gavazza e G. Sartori Siamo davvero liberi? Le neuroscienze e il mistero del libero arbitrio su quest’eterno cruccio della mente umana, Daniel Wenger, in un contributo che riassume il suo libro The Illusion
of Conscious Will del 2002, avanza l’ipotesi che il processo mentale dell’esperienza di sentirsi liberi potrebbe essere diverso da quello che determina l’azione che ci illudiamo di scegliere in libertà. Già Hume diceva che la volontà è una sensazione.
Il fatto (sul quale insistette William James) che di regola ci si sente liberi nel momento delle scelte potrebbe quindi non es-sere la prova a favore della libertà dell’arbitrio.
Nel suo contributo Adina Roskies sostiene che «le tecniche neuro-scientifiche non forniscono né il livello di grana sufficientemente fine, né l’ampiezza di informazione necessaria per rispondere alla questione del determinismo per il dibattito sul libero arbitrio ». Chi condivide, pur nel riduzionismo assoluto, le riserve circa la possibilità dei meccanismi cognitivi del cervello di capire fino in fondo sé stessi, accetta questa opinione. Ma se non sulle neuroscienze, su che cosa altrimenti si crede di potersi basare per capir meglio i meccanismi della volontà? Nel suo contributo,il neurologo Filippo Tempia si chiede«se l’attività mentale cosciente svolga un ruolo causale nelle decisioni umane », come se la mente non fosse il prodotto del cervello.
Curioso che qui, come in studi analoghi, non si presti attenzione al condizionamento della memoria – inaffidabile per l’incostanza dei meccanismi che la producono, la conservano e di quelli che rimandano i ricordi all’autocoscienza – nei meccanismi della scelta. Il libro non fornisce risposte al "mistero" del libero arbitrio, né cerca di orientare verso una di loro. Esso è un panorama molto ben riuscito dei molti aspetti di una discussione nella quale, teme lo psicologo Wegner, «tutti escono sconfitti»: tutti quelli che pensano di poter fornire soluzioni all’insolubile. Arnaldo Benini • O CON CARTESIO O CON DARWIN – Nel 1796 Lord Maskelyne, regio astronomo di Greenwich, licenziò l’assistente Kinnerbrook. Il suo lavoro consisteva nel misurare, tramite i battiti di una pendola, il momento esatto in cui un corpo celeste passava nell’oculare del telescopio. Si scoprì, molti anni dopo, che le decisioni consapevoli di Kinnerbrook nel registrare le posizioni degli astri presentavano ritardi costanti di circa 200 millesecondi rispetto all’effettivo passaggio dello stimolo visivo.
Alla luce di dati come questi, von Helmholtz (1867) ci parla d’inferenze inconsapevoli nella percezione, e Kohler (1929) illustra il rapporto tra il "geneticamente soggettivo" (tutto lo psichico dipende da qualcosa che avviene nel corpo) e il "fenomenicamente oggettivo" (quel che non sembra dipendere da noi). Helmholtz e Kohler, in modo diverso, spiegano l’esistenza di meccanismi mentali inconsci precedenti l’azione nei termini di un migliore adattamento all’ambiente.
Nell’esperimento più noto di Libet, si chiede alle persone di compiere un semplice movimento. Le persone devono indicare, guardando un orologio, il momento esatto in cui avvertono l’impulso ad agire, ad esempio quando decidono di piegare un dito. Libet rileva l’incremento dell’attività elettrica nel cervello e scopre un "anticipo" di circa 200 millesecondi. Perché tirare in ballo il libero arbitrio? La consapevolezza dell’impulso a piegare il dito non è condizione necessaria né sufficiente per un’azione volontaria.
Non è condizione necessaria: ci capita sovente di compiere azioni volontarie non precedute da impulsi a compierle. E così, ad esempio, sterziamo per evitare un ostacolo. Azioni libere non precedute da impulsi, a dimostrazione della funzione adattiva dell’inconscio cognitivo, direbbero oggi i neo-darwinisti.
Non è nemmeno condizione sufficiente: l’impulso ad agire precede azioni del tutto involontarie, come mi è capitato l’altra sera, quando non sono riuscito ad evitare uno starnuto durante un concerto.
Tutto qui? E allora perché nel 2010 si pubblica
Siamo davvero liberi? Le neuroscienze e il mistero del libero arbitrio. Dov’è il mistero? Abbiamo il dovere, come psicologi, di cercare di domandarci come mai rispunta il problema e si tira in ballo persino il libero arbitrio.
La novità sostanziale è che riusciamo a registrare, localizzare e a mostrare le modificazioni dell’attività del cervello, non soltanto a presupporle come facevano Helmholtz e Kohler. E la localizzazione nel cervello gioca brutti scherzi ai non esperti.
Il senso comune è rimasto dualista à la Descartes: spirito e materia. Di qui lo stupore ingenuo per quanto collega, o meglio nel caso di Libet s-collega, res cogitans
(impulso consapevole) e res extensa (attività cerebrale). Se pensassimo che abbiamo a che fare con diversi livelli di analisi e di spiegazione di una medesima realtà, il mistero svanirebbe. Resterebbe un dato sperimentale. Tutti naturalisti e darwinisti? Quella sì che sarebbe una vera sorpresa. Paolo Legrenzi